La Proprietà Non E’ Più Un Furto

La Proprietà Non E’ Più Un Furto
La Proprietà Non E’ Più Un Furto

Film concettuale molto complesso, sul quale si potrebbe scrivere una trattazione lunga quanto un corposo volume cartaceo (e probabilmente qualcuno lo ha già fatto), ma che per esigenze di brevità si può solo esaminare nei suoi aspetti più salienti e pregnanti. C'è chi lo considera il punto di approdo della cosiddetta trilogia delle nevrosi (Indagine Su Di Un Cittadino Al Di Sopra Di Ogni Sospetto e La Classe Operaia Va In Paradiso, i primi due capitoli); chi aggiunge Todo Modo nel computo e trasforma la trilogia in una quadrilogia (della schizofrenia). Proiettato nel '73 ai festival di Berlino e Venezia non ottenne premi né grossi lodi da parte dei critici, in particolare quelli di sinistra (teoricamente l'area culturale di riferimento di Petri) che anzi ne rimasero visibilmente infastiditi. Dalle sala in compenso venne ritirato per offesa al pudore ed oscenità. Alla fine della fiera comunque gli incassi non furono malvagi (fu il 24esimo film più visto del '73) anche se neppure entusiasmanti. Davvero numeri modesti per un'opera che è un monumento culturale, politico e sociale, e che a tutt'oggi ci dice e ci spiega molto di come siamo fatti, di come funziona la società capitalistica che ci siamo scelti e di quali sono gli orizzonti esistenziali e filosofici che circondano l'uomo, qualsiasi uomo, che si tratti di un proletario o che si pensi ad un ricco  ed agiato borghese.

La vicenda ruota attorno al ragionier Total (Flavio Bucci), un nome un programma, impiegato di banca con l'allergia ai soldi. Ossessionato da un cliente, un macellaio sbruffone del quale non viene neppure mai fatto il nome (Ugo Tognazzi), inizia a perseguitarlo, dapprima rubandogli piccoli oggetti, poi insidiandogli la moglie Anita (Daria Nicolodi) e dandogli continuamente il tormento. - SPOILER: il macellaio a sua volta ne approfitta, cercando di truffare l'assicurazione stimando in decine di milioni le sue perdite di appena tre effettivi. Quando la Polizia riuscirà ad incriminare Total il macellaio lo scagionerà per non avere beghe con l'assicurazione. Ma ciò nonostante si vendicherà uccidendolo e riprendendosi il maltolto.

La Proprietà Non E' Più Un Furto è un film violentissimo ideologicamente. Impietoso nel mettere allo specchio le contraddizioni e le smanie umane, e restituircele con tutta la vergogna e l'imbarazzo che da spettatori non possiamo non provare, riconoscendoci ora un po' in Total, ora nel macellaio, ora in Anita, e via via con praticamente tutti i personaggi del racconto. Siamo un pezzetto di ognuno di loro, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti più ingenerosi e mediocri. Ciò nonostante la sceneggiatura è una cornucopia di frasi memorabili, argomentazioni icastiche e discorsi che inchiodano con una ferocia ed una precisione schiaccianti l'uomo alla sua croce, come un Cristo. Tra citazioni del Talleyrand e di Niccolò Tommaseo, il povero ragioniere Total (che sia un'allusione alla sua funzione di benzina degli accadimenti?) incarna il fallimento annunciato della rivoluzione che si propone di rovesciare i valori costituiti (del Capitalismo). Total non è un vero ladro, perlomeno non lo è per vocazione, visto che anziché rubare per arricchirsi ruba per mandare in rovina l'odiato macellaio; ma non è neanche onesto, poiché accetta di delinquere. "Cosa sei?", gli domanda sconsolato suo padre, Salvo Randone (il quale tuttavia si appoggia meschinamente al figlio, facendosi sostentare in tutto e per tutto). Il macellaio di Tognazzi (che parla uno spudorato romanesco per accentuare la "volgarità" del personaggio) è una elaborazione continua di alibi, giustificazioni, indulgenze ed autoassoluzioni che difendano la sua posizione e la sua rendita, guadagnata - consapevolmente - con la sopraffazione, la ruberia, la via obliqua.

La galleria dei tipi umani di Petri (offerti spesso attraverso primi e primissimi piani che accentuano il disagio ed il senso di deformità, più psicologica che fisica) prosegue con la bellissima Anita, probabilmente l'interpretazione che più ha esaltato la femminilità della Nicolodi in carriera; la donna oggetto del macellaio (il quale evidentemente oltre a possedere denaro, immobili e potere, possiede anche esseri umani), che non si ribella, ubbidisce, prende schiaffoni e regala godimento a comando, ma che tuttavia non sa dire di no nemmeno a Total, la cui vitalità la attira come una scintilla di colore capace di rischiarare il suo mondo altrimenti necrofilo. Infine il poliziotto Pirelli (Orazio Orlando), un mediocre schiacciato dagli stessi ingranaggi di tutti (denaro e poteri forti), ma che ha dalla sua la valvola di sfogo derivante dal poter arrestare  chiunque e prendersi pezzi di vita altrui a piacimento. Più volte Pirelli riflette sulla imprescindibilità della necessità delle guardie, senza le quali il furto diverrebbe diritto, financo rivoluzione. Sono loro il discrimine tra l'ordine e la giungla. Al suo discorso fa da contraltare l'elogio funebre allo scassinatore Albertone (Mario Scaccia) recitato da Paco l'Argentino (Gigi Proietti), il quale provocatoriamente rovescia di 180 gradi i termini della questione, rivendicando la funzione sociale e stabilizzatrice della "ladreria", una bilancia che garantisce lavoro e benessere ad una tale messe di professioni (poliziotti, carabinieri, giudici, fabbri, commercianti di allarmi, saracinesche, portieri di condominio, eccetera) da dover essere preservata e persino santificata. Anche perché chi ruba in modo scoperto e dichiarato consente ai ladri che esercitano "nella legalità" di farlo coperti e nascosti.

Petri porta avanti una riflessione nichilista e priva della minima speranza, tale che nessuna redenzione è ammessa (tant'è che il finale lo ribadisce). I titoli di coda arrivano a sancire una profondissima amarezza e disillusione nello spettatore, ed a qualcuno - critico o pubblico "normale" - non deve essere andato giù. Petri è apocalittico, ultimativo, catastrofico nella sua rappresentazione del genere umano e delle pulsioni autodistruttive che lo comandano; anche se, a ben vedere, emerge forte e chiaro anche un anelito di ricerca continua. Total vuole la verità, o meglio, cerca una giustizia che non può avere, ma in essa vi è il seme della verità, il perseguire con tenacia le risposte a tutte le domande. Il mistero tale rimane, imperscrutabile, e tuttavia l'uomo non può smettere di lottare per far luce attorno a sé. Fortunatamente Petri inzuppa di ironia e sarcasmo questa discesa infernale. Il tono è grottesco, surreale, anche se non per questo meno doloroso e pungente. Il grande quesito amletico viene trasfigurato in "essere o avere", la radice della malattia dell'uomo, il quale vorrebbe entrambi, mentre invece inevitabilmente una condizione elimina l'altra.

All'epoca dell'uscita in sala il film venne pesantemente censurato per le numerose scene di nudo e di sesso (praticamente tutte quelle che vedono la Nicolodi presente), inevitabile in un film che affronta l'argomento del possesso, e con esso controllo e potere che ne derivano. Anche quando rimane vestita, Anita allude sempre e comunque alla sessualità ed al godimento. Lo fa pure quando si presenta direttamente al pubblico, come accade per tutti i personaggi principali. Petri concede loro qualche minuto per guardare negli occhi il pubblico e descriversi nel modo più vero ed intimo attraverso un monologo (sono sei in totale). Una struttura molto peculiare che rende il film davvero unico, visto che oltre a mettere in scena una trama, permette ai personaggi di interagire col pubblico (sia astraendosi dal susseguirsi degli eventi, al centro di una scena nera molto "teatrale", sia rimanendo dentro gli accadimenti). Le musiche sono di Ennio Morricone. Mereghetti parla di "disastroso tentativo di apologo grottesco e politico, verboso e inutilmente espressionista, che cerca di utilizzare uno stile brechtiano per descrivere la patologia di un disfacimento sociale che si rivela però metafisico e antistorico", espressione plastica di come alcuni critici si siano scagliati con un livore fin troppo ostentato sul bellissimo (a mio parere) film di Petri. Inutile dire che la penso all'opposto (salvo per i riferimenti alla verbosità ed alla caratura espressionista, anche se da intendersi in chiave tutt'altro che denigratoria).

Trailer ufficiale

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