All'altezza de Il Gatto Comencini il meglio lo ha già dato. Le sue ultime regie sono due episodi, L'Equivoco in Basta Che Non Si Sappia In Giro (1976) e L'Ascensore in Quelle Strane Occasioni (1976) e la co-regia di Signore E Signori, Buonanotte (1976) assieme a Magni, Monicelli, Loy ed altri. Dopo Il Gatto ci sarà L'Ingorgo (1977) che metterà assieme Sordi, Tognazzi, Mastroianni, la Sandrelli e Depardieu, quindi seguiranno una serie di pellicole crepuscolari minori, se non per il loro valore intrinseco quantomeno per la collocazione all'interno della carriera del regista lombardo e per la cassa di risonanza rispetto alle pellicole più celebri di Comencini. Il biennio '76 - '77 è forse proprio quello spartiacque e Il Gatto e L'Ingorgo sono un po' gli ultimi due "grandi" film di Comencini. Il Gatto nello specifico è davvero particolare, una commedia dal fortissimo sapore grottesco, micidiale nel suo cinismo, nella sua bizzarria, nel suo essere sopra le righe ma in modo nero e tagliente. La storia vede protagonisti i fratelli Amedeo (Ugo Tognazzi) e Ofelia (Mariangela Melato) Pegoraro, locatori di un fatiscente palazzo nel centro di Roma. Il loro fine è riuscire a cacciare tutti i vari inquilini degli appartamenti per poter poi rivendere il palazzo ed incassare mezzo miliardo di lire ciascuno. Dunque la prospettiva esattamente rovesciata di chi concede affitti, ovvero anziché sperare di avere inquilini i due Pegoraro bramano di perderli, in un gioco al massacro che già di per sé dà la cifra paradossale del film.
I due intavolano continuamente strategie e sistemi per impallinare le proprie vittime, compreso l'intrufolarsi in casa loro quando sono assenti alla ricerca di prove compromettenti o da impiegare per qualche ricatto. Così facendo svelano diversi altarini e riescono effettivamente a scremare progressivamente il numero degli inquilini. Rimangono i più accaniti ma il casus belli del gatto dei Pegoraro preso a fucilate da qualche finestra fa scattare una serie di eventi a catena che - SPOILER: porteranno all'effettivo svuotamento del palazzo. Chi verrà fatto arrestare, chi scapperà all'estero che subirà un trasferimento professionale, fino al fatidico assegno da 300 milioni di lire (anticipo dei 500) che entrambi i fratelli riceveranno dall'avvocato Balestra Mugnozzo (Bruno Gambarotta) per la vendita del palazzo. Ma.... c'è un ma imprevisto, uno degli inquilini è tornato, la luce sulla sua terrazza si accende improvvisamente in piena notte, lo stabile non è libero, Balestra strappa l'assegno dalle mani dei Pegoraro increduli.
Tognazzi e la Melato sono due interpreti favolosi di questa coppia di adulti bambini capricciosi e dispettosi innanzitutto reciprocamente. Si odiano, si strappano oggetti, si detestano, gioiscono del proprio primato l'uno sull'altro. Hanno le loro fragilità, Tognazzi ad esempio ha il vezzo di farsi i capelli con i bigodini (che poi deve essere la sorella ad asciugare col phon), vorrebbe essere amato dall'inquilina dell'ultimo piano (la fascinosa Dalila Di Lazzaro, molto disinibita nei costumi e nella frequentazione di amanti facoltosi) mentre la Melato è perdutamente innamorata di un prete (Philippe Leroy) estremamente scostante e insensibile al richiamo femminile. Ogni volta che lo vede o anche solo ne sente la voce al telefono, la Melato inizia a tremare, balbettare, ad avere vampate di calore e proprio non riesce a controllarsi. Anche questa debolezza viene biecamente sfruttata da Amedeo che spera di far capitolare il prete, fotografandolo in momenti imbarazzanti per poi ricattarlo e/o farlo trasferire dalla curia mediante lettere anonime. Molto divertente il personaggio del commissario Francisci (Michel Galabru), sorta di ispettore Clouseau goffo e imbranato che rimane invischiato nelle trame dei Pegoraro e non fa mai la cosa giusta al momento giusto, sbaglia sempre il tiro venendo così ripreso dal suo superiore, il capo della Polizia interpretato da Armando Brancia. Si narra che il film rimase bloccato quando ad un certo punto la Di Lazzaro avrebbe dovuto girare la scena della doccia, l'attrice pretendeva di poter conservare gli slip; alla fine il momento fu girato senza mutandine, accordandosi per una ripresa di spalle. In effetti la scena non è completamente di spalle... e pare che Tognazzi mandò la sarta a spiare, confermando che la Di Lazzaro era completamente nuda e depilata, motivo per il quale non voleva girare la scena (aveva perso una scommessa con il suo compagno di allora e quella era stata la penitenza). Scenografie di Dante Ferretti, molto abile nel dare un quadro di opulente decadenza (anche allegorica) agli ambienti, musiche di Ennio Morricone. Vera protagonista del film è la lavagna dei Pegoraro sulla quale sono appuntati tutti i nomi dei condomini che come vittime di guerra vengono progressivamente cancellati e segnati da una X nel momento della capitolazione. La Melato vinse il David di Donatello grazie alla sua Ofelia.