Narciso D'Autunno è il nuovo lavoro di Roger A. Fratter, circa 34 minuti usciti sotto forma di cortometraggio ma che in realtà poi si inseriranno all'interno di un contesto più articolato, un film che conterrà diversi episodi o capitoli che dir si voglia, tra i quali anche questo. Interessante dunque goderne in due momenti storici diversi, poiché è evidente che le impressioni e le suggestioni che si possono trarre da una visione autonoma ed autoconclusiva saranno del tutto diverse da quelle che deriveranno invece dal reciproco riverbero di vari episodi contenuti in un lungometraggio, nel quale Narciso D'Autunno svolgerà una sua funzione peculiare e specifica. Intanto dunque si parte con questa piccola storia che sin dall'inizio tradisce molti elementi cari a Fratter, una voce narrante, una bella protagonista attorno alla quale la MdP ruota e con cui flirta amabilmente, riflessioni a voce alta spesso di natura filosofica e metafisica, un certo effetto straniante, una grande attenzione a dettagli e particolari, la natura, la presenza di un elemento oscuro e misterioso (il teschio) che preannuncia qualcosa di fosco. A suo modo Narciso D'Autunno è una sfida, un divertissement di Fratter, impegnato a tenere viva l'attenzione dello spettatore con una sola attrice in campo, Paola Bonacina (Jackie Bravon... si noti l'assonanza con una certa Jackie Brown), orizzonte di ogni attenzione ed al contempo epicentro dal quale si irradia ogni filamento del racconto.
Jackie riprende i sensi nel mezzo di un bosco, non sa perché si trovi lì, non ha memoria e non ha risposte a quella sua strana condizione. In tasca ha un piccolo teschio, sorta di memento mori. Passo dopo passo cerca di ricostruire le sue ore precedenti, la discoteca, qualche bevuta, il lavoro di ragazza immagine come ogni sera. Lentamente ed in modo confuso i ricordi cominciano ad affiorare. Jackie è ossessionata dai dettagli, non riesce a mettere a fuoco l'insieme delle cose, ci sono elementi sfuggenti o che vengono oscurati dal fatto che è troppo concentrata su di sé. Scatta fotografie al bosco autunnale ma presto passa a farsi dei selfie; cerca di capire cosa possa essere accaduto il giorno prima ma in breve le affiora alla memoria una bella giornata di sole nella quale danza e volteggia con un bellissimo vestito colorato. Jackie non riesce a distogliere l'attenzione dalla propria persona, si piace, si ama, è l'alfa e l'omega di se stessa. Raggiunge un bar ma sembra deserto, non riesce ad interagire con nessuno, finché ritrova la strada verso casa. Anche qui si abbandona allo smartphone, riprendendosi voyeuristicamente. Jackie vuole essere notata, sa di essere bella e si aspetta considerazione quasi fosse un atto dovuto, un omaggio alla propria bellezza. Sarà proprio il telefono, il suo specchio, a rivelarle cosa le è accaduto.
Fratter ricorre ad uno stratagemma narrativo non inedito nel cinema, mi vengono in mente perlomeno un paio di film dei quali riporto preliminarmente solo gli anni di uscita per non spoilerare troppo, 1999 e 2001 (chi vuole li può trovare esplicitati in fondo alla pagina). Nel titolo del cortometraggio c'è già molto di cosa vedremo, il contesto autunnale che tanto irretisce Jackie (le foglie, i colori.... il crepuscolo) e il mito di Narciso, il giovane e bellissimo cacciatore che disdegna ogni persona e che viene punito con una sorta di anatema divino che lo fa innamorare della propria immagine riflessa in uno specchio d'acqua (ah... se gli Dei della Grecia avessero avuto gli smartphone!) nel quale cade, perdendo la vita. Narciso ama se stesso a tal punto da morirne, la sua autoreferenzialità il suo egocentrismo lo soffocano. Il parallelismo con quanto ordito da Fratter risuona fragoroso, in modo quasi calligrafico. C'è qualcosa di stonato mentre osserviamo Jackie, è bella ma il suo assillo per se stessa, l'invasamento, il culto del proprio Io in qualche misura intorbidiscono la luce che irradia, tanto che lo spettatore si sente attratto e respinto al contempo.
Apparentemente ciò che Jackie fa, ciò che pensa e dice sembra quasi insensato, fuori luogo, inadeguato al contesto e alla sua condizione. Jackie arriva a supporre di essere stata drogata, forse sedotta, addirittura abusata, dunque come è possibile che perda tempo fotografando foglie ingiallite, ripensando con piacere a se stessa mentre balla, mentre cattura lo sguardo degli uomini? Un'apparente irrazionalità che tuttavia troverà spiegazione nel finale, da un punto di vista sia metaforico che materiale, concreto. Emblematica la scena in cui Jackie è talmente presa da Jackie (che vede riflessa nello smartphone con il quale si sta filmando, per altro davanti ad uno specchio, elevando la sua immagine al quadrato) da avere addirittura un orgasmo. Jackie diventa l'oggetto del desiderio di se stessa, un ouroboros di piacere e desiderio. Quel corpo e quel volto sono di Paola Bonacina, ultima scoperta di Fratter, la sua nuova musa, alla maniera di Brass che ad ogni nuova produzione lanciava (o rilanciava) una stellina che poi si sarebbe eternata come sex symbol e, in qualche caso, anche come attrice integrata a pieno titolo nello star system nazionale. La Bonacina non ha un vero dialogo in tutto il corto poiché parla con noi attraverso la sua voce off in un curioso gioco di sponde e triangolazioni con lo spettatore, se stessa e ciò che le vediamo fare. Interessanti le musiche (curate da Francesco Montanile) e più in generale tutto il commento sonoro, in casi come questo funzionale a sostenere la costante narrazione della protagonista, diventandone un controcanto che amplifica e/o prefigura situazioni e cambi di scenario. Bella la locandina, anch'essa in qualche misura premonitrice della consapevolezza che avremo acquisito al termine della mezzora di visione di Narciso D'Autunno.
- SPOILER: nel finale non ha nessuna importanza se Jackie sia stata realmente assassinata da un uomo, magari uno stalker o qualcuno che l'aveva abbordata e drogata in discoteca la sera prima; di fatto Jackie riproduce in prima persona lo strangolamento che ritiene di aver subito (quella fastidiosa sensazione di arsura). Potrebbe addirittura essere stato tutto un parto della sua immaginazione, talmente obnubilata dall'accondiscendenza verso se stessa da aver "fabbricato" e messo in atto una versione plausibile della propria morte che tuttavia, proprio come per Narciso, avviene davanti ad uno specchio (il display di un telefono anziché quello dell'acqua di un lago) che le regala l'ultima immagine della sua bellezza, talmente magnetica da non averle lasciato scampo.
P.S. ogni promessa è debito, i film a cui ho fatto riferimento sono Il Sesto Senso e The Others, in entrambi scopriamo alla fine che i nostri protagonisti sono in realtà già passati a miglior (....migliore?) vita.