Christophe Gans è un regista sui generis oltre che sul "genere". Grande estimatore di Argento, Bava, Margheriti, è stato critico cinematografico (dirigendo la rivista specializzata Starfix), ha diretto pellicole ispirate a manga e videogiochi (Crying Freeman, Silent Hill), ha diretto l'ennesima versione de La Bella E la Bestia, nonché Il Patto Dei Lupi, nel 2001, il film che ad oggi ha avuto forse più notorietà tra le sue produzioni. Come è facile notare, Gans orbita sempre a cavallo tra cinema horror e fantastico, con elementi avventurosi. Il soggetto originale de Il Patto Dei Lupi risale al 1998, scritto da un esordiente (Stéphane Cabel), viene poi rimaneggiato e proposto a Gans il quale lo metabolizza a modo suo. Non vuole un cast di attori famosi, bensì di giovani volitivi ai quali affiancare qualche vecchia gloria del cinema francese. Si concentra quasi esclusivamente sull'aspetto formale e tecnico del film, lasciando agli attori molta briglia sciolta, pure troppa, al punto tale che sorgono alcune lamentele al riguardo. Gans tuttavia non fa mistero di disinteressarsi all'aspetto della direzione degli attori preferendo dare un'impronta molto personale al film sotto altri aspetti a lui più congeniali, molto simile a Dario Argento in questo. Da Crying Freeman si porta dietro il carismatico Mark Dacascos per il quale il ruolo viene rivisto e riscritto, passando da un vecchio santone indiano ad un atletico guerriero dall'afflato mistico.
Il Patto Dei Lupi, 142 minuti nella versione regolare, 152 nella director's cut, è un film che si presenta benissimo e che sembra potenzialmente avere tutti gli elementi giusti per diventare un grande affresco eccitante, pieno di mistero ed avventura, ma strada facendo si sgonfia come un soufflé. Dura troppo, davvero troppo, è molto sbilanciato qualitativamente tra prima metà (nettamente migliore) e seconda metà (nettamente peggiore), e soprattutto ha dei cambi repentini che francamente lasciano alquanto perplessi. Mi riferisco in particolare al personaggio di Samuel Le Bihan, il suo cavaliere de Fronsac parte inizialmente come una specie di giovane nobile dedito alle arti intellettuali, è un naturalista, botanico, zoologo, poi filosofo, poi medico, poi teologo, infine guerriero supremo, assoluto, totale e invincibile. Per una buona parte di film il suo braccio armato è l'irochese Mani (Dacascos), figura molto più intrigante e ben costruita, oltre che coerente con se stessa, ma da un certo punto in poi (chi ha visto il film non avrà difficoltà a capire quando) de Fronsac diventa Jean-Claude Van Damme e francamente si fatica a capirne lo stravolgimento, fino a scene di autentico parossismo nelle quali da solo fronteggia quasi intere legioni. Anche meno.
Non mi è piaciuto lo svelamento dell'enigma, non è altrettanto affascinante quanto tutta la parte di costruzione della storia che ci ha portato sin lì. Nonostante l'ispirazione provenga dalla leggenda della bestia del Gévaudan, una regione della Francia meridionale nella quale tra il 1764 e il 1767 una non meglio precisata "bestia" causò oltre un centinaio di vittime tra morti e sbranati. A questa vicenda la sceneggiatura attacca un po' con la colla una trama parallela e contigua che porta altrove e, non contenti, si cerca pure un intreccio labile e velleitario con i fatti della Rivoluzione francese. Tanta carne al fuoco per una risoluzione che è al contempo pomposa e puerile. Comunque belle le atmosfere che cercano di far convivere la Francia pre illuministica con l'esotismo della "nuova Francia" (le Americhe coloniali dei nativi), sempre centrata e suggestiva la fotografia, decisamente solido il personaggio di Vincent Cassel, interpretato divinamente. Piacevole la Bellucci, perfetta per queste parti molto aiutate dai costumi, dall'ambiguità, dalle sfumature di mistero; anche per questo piace parecchio ai francesi. Al botteghino Il Patto Dei Lupi si rivelò un discreto incasso tanto in Francia quanto fuori dai confini patri.