Ci sono dei film che non sarebbero potuti esistere senza gli interpreti che li hanno eternati. Taxi Driver senza De Niro, Shining senza Nicholson, Quando La Moglie E' In Vacanza senza Marilyn semplicemente non sarebbero potuti essere; non si sarebbe tratto di risultati minori o più modesti, sarebbero stati film completamente "altri" e molto probabilmente da non realizzare affatto. Nessun altro sarebbe stato in grado se non i protagonisti designati per quei ruoli. Cleopatra di Mankiewicz è uno di quelli. Nell'immaginario cinematografico Cleopatra è Elizabeth Taylor, nonostante i tanti film dedicati alla venere (anzi Iside) d'Egitto. Impressionante il livello di immedesimazione e sovrapposizione dell'attrice angloamericana con la regina del Nilo, verrebbe naturale pensare che in un universo parallelo le due siano state esattamente la stessa persona tanta è la naturalezza nel passare dall'una all'altra senza soluzione di continuità.
Cleopatra certamente è uno dei film della vita di Liz, anche se - a dispetto del compenso letteralmente faraonico (stimato nel corrispettivo di circa 47 milioni di dollari odierni, tra parcella e percentuali sugli incassi) - le costò molto sacrificio. Si ammalò di polmonite durante le riprese, venne ricoverata d'urgenza in ospedale, dove subì addirittura una tracheotomia salvavita. Il make-up dovette fare miracoli per nascondere le cicatrici per il resto del girato e l'intero set dovette essere spostato a Roma per via del clima più favorevole alla convalescenza. Ora, non so se avete presente le scenografie del film... quando parliamo di set parliamo di intere città, qualcosa di assolutamente mastodontico. Non si fa fatica a immaginare come abbia fatto la 20th Century Fox a finire sull'orlo del fallimento per licenziare questo kolossal. Da un primo costo complessivo stimato a circa 2 milioni di dollari si terminò con una spesa complessiva di 44 (pari a circa 300 attuali), il secondo film americano più costoso di sempre (il primo è I Pirati Dei Caraibi - Ai Confini Del Mondo). Del resto nel 1963, senza computer grafica a moltiplicare comparse e scenari esotici, ogni singolo oggetto di scena o essere vivente esisteva davvero, al massimo si poteva fare affidamento su quale fondale di comporto. Tutto ciò che si vede in Cleopatra è a perdita d'occhio, toglie il fiato per maestosità e grandeur. L'idea dell'opulenza tanto egiziana quanto romana è perfettamente resa, ma questo ha generato costi micidiali. Aggiungeteci che tutto l'ambaradan, dai costumi alle scenografie, dovette essere replicato due volte, per i set londinesi e poi per quelli romani dove la malattia della Taylor costrinse a spostare la Produzione (e tra l'altro da Roma si andò pure nell'arcipelago ischitano).
Come era facile prevedere, un film così complicato fu la quint'essenza delle disgrazie. Detto di quanto accaduto alla Taylor, sono da mettere a verbale gli avvicendamenti degli attori, Rex Harrison (Cesare) a sostituire Peter Finch, Richard Burton (Marco Antonio) al posto di Stephen Boyd, la Taylor anziché Dorothy Dandridge, prima scelta di Rouben Mamoulian, regista a suo volta sostituito da Mankiewicz (pure lui cacciato e rimesso in sella in corso d'opera, dato che nessuno era disponibile ad accollarsi la patata bollente di un film che stava andando alla deriva anche e soprattutto a livello di sfondamento clamoroso di budget). Alla fine c'erano sei ore di girato, ridotte a quattro, poi a tre, su disperata richiesta della Fox. L'aneddotica attorno a Cleopatra è generosa tanto quanto i chilometri di pellicola macinati. Harrison e Burton erano in gran competizione (con tanto di strascichi legali); 65 i costumi approntati per Liz, compreso quello in oro 24 carati; Joan Collins e Audrey Hepburn vennero ipotizzate come possibili Cleopatre, mentre Marlon Brando e Peter O'Toole avrebbero potuto vestire i panni di Marco Antonio al posto di Burton (col quale, come è noto, la Taylor inizio qui la sua scandalosa e travagliatissima lovestory adulterina). La Hepburn sarebbe stata una scelta drammaticamente opposta a quella di Liz, mentre forse Brando si sarebbe potuto rivelare un ottimo Marco Antonio al pari di Burton. Ruolo macho, virile e un po' maledetto, di contro a quello di Cesare, più aulico e severo.
Spesso i battibecchi tra Cleopatra e Marco Antonio sembrano proprio i litigi tra moglie e marito, così come le loro riappacificazioni e civetterie romantiche. La rappresentazione che Hollywood dà del periodo storico è alquanto posticcia e superficiale; non nella mise en scene, d'accordo, di quella abbiamo detto e senza ombra di dubbio è gargantuesca, ma dialoghi, espressioni, recitazione corporea, semplificazione estrema delle dinamiche e dei rapporti sa più dell'America dei tempi di Liz e Richard che del 50 avanti Cristo. La Taylor è immensa; più o meno credibile come Cleopatra, lo è intrinsecamente, tanto da divenire più vera di quella vera. Il trucco, la profondità di quegli occhi meravigliosi e infiniti, le curvature del corpo che ripercorrono la silhouette del Nilo (come ricorda una battuta che lei stessa recita), la sensualità irresistibile, una femminilità magnetica, tale e quale a quella che stregò Cesare e Marco Antonio, sono il miglior tributo che Hollywood potesse fare alla regina più famosa e celebrata di tutti i tempi.
Praticamente ogni scena ha il potenziale per essere citata e ricordata, ma si farebbe un torto a non far riferimento in particolare ai suoi bagni, al suo ingresso trionfale a Roma (un film nel film) o alla sua morte. Il Cesare di Rex Harrison gigioneggia vistosamente; Burton per conto suo esalta la componente "alfa" della sua mascolinità ma vira anche più platealmente sul patetico. Menzione d'onore anche per il Rufo di Martin Landau e per l'Ottaviano di Roddy McDowall (tra i personaggi più caricaturali il suo, antesignano delle bizzarrie delle Rome eccentriche dei Caligola di Brass e D'Amato). Quasi insostenibile la corte del faraone Tolomeo, il fratello di Cleopatra, fatta di dignitari di corte con la pancetta ed eunuchi alla Renato Zero. Lo stesso Tolomeo pare uscito da una serie tv teen ager. Calpurnia (Gwen Watford), moglie romana di Cesare abbandonata per Cleopatra, sembra la Pina di Fantozzi, mai paragone fu tanto schiacciante se si pensa alla bellezza abbacinante della Taylor in questo film. Di Cleopatra si dice fosse la donna più bella del mondo, beh la Taylor non sfigura...cosa altro potrei aggiungere?
Nove nomination, quattro Oscar conquistati (sorprendentemente non per miglior film), la Taylor nemmeno in lizza come miglior attrice. La sceneggiatura, scritta a sei mani, deriva da un adattamento del romanzo su Cleopatra di Carlo Maria Franzero del '57. Si è trattato di un film spartiacque, esagerato nel bene e nel male; bruciò talmente tanti dollari che di fatto decretò il tramonto del cosiddetto genere "peplum" nonché della Hollywood più glamour. Un monumento di arroganza e superbia? Può darsi, anche, ma pure un bellissimo monumento al coraggio, all'ambizione e all'ostinazione, indubbiamente una prova solenne, imponente, regale. Ogni qual volta la Taylor entra in una nuova camera del suo palazzo sembra di partecipare alla visita ad un museo di (pseudo) storia egizia, con rimandi a Roma e all'Antica Grecia. Cleopatra è potentissimo, Liz Taylor è unica, e per godere appieno di un tale dispiego di mezzi (artigianali e non digitali) senza pari nella storia, dovreste perlomeno vedere il film nell'edizione di 244 minuti, la più lunga esistente in circolazione.
Le critiche non furono tenere, si parlò di un film fiacco, verboso, privo di tensione, di un topolino partorito da una montagna ed altre amenità simili. E' vero che l'azione deficita e quando c'è è mediocre (come nella scena della battaglia navale che oppone le legioni di Ottaviano a quelle di Marco Antonio...poteva e doveva esserci ben altro spessore), tuttavia Cleopatra va oltre lo stretto contenuto della sua sceneggiatura, divenendo un significante che ha trasceso consapevolmente o meno i limiti del suo significato, qualcosa da apprezzare ed ammirare anche per la forma oltre che per il contenuto. A me ha riempito gli occhi e mi pare uno dei migliori complimenti che si possano fare ad una storia per immagini.