Snack Bar Budapest

Snack Bar Budapest
Snack Bar Budapest

Racconta Brass che all'altezza di Capriccio (1987) era abbastanza arrabbiato del fatto che il mondo della Produzione cinematografica italiana stesse andando a ramengo. La figura dell'investitore coraggioso non c'era più, i produttori parevano di colpo diventati dei passacarte dei signori della televisione che decretavano di fatto quale film si sarebbe fatto e quale no, vincolandolo alla possibilità di passaggi televisivi. Figuriamoci le pellicole VM 18 come quelle di Brass quanto potevano andare a genio ai colletti bianchi catodici. La Chiave, Miranda e Capriccio erano andati molto bene in sala ma adesso una produzione si rivelava una scommessa molto rischiosa. Complice la lettura di un libretto noir (firmato da Marco Lodoli e Silvia Bre), Brass si convince dell'idea di tentare una strada nuova. Di certo non abbandonare l'erotismo in modo netto, ma stemperarlo e contaminarlo di altro, nello specifico il genere noir delle pagine Snack Bar Budapest. Essendo Brass un autore, questa sinergia avviene alla sua maniera e non viceversa; è lui che cannibalizza il romanzo e lo declina secondo la propria sensibilità e soprattutto estetica cinematografica, creando un ibrido tra il tipico cinema brassiano e il mondo immaginato da Lodoli e Bre. Ne viene fuori un esperimento curioso e sorprendente, che tuttavia rimarrà un unicum poiché già dal successivo Paprika Brass riprenderà il suo ortodosso cammino erotico senza più abbandonarlo, bensì approfondendolo ed squadernandolo fino all'ossessione. Snack Bar Budapest fu un totale insuccesso, come lo stesso regista veneto ammette, il problema non fu il mancato apprezzamento da parte del pubblico, ma proprio la mancata visione perché la gente non andò al cinema per vederlo. Un peccato visto che questo film, pur mantenendo un legame con molti aspetti del cinema di Brass, adotta anche soluzioni diverse - ed in qualche caso diametralmente opposte alla sua grammatica abituale - che indubbiamente rimangono originali per l'autore. Il film è ambientato quasi per intero di notte e le luci che rischiarano il buio sono al neon. Lampi e colori geometrici, ben definiti e molto potenti, che donano agli ambienti un carattere onirico e decontestualizzato, quasi da cinema fantastico. La cittadina di mare in cui è ambientata la vicenda non ha nome (ma è Lido Di Ostia), le targhe delle auto riportano TB (Tinto Brass), siamo fuori dal tempo e, dato che i personaggi che popolano la sceneggiatura sono freaks anarchici, grotteschi e spostati (compreso un uomo papera interpretato da Giorgio Tirabassi), siamo autorizzati in tutto e per tutto a considerarci in una dimensione parallela, un mondo "altro", alternativo, persino letterario, certamente inventato, irreale e tuttavia verosimile, per quanto carico saturo e paradossale.

La scelta di Giancarlo Giannini come protagonista è una mossa astuta, che serve un po' a cautelarsi dal rischio di aver intrapreso una nuova via. Il plot verte su di un protagonista maschile; non che manchino i corpi femminili ma Snack Bar Budapest non è un film di donne, bensì presenta una impostazione più classica con l'eroe (o meglio, l'antieroe) che compie la sua missione e torna a casa. Le donne gli sono complementari ma non strettamente necessarie, ed in ogni caso sono personaggi secondari. In qualche caso molto secondari, venendo ridotte all'esibizione di seni, natiche, giarrettiere, completini da sexy shop e bocche voluttuose ai limiti (ed oltre) del felliniano. Nel circo di Molecola (François Negret) sfilano senza soluzione di continuità le varie  Valentine Demy, Sylvie Orcier, Malisa Longo, Lucia Prato, etc. (c'è pure Carmen Di Pietro che ad una prima visione non sono neppure riuscito ad individuare). Minuscolo cameo per Loredana Romito (è la gonfia merciaia di biancheria intima) e ruolo più di peso per Raffaella Baracchi (Miss Italia 1983) in versione Brigitte Nielsen, qui al suo quarto film (la sua intera carriera - fatta di appena 7 titoli - non è mai veramente decollata), interpretato più da nuda che da vestita, ma con una deposizione su letto d'ospedale che fa quasi il verso al Cristo del Mantegna (mi si perdoni la blasfemia). Altri due personaggi femminili minimamente più definiti sono quelli della madre e della figlia (rispettivamente Katalin Murany e Giuditta Del Vecchio), proprietarie dello Snack Bar Budapest, il cui taglio in sceneggiatura è per metà erotico e per metà drammatico. Stavolta Brass accetta di scendere a patti con Thanatos, legando l'Eros a doppio filo con morte e tragedia, un binomio che rifuggirà per tutta la carriera. Qui il sesso non è ludico ma pestilenziale, scomposto, a tratti stupido. L'eccitazione delle prostitute di Molecola (François Negret) - ragazzo anarchico e pazzerello in equilibrio tra un Alex DeLarge e il Joker - sottende il consumo di cocaina, la povera Giuditta del Vecchio è venduta senza scrupoli dai genitori a Giannini pur di non essere cacciati dall'albergo; e poi ci sono gli aborti, il bullismo verso gli omosessuali, la copula a pagamento consumata sbrigativamente e quasi svogliatamente da Giannini con la Orcier. Tutti elementi che anziché celebrare e magnificare il sesso come liberazione e potenza creatrice, lo inchiodano a sentimenti cinici, morbosi, negativi, gerarchie di potere, un'antifilosofia brassia che indubbiamente rovescia di 180 gradi l'approccio del regista veneziano al sesso. Anche il finale non allieta ma affonda nel dramma e nella malinconia, esaltata da albe brumeggianti e da una diffusa luce bluastra che pervade tutto. La musica di Zucchero Forniaciari calza a pennello al film, e anche questo chi l'avrebbe mai detto. Autocitazione cult di Brass che fa proiettare in un cinema porno (il "Cinema Tabù") il suo La Chiave.

Dove Snack Bar Budapest non fa eccezione è sulla prevalenza della forma sul contenuto. Come sempre, Brass immagina prima il come dovrà apparire il suo film, piuttosto che il cosa dovrà contenere. Così la sceneggiatura non procede sempre in modo netto e lineare, ma ha continui climax visivi che danno il senso al racconto più di fatti ed accadimenti. Lo spettatore deve estasiarsi per il valore dell'immagine e, contestualmente, seguire la storia, senza curarsi di quello specifico dialogo o di quella reazione particolare del tal personaggio (la sparatoria davanti al Bar ad esempio, somiglia più ad un estratto da un musical che ad un reale momento gangster). Brass insegue l'arte per l'arte, e nella sua visione fa rientrare tutto, dal flipper di Dolly Parton ad una pompa di benzina nel bel mezzo del nulla, da un manichino vestito da giudice ai fondali posticci dei fuochi d'artificio. Certo Giannini avrà provato un certo disagio a pronunciare qualche battuta qua e là, ma Snack Bar Budapest non è stato l'unico film al quale ha accettato di partecipare forse più per denaro che per reale fiducia nel progetto.

Trailer ufficiale

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