Psycho III

Psycho III
Psycho III

Appena un mese nella continuity temporale del film, 4 anni nella realtà, Norman Bates ha riaperto il Motel, è in cerca di clienti e di un aiuto, un vice che lo segua nella gestione della baracca. La sua cara mammina lo sorveglia come sempre dalla finestra della camera da letto della casa che sovrasta il motel. Tutto scorre tranquillo (si fa per dire....). Stavolta Perkins si occupa direttamente anche della regia, due soltanto in tutta la carriera (l'altra è per Una Fortuna Da Morire dell'88, quattro anni dopo Perkins è morto per davvero). Aveva idee precise in merito a questo ennesimo comeback, un ritorno fedele alle atmosfere di Hitchcock, meno sanguinarie ed esplicite del secondo capitolo e più tese; aveva chiesto addirittura alla Universal di girare in bianco e nero ma la major rifiutò. Che la regia sia dello stesso Perkins è evidente anche dal fatto che stavolta la sua presenza in scena è incessante; fatto salvo il prologo, dove un po' inaspettatamente si racconta l'antefatto di altri personaggi (poi fondamentali nel film), il resto dei 93 minuti sono costruiti interamente su Norman Bates, ed anche il campionario di espressioni e faccine da squilibrato si arricchisce esponenzialmente. Perkins vuole la MdP sulla sua faccia e ci gioca (magistralmente, va detto). Come per Psycho II, anche in questo caso non vi sono riferimenti letterari al lavoro di Bloch (che pure aveva pubblicato un terzo capitolo chiamato Psycho House); la sceneggiatura è originale, anche se naturalmente non prescinde dalla pellicola madre.

Al Motel trovano rifugio una suora fuggita dal convento (dopo essere rimasta incinta ed aver causato la morte in un incidente un'altra suora che voleva impedirle di suicidarsi) ed un perditempo in cerca di guadagni facili e scorciatoie per il successo. Ancora una volta c'è chi sta col fiato sul collo di Norman, una giornalista (in Psycho II erano i parenti delle vittime) che intende intervistarlo o forse, più propriamente, smascherarne la follia ancora non guarita. Al contempo, la Polizia sta indagando sulla scomparsa della signora Spool (che noi sappiamo benissimo dove si trova....). Al solito, la pressione non è una felice compagnia per Norman che deve gestire troppe cose tutte insieme.... - SPOILER: la giornalista scoprirà che la rivelazione avuta sul finale del secondo film (ovvero che Norman era stato adottato da Norma Bates ma era in realtà figlio di Emma Spool, sorella di Norma e malata di mente pure lei) è parzialmente falsa. Emma non era la sua vera madre, era solo invaghita del marito di Norma, che uccise cercando poi di strappare alla donna anche il figlio, in ricordo dell'uomo amato. Norman però ha ripreso a vestirsi e comportarsi come sua madre, compiendo numerosi omicidi, fino a che l'amore imprevisto per l'ex suora, osteggiato dalla "madre", non lo porterà a tentare di ribellarsi al giogo materno, in una scena climax nella quale Norman accoltella ripetutamente la mummia rinsecchita della madre. Scoperte le sue malefatte, verrà arrestato e condotto ancora in galera/manicomio, ma Norman appare sereno, come finalmente liberatosi dalla sua maledizione....salvo ghignare satanicamente mentre è sul sedile posteriore dell'auto dello sceriffo, tirare fuori dalla giacca la mano cadaverica della madre, feticcio dal quale non osa separarsi, ed iniziare a carezzarla amorevolmente.

Perkins fa recuperare a Norman un rapporto più diretto con la madre; mentre in Psycho II avevamo Norman contro il resto del mondo, qui il magico duo riprende vita ed in questo senso si instaura nuovamente il clima del primo Psycho (naturalmente senza il fattore sorpresa). Allo stesso tempo le atmosfere sì thrilling, ma anche assai più sobrie ed eleganti del film di Hitchcock sono del tutto assenti in Psycho III. Il prologo con Diana Scarwid e Jeff Fahey è indicativo in tal senso, crudo, grezzo, disperato, quasi acido, e tale rimarrà la cifra di tutto il film, sempre più incline all'horror che alla tensione pura. Perkins ha la mano pesante, sicuramente più di Franklin (senza scomodare Hitch). Le musiche di Carter Burwell, ancorché quanto più sommesse e understatement di quelle di Herrmann e Goldsmith, sono belle ed efficaci, adatte alla cornice desertica del racconto. Il film andò male al botteghino, rivelandosi l'incasso più deludente dei tre episodi (il quarto ed ultimo infatti sarà un film per la tv). La critica ne parò male e bene. Fu in questo periodo che Perkins contrasse l'AIDS, anche se ne venne a conoscenza solo 4 anni dopo; nessuno dei suoi familiari lo sapeva tranne la moglie, che glielo tenne segreto per consentirgli di lavorare e non destabilizzarlo (come Norman....).

Trailer ufficiale

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