Rimaniamo sulla storia americana, anzi sulla Storia. Dopo il racconto di Lincoln, Spielberg si avventura nel clima della Guerra Fredda, anno 1957, al culmine della tensione tra blocco Occidentale e Orientale. Fatti realmente accaduti, rielaborati da Spielberg per il grande schermo, con il consueto codazzo di critici a prescindere che spaccano il capello in quattro, tipo che il cappotto di Tom Hanks però aveva delle striature blu notte che invece quello del vero Jim Donovan non aveva, o che la colazione "Hilton combo" dell'omonimo albergo di Berlino ovest aveva il bacon troppo arrostito. Mai capito perché alcuni non riescono a comprendere che una cosa è un film, altra è un libro o i fatti storici ai quali l'opera cinematografica si ispira. Il regista è un autore, il film è la sua creazione, perché debba in tutto e per tutto ricalcare lo spunto di partenza, l'elemento originale che ha dato la scintilla, Dio solo lo sa. Spielberg si affida al suo feticcio Tom Hanks, il duo è rodato come una coppia di gemelli siamesi. La sceneggiatura è dei fratelli Cohen, curioso a dirsi, considerando il taglio grottesco, surreale e decisamente alternativo rispetto al cinema così "classico" di Spielberg. Eppure la forza di Spielby è anche questa, trovare la sinergia tra la sua Hollywood e l'universo dei Cohen, senza che il risultato strida. Al momento il film ha già incassato più del triplo del suo costo (138 milioni di dollari a 40), il pubblico sta rispondendo bene e si sente il profumo della statuetta dell'Academy.
Jim Donovan è un avvocato del ramo assicurativo (con un passato da penalista ed addirittura la partecipazione al collegio accusatorio del processo di Norimberga) al quale il suo studio assegna la difesa Rudolf Abel, una presunta spia sovietica catturata a Brooklyn. Donovan accetta poco volentieri ma ricopre il suo ruolo col massimo rigore e con tutta la deontologia professionale che gli è riconosicuta. Col prosieguo del processo si rende conto di quanto tutto sia già scritto e di come i diritti del suo assistito vengano sistematicamente violati in nome del bene superiore rappresentato dalla sicurezza degli Stati Uniti. Donovan riesce comunque a far assegnare "solo" 30 anni a Abel, evitandogli la pena capitale. Nel frattempo al confine tra Turchia e Unione Sovietica, Gary Powers, un pilota americano in ricognizione per scattare fotografie, viene abbattuto e catturato dai russi. Processato specularmente a Abel, Powers viene imprigionato e continuamente interrogato. Dalla DDR vengono stabiliti contatti direttamente con Donovan per tentare uno scambio alla pari Abel-Donovan. La Cia mette sotto la propria influenza Donovan e lo investe dell'onere di trattare direttamente a Berlino l'intermediazione. La polizia militare tedesca cattura anche uno studente americano, Frederic Pryor, e si inserisce nei rapporti (poco) diplomatici tra Usa e Urss nel tentativo di guadagnare visibilità e credito come potenza autonoma e indipendente da Mosca. Il compito di Donovan si complica, portare a casa due americani in cambio di un sovietico (a dispetto di quanto la stessa Cia vorrebbe, ovvero privilegiare Powers, abbandonando Pryor al suo destino), verso il quale nutra una stima profonda.
Classico è il termine che più qualifica la pellicola di Spielberg, il taglio della sua narrazione, sia da un punto di vista estetico che contenutistico. Come è stato giustamente osservato, pare di avere a che fare con un film degli anni '40/'50, e Tom Hanks sembra il "nuovo" (si fa per dire) James Stewart, oramai una maschera austera, pulita, distinta, esemplare del cinema spielberghiano. Evocativo il modo in cui Jim Donovan entra in scena, con un primo piano che si apre con estrema lentezza, mentre l'avvocato sostiene una disputa assicurativa con un collega, dando prova di possedere a menadito l'argomento e poter fronteggiare qualsiasi attacco, sempre con flemma ed estrema cortesia. Manca il fumo di una sigaretta (siamo nel 2015, ed il politically correct impone ben altro background rispetto all'ambientazione ruvida che avrebbe immaginato, ad esempio, un Orson Welles) e parrebbe di essere negli anni '50. L'austerità formale di Spielberg è assoluta, sobrietà, vigore, tensione morale, rispetto del realismo (fin dove una pellicola può spingersi), sono elementi trainanti per tutte le due ore abbondanti di durata. Anche laddove la retorica potrebbe strabordare (ad esempio le fucilazioni dei fuggiaschi al muro di Berlino e il conseguente parallelo con i ragazzini di Brooklyn che scavalcano per gioco una rete d'acciaio), la misura di Hanks e di Spielberg mantiene il film su binari commoventi ma mai patetici. Splendido il rapporto tra Donovan e Abel, interpretato da un Mark Rylance che meriterebbe l'Oscar come attore non protagonista. Il suo tormentone "servirebbe?", ogni qual volta Hanks gli chiede perché non sia preoccupato del suo destino, o il racconto che culmina con "stoikiy muzhik" (uomo tutto d'un pezzo), sono da pelle d'oca.
Splendido ogni singolo membro del cast, dalla moglie di Donovan all'avvocato tedesco Vogel, dall'ambasciatore Alexandrovich all'agente della Cia Hoffman, ognuno nel suo ruolo, piccolo o grande che sia. Ottime le musiche di Thomas Newman, che all'ultimo minuto ha sostituito John Williams. Spielberg, mi sia concesso di dirlo come parere del tutto personale e obiettabile, è attualmente il più grande regista vivente e Il Ponte Delle Spie è un film impeccabile, di un'eleganza assoluta. Definito "il miglior thriller di sempre", è un thriller che soffre forse della pressoché totale mancanza di azione, tenendo conto però che non era quello il tipo di thriller che Spielberg intendeva realizzare, quanto piuttosto una storia spionistica didascalica, morale, civile, estremamente carica di umanità e pietà.