
Nosferatu A Venezia (1988) è un pastrocchio nato male e finito peggio, difficoltà produttive, cambio in cabina di regia, le solite bizzarrie di Kinski, una sceneggiatura praticamente inesistente; tuttavia, anche per questa gestazione estremamente sofferta il film si è guadagnato un piccolo posticino nel mio cuore di cinefilo amante del kitsch. Andiamo per ordine; a qualcuno, Augusto Caminito probabilmente, produttore scafato, viene in mente di recuperare il personaggio kinskiano di Nosferatu, quello di matrice Herzog (che poi, ovviamente, risale direttamente a Murnau). L'unico vero legame col film del '78 però è Kinski, perché per il resto è buio assoluto.
L'ambientazione viene trasferita ai giorni nostri (nostri di allora, anni '80), in pieno carnevale, a Venezia. Per qualche motivo si dice che Nosferatu nel '700 sarebbe passato da quella città. Forse lo ha ucciso la peste (...ma non è un non morto?), forse è fuggito via per poi naufragare miseramente in mare, forse non ha mai lasciato Venezia e giace intombato da qualche parte. E dove? Magari a casa di Barbara De Rossi, principessina con una lugubre tradizione di famiglia. Tre secoli prima Nosferatu aveva abitato quella casa amando un'ava della De Rossi, Letizia Canins, in tutto e per tutto identica a lei (un quadro ne ritrae la somiglianza). A Palazzo Canins arriva un vampirologo (Christopher Plummer) a mettere in guardia tutti, ma nessuno lo prende sul serio e durante una seduta spiritica viene evocato lo spirito del dormiente Nosferatu. Proprio Helietta (De Rossi) lo richiama a nuova (non) vita e Nosferatu prontamente risponde. Lasciato il suo sepolcro secolare, si incammina per raggiungere la reincarnazione della sua antica sposa. Nel frattempo appuriamo che nella cripta di Palazzo Canins era seppellita propria l'amata Letizia. Helietta è destinata a prenderne il posto. Nottetempo viene raggiunta da Nosferatu ed i due consumano subito un primo amplesso, ma il principe delle tenebre (secondo solo al Diavolo per malevolenza, ci spiega Plummer) è stanco e afflitto dal peso del tempo, e desidera solo morire una volta per tutte. Questo però non potrà accadere con aglio e paletti di frassino, né mediante esposizione alla luce o al crocifisso (tutti rimediucci). Nosferatu per non "essere" più deve copulare con una vergine che lo ama. E la vergine si trova, è la giovane Maria Canins (Anne Knecht).
- SPOLIER: dapprima Nosferatu la salva mentre lei si getta dall'alto di una guglia, quindi l'accoglie tra le proprie braccia, deflorandola. Ma, sul più bello, Voyagis irrompe e prende a fucilate la coppia, ferendo a morte la sola Knecht. Nosferatu, in un ultimo disperato gesto d'amore, la vampirizza, condannandola alle tenebre eterne. Drammaticamente, il film si chiude mentre Nosferatu, esausto, porta tra le proprie braccia attraverso tutta Venezia il corpo insanguinato di Maria, che implora il vampiro di non abbandonarla mai. Nosferatu è condannato alla sua (non) vita eterna.
Kinski dice tre battute in fila in tutto il film, per il resto si limita a presenziare, fa un po' delle sue facce allucinate, si accanisce contro dei cani in gabbia, palpa seni e cosce con grande generosità (si narra che nella scena d'amore con la De Rossi, Kinski "entrò molto in parte" - soprattutto...entrò - causando una reazione comprensibilmente risentita dell'attrice). La pellicola ha sostanzialmente un'idea, che è Venezia, e non è campata per aria, perché le sue calli all'alba, con la bruma ed i vapori, nel silenzio e nella solitudine totali, mettono una certa inquietudine mista a nostalgia, che poi è il leit motiv del film. Però quella è anche l'unica idea. Il cast è imbarazzante, Plummer e Pleasence sono usati come fossero poco più che comparse alle prime armi, Plummer pare un parodia di serie Z di un Van Helsing rincoglionito, Pleasence è un pretino carta da parati che dice quattro vaccate, mangia e beve. Elvire Audray fa appena in tempo a farsi stuprare da Kinski, la povera Clara Colosimo fa la medium con una permanente che pare lo zucchero filato di Gardaland, Maria Cumani Quasimodo avrebbe potuto avere un personaggio interessante (è la vecchia matrona di casa) ma la sceneggiatura la ignora totalmente. Yorgo Voyagis è il fidanzato della De Rossi, medico e razionalista, che avrebbe dovuto e potuto contrapporsi alle teorie esoteriche di Plummer, ma anche questa possibile sottotrama è bellamente azzerata. Rimangono le due donne di Kinski, una giovane e stupenda De Rossi e la Knecht, entrambe offrono il proprio corpo al vampiro - e agli spettatori - entrambe molto seducenti, ma di recitazione neanche a parlarne. Kinski è Kinski, per di più a fine carriera (e vita), una maschera decadente e affaticata (esattamente come la Venezia che viene ritratta), perfettamente in sintonia con l'aria da robivecchi sfasciacarrozze che pervade questa produzione. E la chiusa con lui che a stento riesce a portare tra le braccia il corpo della Knecht fotografa iconicamente il disastro del film.
Almeno in sei si sarebbero avvicendati dietro la macchina da presa, tra questi Maurizio Lucidi, Squitieri, Mario Siciliano. Al turno di Mario Caiano (regista di peplum, western, gialli, nazi erotici e poliziotteschi, uno che il cinema di genere insomma lo masticava alla grande, Napoli Spara! e La Svastica Nel Ventre, per dire, sono due sue opere) dopo le prime riprese senza Kinski, il polacco si presentò sul set, prese a male parole il regista (l'ennesimo), il quale per tutta risposta se ne andò. Subentrò quindi temporaneamente lo stesso Caminito, anche se poi buona parte del film (la seconda, più movimentata) sarebbe stata diretta da Luigi Cozzi. A lui si devono alcuni effetti speciali come lo stomaco di Nosferatu aperto dalle fucilate di Yorgo Voyagis, il disfacimento del cadavere della Canins sepolta nella cripta, una volta venuta a contatto con l'aria, ed il volo nei cieli veneziani di Nosferatu e della Hecht. Effetti speciali abborracciatissimi e al limite del presentabile ma, visto il contesto generale, non è certo quello il difetto che si imputa al film. Kinski avrebbe dovuto rasarsi i lunghi capelli e truccarsi come nel film di Herzog ma si rifiutò categoricamente. Mille suoi comportamenti - ampiamente prevedibili - causarono il taglio di molte scene e rallentamenti nelle riprese. Nella sua biografia sostiene di aver diretto in prima persona alcuna scene. Attaccabile per mille aspetti, discontinuo, inconsistente, parossistico, Nosferatu A Venezia esprime un alone di tramonto e consunzione che in qualche maniera fanno breccia nello spettatore, e qualche fermo immagine della Venezia notturna ed illuminata dai lampioni è di grande suggestione. Non è un horror, non è un film erotico, ma voleva essere entrambe le cose. E' un fallimento mirabile, ultima testimonianza, insieme al Paganini, della grande follia kinskiana, e di un film che sarebbe potuto essere qualcosa di geniale ma che non lo è stato. Colonna sonora con brani di Vangelis.