Il successo di La Chiave (1983) avvia la vera carriera di Tinto Brass, non perché prima non avesse realizzato altre pellicole e di valore (anzi, i detrattori solitamente individuano proprio in tutta quella produzione pregressa i veri film meritevoli del regista meneghino di nascita ma veneto d'adozione), ma perché è da questo film in poi che Brass finirà sulla bocca di tutti come un regista più o meno chiacchierato ma del quale comunque si parla. Forte del credito acquisito, che per una volta mise d'accordo botteghino e parte della critica, Brass torna sul set e dà corso ad una sua versione de La Locandiera goldoniana (citato esplicitamente nel film, quando Branciaroli regge il libro tra le mani). Le femministe italiane dichiarano guerra totale e permanente a Brass, accusato di mercificazione del corpo femminile, ma stavolta anche la critica cinefila gli si schiera contro; Stefano Reggiani, giornalista, drammaturgo e critico de La Stampa, definì il film "un culto corporale", molto probabilmente iniettando ogni accezione negativa possibile in tale definizione, e però il punto è che Miranda è esattamente quello, "un culto corporale", sia in senso stretto (il corpo di Serena Grandi, che richiede l'articolo determinativo maiuscolo), sia in senso lato, corpo come materialità, edonismo, piacere dionisiaco che affranca dalle inquietudini, dalle sofferenze, dai crucci e dalle angosce, in poche parole vitalismo nonostante tutto, dove "tutto" nel film di Brass sta per guerra e miseria. Miranda infatti è ambientato nell'Italia padana dei primi '50, tra ex fascisti, americani che lavorano ai metanodotti, piccoli padroncini, garzoni di bottega, un paesaggio di figurine di periferia agreste che cercano di rialzare la testa e riprendere a vivere dopo il flagello bellico che ha distrutto economie ma anche vite, come quella di Miranda (Serena Grandi), in perenne attesa del ritorno dal fronte del suo amato marito Gino. Intanto Miranda manda avanti la locanda di famiglia, barcamenandosi tra cambiali e mille pretendenti mediante i quali tampona volta volta i propri debiti. Il suo fido Toni (Franco Branciaroli) pende dalle sue labbra (e non solo da quelle) e gestisce l'ordinario quotidiano mentre Miranda saltella dagli abbracci di un amante all'altro, sempre velata di malinconia e nostalgia per "il Gino", anche se in cuor suo sa che probabilmente non tornerà mai più. - SPOILER: Quando infine la situazione debitoria della locanda sarà stata messa in pari, Miranda cederà finalmente a Toni, dichiarandosi pronta a sposarlo e a dedicarsi devotamente a lui (o forse no...).
Chi ha la bontà di seguire Cineraglio avrà compreso che personalmente nutro stima ed ammirazione per Tinto Brass e che, pur prendendo atto di momenti migliori e peggiori all'interno della sua filmografia, ritengo che si tratti di uno dei nostri autori più sottovalutati (anche e soprattutto per capacità tecniche e di messa in scena), per ragioni meramente moralistiche e perbeniste. Così Fan Tutte (1992) chiude il suo periodo aureo - almeno a mio gusto e parere - e all'interno di questo, Miranda è senza tentennamenti il mio film "preferito" di Brass (del periodo post La Chiave). Qui si raggiunge secondo me il perfetto equilibrio di ogni componente formale e sostanziale. Con Miranda Brass dosa in parti equivalenti ed equipollenti l'erotismo (generosamente presente ma non preponderante o cannibalico rispetto agli altri ingredienti, come invece accadrà suppergiù a partire da metà anni '90 in poi), il racconto (la trama ha una sua rilevanza, pur trattandosi più di una "situazione" generatrice tanto di atmosfere sensuali quanto persino drammatiche, si veda il ritrovamento da parte di Norman/Andy J. Forest del luogo nel quale una notte era stato braccato dai tedeschi), la fotografia (letteralmente stupenda, la scena nella camera d'albergo tra Miranda e Norman accarezzati dalla luce rossastra è pura arte), la sottotraccia di struggente vagheggiamento di giorni perduti, costellati sì di dolori e preoccupazioni, ma anche di una miticità dovuta alla lontananza nel tempo di quel periodo idealizzato. Miranda è insomma il punto di equilibrio perfetto di volgarità, ironia e arte.
Brass racconta che quando Miranda si affaccia alla finestra della locanda, di buon mattino, pettinandosi e rimirando la campagna, si tratta della messa in scena dell'Italia padana che si risveglia e prende coscienza di sé. Assistiamo a tanti uomini indaffarati, biciclette che corrono e lavori che iniziano e dureranno fino a sera; quel "corpo" cultizzato (cit. Reggiani) è esattamente questo, il corpo della nazione - magnificamente incarnato dalla Grandi, emblema della donna italiana degli anni '50 - che riprende vita e aspira a magnifiche sorti progressive. In nuce sono già presenti alcuni topoi tipicamente brassiani, come la legittimità del libertinismo amoroso, il piacere che sovrasta e sovraintende tutto, la gelosia come motore della passione, l'autodeterminazione della donna che controlla e manipola gli uomini come marionette, l'assenza di senso di colpa. L'erotismo alla maniera di Brass è in fondo quello, un gioco che non si autocolpevolizza. I suoi contemporanei hanno quasi sempre ritratto sul grande schermo un tipo di sessualità morbosa, fosca, punitiva, persino lugubre, Brass salta a pie' pari queste paturnie, cercando un approccio fresco, ludico, primitivo, rasserenante, in qualche maniera paganeggiante, antimoralistico, persino "innocente", per quanto tale definizione possa sembrare paradossale.
Serena Grandi è forse il più grande ed autentico capolavoro di Brass. Certo Tinto si era incaricato di rivitalizzare la Sandrelli (che tuttavia era già "la Sandrelli"), certo le varie Debora Caprioglio, Claudia Koll, Francesca Dellera, Julija Majarcuk si riveleranno gran belle figliole, dalla fisicità affatto deplorevole, ma la Grandi è qualcosa di più, è la quint'essenza del cinema brassiano, nella sua dimensione più completa, carismatica ed appagante. Il bello è che la Faggioli (vero nome dell'attrice) ci arriva con oltre una dozzina di pellicole alle spalle, dove ha fatto la comparsa o poco più, Miranda è in effetti il suo primo vero film e da lì in poi verrà inevitabilmente marchiata come la regina del soft-core italiano (Desiderando Giulia, La Signora Della Notte, L'Iniziazione, Graffiante Desiderio, La Strana Storia Di Olga O.). Miranda ha finito col perseguitarla e nei confronti di questo film la Grandi ha sviluppato una sorta di odio/amore. E' una delle poche a non aver rinnegato Brass, anzi lo ricorda sempre con affetto e riconoscenza, tuttavia è anche vero che Miranda le ha tagliato via una fetta di carriera che avrebbe potuto prescindere dall'erotismo (d'altra parte la sua stessa silhouette lavorava contro di lei.....), senza contare che oggi, raggiunti i 60 anni, la Grandi fa fatica a riconoscersi in un personaggio interpretato all'età di 27 anni, per ovvie ragioni. Nel 2013 è arrivato anche un Oscar, vinto - per modo di dire - con La Grande Bellezza, nella quale la Grandi ha una piccola parte, a mio avviso persino umiliante, ma che lei ha accettato e caldeggiato con grande coraggio. E' stato necessario Pupi Avati (che dal 2008 la coinvolge nei propri film con una certa continuità) per dimostrare che la Grandi era "anche" un'attrice.
Preziosissima la colonna sonora del film, ad opera di un particolarmente ispirato Riz Ortolani (coadiuvato nientemeno che da Mozart). Da cineteca la parentesi della festa nel bosco, con danze, cibarie, incontri amorosi, il tutto interrotto da una violenta pioggia e da una zuffa tra i maschi presenti. Brass la gira con una mano felicissima, pare di essere là, si sente l'odore degli alberi, il profumo dei corpi femminili, il vento sulla pelle, le gocce di pioggia, si prova la stessa ebrezza dei commensali, il senso di nostalgia è fortissimo. Inizialmente il ruolo Miranda era stato offerto alla Sandrelli la quale, confortata dal successo de La Chiave, chiese una cifra spropositata (almeno così racconta Brass) e venne cortesemente congedata. Il soggetto lo scrisse Carla Cirpiani, moglie di Brass.