Dopo due film consecutivi con Marilyn Monroe (Il Magnifico Scherzo e Gli Uomini Preferiscono Le Bionde), Howard Hawks affronta le sabbie d'Egitto con un kolossal che rappresenterà il suo primo vero fallimento e che lo allontanerà per un po' dal cinema. La Regina Delle Piramidi (Land Of The Pharaohs in originale) costò molto ma non venne premiato né dal pubblico né tantomeno elogiato dalla critica, anche se decenni dopo è stato oggetto di rivalutazione. In particolar modo Martin Scorsese lo ha difeso a spada tratta, ritenendolo uno dei suoi film preferiti ed elogiandolo per l'attenzione al verismo, una pellicola che ha saputo rappresentare quel periodo storico, creando un clima ed un'atmosfera tali da permetterci di essere lì, assieme al popolo egizio, condividendone usanze, abitudini, mitologia e credenze. Ciò è in larga parte vero; certo si potrebbe recriminare sui costumi disegnati dal francese Mayo, costumista (e pittore) di Amanti Perduti e de La Bellezza Del Diavolo. Joan Collins veste come dovesse recarsi a qualche party hollywoodiano; anche dando un'occhiata alle foto di prova dei costumi (non tutti poi finiti nella pellicola) è facile intuire come la grandeur messa addosso agli attori esondasse ben oltre i confini del Nilo, arrivando diritta agli anni '50, tanto per foggia, quanto per acconciature, ma è anche vero che questo accade quasi sempre con i "vecchi" film. Tuttavia le scollature azzardatissime della Collins colpirono il pubblico, unitamente alla estrema malizia e spietatezza del suo personaggio, la regina di Cipro Nellifer, divenuta poi seconda moglie del faraone Khufu, ovvero Cheope. Senza contare che l'epidermide dell'attrice inglese venne dipinta di scuro per darle una patina più olivastra ed indigena, creando un effetto un po' posticcio.
La cosa interessante del film è che si incentra su un aspetto specifico, affrontato non spessissimo nella cinematografia "egizia", la costruzione della piramide di Cheope. Hawks non si propone di esplorare in lungo e largo vicende di quella civiltà, ma mette a fuoco un evento particolare, delimitato eppure grandioso nella sua importanza, la fondazione di una delle cosiddette meraviglie del mondo, la prima cronologicamente parlando. Cheope (Jack Hawkins) è un faraone ossessionato dall'oro e dalla seconda vita, quella nella quale il suo nome si eternerà. Tutta la sua esistenza è finalizzata a quel traguardo. Sulla sua strada si mette di traverso Nellifer, ambiziosa quanto e più del suo signore. Animata da uno spirito di vendetta (arriva a Luxor da schiava) e da una bramosia di potere senza eguali, trama sin dal primo giorno per mettere le mani sul regno di Cheope, ereditando il suo comando e le conseguenti ricchezze. La sceneggiatura (scritta anche con l'apporto del premio Nobel per la letteratura 1949, William Faulkner) costruisce dei caratteri molto intriganti. Cheope è un grande faraone, amato e stimato (tutta la parte introduttiva nella quale ritorna come il più gigantesco dei re a corte, dopo le sue ultime conquiste nell'ennesima guerra, rende bene l'idea), capace di grandi imprese, guerriero valoroso, ma non per questo privo di zone d'ombra e morbosità; Nellifer è bellissima e di un'abilità diabolica nel perseguire i propri scopi nascosti; Vashtar (James Robertson Justice) è l'architetto che progetta e realizza la piramide, uno schiavo strappato alla sua terra dalle conquiste militari del faraone, un uomo saggio, orgoglioso e competente, che tiene testa ad una divinità vivente come Cheope. Poi c'è Hamar (Alex Minotis), amico e consigliere prediletto del faraone, e Treneth, capitano delle guardie reali, offuscato dalla passione per Nellfer Il suo volto è quello di Giuseppe Rinaldi, che non è l'unico nome italiano nel cast (Carlo D'Angelo, Luisella Boni), visto che gli interni vennero girati agli studi della Titanus a Roma, mentre per gli esterni la troupe si avvalse dell'Egitto e delle vere vestigia dell'antica civiltà dei faraoni. Lo sforzo scenografico è davvero enorme, degno dei grandi kolossal della storia del cinema, se si pensa che la quantità abnorme di uomini che si vedono sul set (intenti a costruire la piramide e demolire pietroni) non è generata dalla computer grafica; oggi sarebbe estremamente più semplice girare un film del genere eppure non ne avrebbe la magnificenza, l'epicità, per certi versi anche la ferocia.
Hawks si sofferma per lunghi tratti sui lavori di scavo e costruzione del tumulo sacro, forse persino troppo, ma si tratta di un elemento molto importante del film, perché a suo modo documenta gli sforzi inumani che una simile impresa richiedeva. Il contraltare dei cantieri è la vita a corte, fatta di vesti lussuosissime, colori sgargianti, gioielli a profusione e donne irresistibili, a cominciare dalla Collins (qui davvero magnifica ed esuberante) fino alla prima moglie del faraone, la dolce Nailla (Kerima aka Miriam Charriére) e alla schiava Kyra (Luisella Boni). Molto suggestivo ed appropriato anche il tema musicale composto da Dimitri Tiomkin. Rivisto oggi, La Regina Delle Piramidi è un film denso e affascinante, pur con tutte le ingenuità immaginabili per una pellicola degli anni '50 che intendeva mettere in scena l'Egitto del 2500 avanti Cristo. Per altro di Cheope sappiamo poco o nulla, le testimonianze storiche che lo riguardano scarseggiano; men che mai è possibile appurare se la rocambolesca fine che ci propone Hawks abbia una qualche base di verità (quasi certamente no). Per la costruzione della piramide il regista si avvalse invece di un apporto tecnico-scientifico che desse concretezza e verità alle immagini.