Goldeneye

Goldeneye
Goldeneye

Sei anni di iato da Vendetta Privata ed un cambio totale di registro. Nuovo regista (Martin Campbell), nuovo protagonista (Pierce Brosnan), la produzione rimane in casa Broccoli ma passa a Barbara, figlia di Albert "Cubby" Broccoli (che passerà a miglior vita l'anno dopo). Dopo la parentesi con Timothy Dalton, non proprio apprezzatissima urbi et orbi, si torna indietro, non proprio alle origini (leggi Sean Connery), ma certamente all'impronta che Roger Moore aveva dato di James Bond. Quindi l'umorismo torna ad avere una componente molto importante e l'eleganza di 007 soppianta la risolutezza un po' troppo cruda e cupa che l'interpretazione di Dalton aveva impresso al personaggio. La differenza viene rimarcata da subito, tra le prime battute che Bond pronuncia c'è quella di portare a compimento la missione "per la regina", come a dire, basta iniziative personali e vendette personali, 007 è al servizio di sua Maestà e dell'Union Jack. Certamente Brosnan è l'attore più prossimo a Moore di tutti quelli che ad oggi hanno rivestito i panni dell'eroe inventato da Ian Fleming. Dello scrittore è stato esaurita ogni riga letteraria, quindi le sceneggiature d'ora in poi diventano del tutto originali ed indipendenti dai romanzi classici (tuttavia Goldeneye era il nome della magione giamaicana di Fleming). Il lustro abbondante trascorso dal capitolo precedente si sente e si vede, anche come contesto ed ambientazione. Adesso sono gli anni '90, inoltrati, Dalton agiva ancora negli '80. Si respira un'aria diversa, più fresca e dinamica, decisamente attuale (e tecnologica). Ciò nonostante vengono ulteriormente spolverati i russi come antagonisti di Bond. C'è la consueta dicotomia tra schegge impazzite del regime sovietico e russi conservatori e comunisti quanto si vuole ma non guerrafondai. Il generale Ouromov (Gottfried John), responsabile del piano spaziale sovietico, si incarica di rubare il Goldeneye, prodigioso aggeggio tecnologico che consente ai satelliti di scaricare su bersagli precisi delle tempeste elettromagnetiche che azzerano qualsiasi congegno elettronico. Ouromov è coadiuvato dalla sgherra Xenia (Famke Janssen), un personaggio piuttosto ardito anche per gli standard bondiani, una femmina alfa, spietata e con qualche turba sessuale da dominatrice sadica che le causa un certo fremito erotico ogni qual volta può scatenare la sua violenza ed il suo istinto di morte e sopraffazione. Più volte la Janssen deve simulare piccoli orgasmi durante l'azione, non esattamente una cattiva "formato famiglie".

Brosnan entra in scena subito, il team Broccoli/Campbell non la tira tanto per il sottile, ci offre subito Bond, dapprima in un bungee jumping di 200 metri da una diga interminabile, poi in una posa da spiderman mentre fredda un povero militare russo, la prima linea di dialogo di Bond è una freddura, appare subito chiaro che Brosnan strapperà qualche sorriso (compiaciuto ed ammiccante) in più dello spinoso Dalton. Niente riferimenti a mogli morte e tormenti biografici, quello di Brosnan è a tutti gli effetti una sorta di reboot, con Bond ringiovanito e risorto a nuova vita. Cambia M (interpretato da una Judi Dench "impiegatizia"), cambia Moneypenny (interpretata dalla graziosa Samantha Bond... nomen omen), confermato invece l'immortale Desmond Llewelyn nei panni di Q. La Bond girl di turno è Izabella Scorupco, modella e cantante polacca. Non una bellezza sfolgorante ma piuttosto versatile come compagna di scorribande di Bond. Goldenye è un deciso cambio di passo, si sente ancora qualche farraginosità, il nuovo corso va messo a fuoco, e tuttavia si respira aria nuova, decisamente più rinfrancante rispetto al 1989. L'aspetto comico è davvero marcato, si pensi a tutta la scena nel laboratorio di Q, praticamente una gag dietro l'altra, oltre al sottotesto ironico di quasi ogni frase che Borsnan pronuncia in scena. Né di può dire che manchi l'azione,l'inseguimento per le strade di San Pietroburgo (addirittura con un carro armato da guerra) è tra le più ambiziose (e distruttive) mai girate nella serie. Non mi ha convinto per niente il personaggio di Alan Cumming, un nerd caricaturale che sembra uscito da un teen movie piuttosto che da una scuola di addestramento del KGB, francamente un personaggio bislacco (troppo yankee e assai poco russo) che affoga nelle faccette cartoonesche e ridondanti di Cumming.

Come è noto Brosnan era già stato interpellato per il ruolo dieci anni prima, ma i suoi contratti televisivi avevano ostacolato il matrimonio artistico. Nonostante i nomi di Liam Neeson, Ralph Fiennes, Daniel Day-Lewis, Mel Gibson e Bruce Willis, alla fine è nuovamente Brosnan a spuntarla. L'azione, lussuosa e cosmopolita, attraversa la Russia, Porto Rico e Montecarlo. Anche le musiche sono all'insegna della novità, stavolta c'è Eric Serra, fresco di successo per Leon di Luc Besson (per la verità, a mio gusto e parere il suo score è affatto memorabile, talvolta persino fastidioso ed inappropriato, come nella scena della corsa in auto tra Brosnan e la Janssen). In compenso la theme song è spettacolare, tra le migliori di sempre, cantata da Tina Turner e scritta da Bono Vox e The Edge degli U2 Il successo al botteghino è spettacolare, guadagnandosi il titolo di miglior prova dai tempi di Moonraker.

Trailer ufficiale

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