Cleopatra (1934)

Cleopatra (1934)
Cleopatra (1934)

Con un approccio più romantico e sentimentale che storico, alla maniera della "grandi storie d'amore della Storia" come Giulietta e Romeo, Sansone e Dalila, Tristano e Isotta, nel 1934 Cecil B. DeMille gira la terza versione di Cleopatra, dopo i due film del 1910 e del 1912. Ci sarebbe per la verità anche il film di J. Gordon Edwards con Theda Bara nei panni della regina, ma venne giudicato troppo osceno per essere proiettato e della pellicola sono sopravvissuti solo 20 secondi (su circa 125 minuti complessivi), a causa di un incendio che ne distrusse le copie. DeMille assegna il ruolo dell'ultima faraona d'Egitto a Claudine Colbert, che nello stesso anno vince un Oscar per Accadde Una Notte di Frank Capra. La Paramount si impegnò in uno sforzo produttivo gargantuesco per soddisfare le mire epiche e storiografiche del regista, tra i membri fondatori dell'Academy. All'epoca DeMille aveva già quasi 70 titoli alle spalle, era specializzato in adattamenti biblici ed era un personaggio di per sé, assai carismatico e pepato (in vita fu un acceso maccartista, fervente cattolico, massone). A causa del suo anticomunismo militante ebbe diversi scontri con colleghi, tra questi anche quel Joseph L. Mankiewicz che nel 1963 girerà una nuova versione proprio di Cleopatra, quella con Elizabeth Taylor. Oggi il film del 1934 risente naturalmente di quasi un intero secolo trascorso, rispecchia una sensibilità ed un approccio alla materia che difficilmente può sposarsi con la sensibilità della nostra contemporaneità, tuttavia l'opera di DeMille conserva un fascino incredibile e continua ad evidenziare tutti i suoi meriti. Al netto della banalizzazione della complessità storica e dei personaggi, è innegabile quanto lo sfarzo, il glamour e la monumentalità dei set, della moltitudine delle comparse e dei costumi sia abbacinante. La piccola e minuta Colbert sembra un gigante, l'Egitto incarnato, rivestita dagli abiti regali (alcuni anche piuttosto audaci) ideati per lei dal costumista Travis Banton. La corte di Cleopatra, il celebre vascello sul quale accolse Marco Antonio seducendolo, le sabbie del deserto egiziano e, in piccola parte, Roma ed il suo Senato, sono resi magnificamente, attraverso ambienti e scenografie degne delle più grandi produzioni hollywoodiane e con quell'inevitabile sapore di art déco che rende (oggi) la visione incredibilmente magnetica e attraente.

Certo, alcuni dialoghi lasciano a desiderare, soprattutto quelli più maschilisti, con Cleopatra che si compiace e mette in conto il fatto che in quanto donna possa essere un mero giocattolo (sessuale) nelle mani del maschio, una sorte che "può anche piacere alle donne"; oggi alcune frasi del film sarebbero impensabili, così come lo svenevole sentimentalismo di una regina che alterna momenti di bieca strategia politica a grandi afflati d'amore da fotoromanzo, creando un contrasto nel personaggio difficilmente risolivile. Al dunque, non appare per niente chiaro se sia l'amore per Cesare che quello per Antonio siano autentici o frutto di calcolo, ma questo non per un'acuta sottigliezza di sceneggiatura, semmai per una certa grossolanità e faciloneria del testo. Ingenuità che vanno messe in conto per una pellicola del '34, anche se incentrata su uno dei personaggi più importanti ed affascinanti della storia antica. E si potrebbe proseguire citando altre "sviste", come i chiavistelli della stanza di Cleopatra sin troppo moderni, la sue scarpe con il tacco e i laccetti, il suo make-up vistosamente anni '30 con tanto di labbra dipinte a cuoricino (alla maniera di Jean Harlow, etc). La Colbert comunque volle infondere una certa umanità alla sua Cleopatra, spingendo maggiormente sul pedale dell'umorismo anche civettuolo anziché ritrarre un personaggio intrappolato nella superbia e nell'altezzosità. All'uscita nei cinema il film fu un autentico evento che fece esplodere le quotazioni tanto della Colbert che del già affermatissimo DeMille. Ricevette 5 nomination agli Oscar ma vinse solo quello per la fotografia. Come detto, la Colbert non chiuse comunque l'anno senza statuetta tra le mani. DeMille invece la vinse solo nel 1953 per Il Più Grande Spettacolo Del Mondo (assegnato al miglior film, come regista non ne ottenne mai una, nonostante la candidatura). Per altro la Colbert girò il film in preda ad attacchi di appendicite (acuiti dall'estrema pesantezza dei costumi) che resero complicata la lavorazione.

I ruoli dei grandi generali romani, da Cesare (Warren William) a Marco Antonio (Henry Wilcoxon) e Ottaviano (Ian Keith) sono forse uno dei punti deboli del film, in tutti e tre i casi abbiamo a che fare con attori non particolarmente accattivanti, assai enfatici nel caso di Wilcoxon (pur lodatissimo all'epoca), caratterizzato purtroppo da un faccione da quarterback davvero poco adatto al ruolo, e comunque non particolarmente belli. William è forse il più brutto Cesare mai visto sullo schermo e benché questa possa apparire una notazione sciocca, va sempre tenuto conto che l'avveneza fisica e la sensualità giocarono un ruolo decisamente importante alla corte di Cleopatra in quella manciata di anni prima di Cristo. Davvero notevole la parentesi della guerra tra Marco Antonio e Ottaviano, combattuta per terra e per mare, di cui DeMille dà un dettagliato resoconto, mostrando una grande inventiva e dispiego di mezzi, tenendo conto di quello che era il comparto tecnico nel 1934. DeMille sfrutta davvero ogni possibilità a sua disposizione, tra immagini dal vero, fondali, modellini navali ed un montaggio frenetico e vorticoso. Altra scena iconica del film è quella della capitolazione di Antonio al cospetto di Cleopatra, con tanto di boudoir montato ad arte dai cortigiani che in pochi secondi creano uno scenario opulento e principesco, per celare (agli occhi dello spettatore) l'unione carnale dei due nemici divenuti infine amanti. Un vero e proprio circo dal forte impianto teatrale che si materializza dal niente, con esibizioni e figuranti di ogni risma e sorta. Più fiacca invece la scena dell'assassinio di Cesare, a tratti quasi "delicato". All'epoca il Variety riportò che alla proiezione italiana del film il pubblico lo accolse con fischi e risate di scherno, e che un critico lo definì "una farsa e un burlesque"; chissà se è vero e soprattutto chissà chi fu questo illuminato critico.

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