Sei anni dopo Nathalie di Anne Fontaine, arriva la versione americana di quella stessa storia. Julianne Moore prende i panni di Fanny Ardant e Amanda Seyfried quelli di Emmanuelle Béart, Liam Neeson invece deve aver indossato i propri, visto che quelli originali di Gerard Depardieu certamente non gli calzavano a pennello. L'azione si sposta da Parigi a Toronto, ed assume - contestualmente alle coordinate geografiche - una patina molto più glaciale ed asettica. C'è poi la Moore (Catherine) che di professione è ginecologa, dunque abituata alla disinfezione sterile degli ambienti. Che assisteremo a qualcosa per cui ci vorrà una buona predisposizione verso l'incredibile lo apprendiamo sin dall'esordio, quando durante un visita nel suo studio la Moore ha a che fare con una paziente che dice di non aver mai provato un orgasmo in vita sua, poiché non ha mai fatto sesso. Si tratta di una bella giovane sui vent'anni, ma noi ci fidiamo ciecamente e proseguiamo oltre. Il punto è che il ménage matrimoniale di Catherine (con il professore universitario David/Liam Neeson) è stanco e sfilacciato, e lei teme persino il tradimento. Gli mette così alle calcagna una escort (Chloe/Amanda Seyfried), per porgergli su di un vassoio la tentazione e vedere se lui la coglie alla maniera del buon Oscar Wilde. La procace biondina relazione puntualmente sugli incontri, sempre meno innocenti e sempre più ambigui. - SPOILER: Catherine si dispera, ma collateralmente prova una qualche eccitazione nel sapere cosa combina il marito con quella lolita. A tal punto che finisce pure lei per cedere (sessualmente) alla ragazza. Quando combina un incontro chiarificatore a tre, si rende conto che Chloe ha mentito, forse per denaro, magari per malizia, ma anche perché nutre un interesse morboso per Catherine e per la sua famiglia nella quale, una volta entrata (avendo conosciuto biblicamente pure il figlio adolescente), non ha alcuna intenzione di uscire.
La prima sensazione che Chloe trasmette è la grandissima eleganza formale della messa in scena. Un film patinato ma davvero prezioso e di bel tratto nel suo dipanarsi, merito del gusto estetico rinomato di Egoyan. Le atmosfere sono magnetiche, si viene centrifugati dentro la storia in un attimo e ci si sente comodamente a proprio agio, nonostante le spine disseminate ovunque. Il cast è perfetto, certo la Seyfried pare un po' una versione economica (e più fatata) di Scarlett Johansson, ma i suoi primi piani sono intensi (e non solo quelli). La Moore è una donna matura di grandissima sensualità, dotata di strabiliante espressività e non serviva certo questo film per scoprire che grande attrice fosse. Neeson è un uomo charmant, anche se ha un po' sempre quell'espressione lignea dipinta sul volto che non mi ha mai permesso di farmene innamorare completamente. Il trio comunque lavora a meraviglia e il loro ping pong sentimentale è un vero e proprio meccanismo ad orologeria. La particolarità di questo triangolo rende molto allettante il film, poiché pur trattandosi della classica geometria formata da un uomo e due donne, la loro interazione si rivela sorprendente ed imprevedibile. Il piatto forte è l'incontro/scontro tra la Moore e la Seyfried, fino addirittura alla scena di amore saffico, che Egoyan eleva a potenza. Tutto alquanto esplicito ma senza la minima traccia di volgarità; onestamente una delle più belle scene lesbo che mi sia mai capitata di vedere su schermo, potente, coinvolgente, naturale. Merito anche delle due attrici, che si donano senza pudori o moralismi ingombranti. L'altra scena di sesso coinvolge la Seynfried e Max Thieriot (Michael, il figlio della ginecologa e del professore), anch'essa decisamente elegante ed assai erotica. Per il resto, il film nel sesso è sostanzialmente parlato (come anche accadeva in Nathalie), con descrizioni minuziose che non lasciano molte zone d'ombra, e sono proprio quelle a mettere su di giri la Moore, la quale quando torna a casa si intrattiene in solitaria nella cabina doccia. Poi Egoyan gioca con le trasparenze sui seni, i colli scoperti, i tacchi a spillo, le gonne sopra il ginocchio e gli sguardi accecanti tanto della Seyfried quanto della Moore.
Un film profondamente erotico ma anche drammatico. Il dialogo che ha luogo tra Neeson e la Moore nel quale - dopo che il sacco è stato reciprocamente vuotato - si tenta di ripristinare un matrimonio andato a rotoli, suona molto vero e genuino, credibile nonostante quanto accaduto sin lì (anche se Neeson butta giù come se nulla fosse la rivelazione sull'ultimo partner di letto della moglie). In un'intervista la Moore sosteneva come Chloe sia sostanzialmente un film sul comportamento (dettato dal giocare con le proprie fantasie) più che un film di "trama" dove accade questo e quello, e nel quale il rotolare di fatti e situazioni determina il racconto. Diversamente, qui è innanzitutto Catherine a far accadere le cose; la sua idea di essere in controllo della propria vita (e parzialmente anche di quelle altrui) si sgretola violentemente e la costringe a venire a patti con le proprie debolezze e fragilità. Il finale gioca con la materia thriller, riservando un ending che non è affatto happy ma tenebroso e morboso. L'ultima scena ha un che di polanskiano, il dettaglio rivelatore della Moore ci porta in tante direzioni diverse - SPOILER: una liaison psicologica mai interrotta con Chloe, sebbene questa sia morta, ed un desiderio di prenderne il posto tra le braccia frementi del marito, sebbene tutta quella costruzione erotica fosse una mera fantasia diventata alla fine più vera della verità).
Egoyan produce il film in appena 37 giorni, un record considerando la qualità delle immagini. Da quanto si legge, la Seyfried non era affatto sicura di recitare il proprio ruolo, preoccupata dai nudi, ma pare sia stata convinta da un amico. In effetti, a ben vedere Chloe (il personaggio) non ha tantissimi nudi; l'erotismo cerebrale che pervade la pellicola, abilmente tessuto dal regista, fa percepire molto più sesso e nudità di quanto non ne mostri. Tuttavia la Seyfried ha i suoi momenti adamitici, che francamente il pubblico credo sia stato ben contento di poter ammirare. Neeson invece non deve avere un ricordo particolarmente felice della lavorazione, avendo perso la moglie (per un incidente sugli sci) proprio durante. La sua assenza dal set ed il suo più che comprensibile stato d'animo portarono ad una revisione della sceneggiatura che mettesse meno in evidenza il suo personaggio (anche se Egoyan ne lodò l'estrema professionalità). Tra i produttori del film, oltre a ai francesi di Studio Canal, anche Ivan e Jason Reitman (rispettivamente, il signor Ghostbusters e figlio). La sceneggiatura è di Erin Cressida Wilson, che aveva già firmato il discreto Secretary (2002). Splendidi gli interni e le scenografie, in particolar modo la casa di Catherine e David e lo studio medico, pieni di vetro, specchi e luce, come a dire che le persone che vivono in vetrina dovrebbero stare molto attente ai propri comportamenti. Vero è che nell'insieme Chloe si può attribuire in modo abbastanza specifico ad una classe sociale borghese e benestante, il che a tratti trasmette un certo senso di snoberia, vanità ed affettazione che rischiano di compromettere la qualità del lavoro di Egoyan. Non mi ha convinto molto il personaggio di Michael, un po' troppo inconsistente, meramente funzionale a ciò che la trama si propone di raccontare, e che naturalmente è già in "analisi" (fondamentalmente per le sue paturnie sentimentali ed il suo essere in piena adolescenza ribelle), come si conviene ad ogni buona famiglia upper class, quasi fosse un preciso codice sociale al quale doversi attenere se si appartiene ad un certo rango.