Visto l'invidiabile successo raccolto da Alien ('79), l'idea del sequel assilla subito i produttori ma, tra brutti soggetti e problemi di assetto societario della 20th Century Fox, ci mette un bel po' ad arrivare. Buona parte del merito lo si deve a James Cameron, coinvolto dopo Terminator (altro notevole exploit al botteghino), il quale scrive una sceneggiatura e riesce a convincere Sigourney Weaver a tornare nei panni del tenente Ellen Ripley. L'attrice temeva di rimanere inchiodata a quel ruolo e certamente anche a lei le idee proposte sin lì per una nuova trama legata agli xenomorfi non erano parse particolarmente forti. Fortunatamente l'avvento di Cameron (e di un cachet notevolmente superiore a quello del primo capitolo), cambiarono le carte in tavola. Lo script le venne costruito addosso tanto che Aliens, pur rimanendo un film corale, lo è in realtà molto meno rispetto a quello di Ridley Scott, nel quale Ripley emerge soprattutto nella seconda metà. Qui è chiaro sin da subito che la volitiva donna sarà l'alfa e l'omega della storia, persino in mezzo ad un plotoncino di marines esaltati. Cameron militarizza il mondo di Alien ("this time is war"); l'impeto deriva dal periodo nel quale il regista lavorò alla sceneggiatura di Rambo II assieme a Stallone. Altro spunto importante deriva dal romanzo Fanteria Dello Spazio (pure quello diventerà un film, Starhip Troopers di Paul Veroheven), tant'è che tutti gli attori che interpretano i marines vengono caldamente invitati a leggerlo, oltre che essere sottoposti a due settimane di vero addestramento militare. Il personaggio di Ripley subisce un'evoluzione esponenziale ma credibile e coerente. Le fragilità e le incertezze si smussano in direzione di un piglio assai più decisionista e carismatico, che lo spettatore può facilmente attribuire alla tragica esperienza vissuta dalla donna, che ne ha inevitabilmente forgiato ed indurito il carattere, l'unica opzione possibile per rimanere viva.
Tematicamente Cameron non fa mistero di riprendere alcune chiavi narrative del primo film, pur ampliandole e gestendole secondo la propria sensibilità. Abbiamo di nuovo il "sintetico" (stavolta interpretato memorabilmente da Lance Henriksen), ma totalmente capovolto rispetto a quello di Ian Holm, abbiamo le mira finanziarie di una compagnia commerciale senza scrupoli, incarnate soprattutto da Paul Reiser, probabilmente nel personaggio più detestabile interpretato in carriera. A ben vedere è lui a fare le veci di Ash. E c'è un epilogo che ricalca pari pari quello di Alien, sebbene ci si arrivi dopo molti fuochi di artificio. Su quella conclusione vanno spese due parole; in tutta onestà è francamente in-credibile, nel senso che in una ipotetica realtà ciò che accade non sarebbe mai potuto accadere, e Ripley avrebbe fatto ben altra fine, risucchiata e sparata via nello spazio esattamente come tutto il resto, veramente arduo credere che un avambraccio ancorato ad una scaletta fosse sufficiente a non essere strappata via. Ma dopo tutto il resto a cui Cameron ci sottopone, non fingiamo di crederci e tutto è bene quel che finisce bene, compresa l'ultimissima inquadratura che ricalca - a mo' di omaggio - quella con cui Scott chiudeva la sua pellicola. Il circo che Aliens erige è divertente in modo strabiliante, tensione, fantascienza, avventura, thrilling ed un pizzico di orrore (molto meno rispetto alle atmosfere claustrofobiche e quasi psicanalitiche di Alien) si mescolano sapientemente, accasando il film in territori di maggior intrattenimento roboante, rispetto all'introspezione sottile e disturbante di Scott. Cameron intelligentemente cambia registro per evitare uno sterile doppione e rivitalizza il mondo degli xenomorfi che, all'altezza del 1986, con una saga tutta da scrivere, era un vulcano di potenzialità.
La prova della Weaver è da Oscar (ed infatti la sua è la prima candidatura della storia come miglior attrice in un film di fantascienza), ma tutto il marasma di soldati spacconi e testosteronici (la Vasquez di Jenette Goldstein più di tutti) è ben assortito e infonde parecchio folclore al luna park. Centrale il rapporto tra Ripley è la piccola Newt (Carrie Henn), che nella versione estesa non cinematografica del film (circa 17 minuti in più) viene molto meglio focalizzato. Vediamo cosa è successo alla famiglia di Newt e soprattutto scopriamo che Ripley stessa ha perso una figlia, essendo stata 57 anni dispersa nello spazio addormentata criogenicamente. Nel frattempo la sua bambina ha compiuto 66 primavere ed è morta. Divorata dai sensi di colpa, Ripley vede in Newt la figlia che non ha saputo assistere e si ripromette di proteggerla ad ogni costo. Questo spiega il feroce attaccamento e la testardaggine finale di salvarla anche quando tutto era contro una simile idea suicida. Inoltre questo rapporto madre-figlia si specchia meravigliosamente in quello tra la regina madre aliena (4 metri e 20 di xenomorfo) e le sue piccola creature. Sotto questa lente, il confronto finale tra Ripley e la regina si eleva a potenza (ancor più di quanto non lo fosse già in origine). Oscar agli effetti speciali ed una colonna sonora fantastica, nonostante James Horner fu costretto a prendere qualche nota in prestito da Star Trek II e III per lo scarsissimo tempo a disposizione concessogli per la composizione. Cameron per altro rimase anche largamente insoddisfatto del suo lavoro (molto meno la Academy che lo candidò agli Oscar). Come nel caso del film-making di Scott, anche per Cameron le riprese furono assai problematiche, con una troupe inglese che lo avversò in ogni modo possibile ed immaginabile, e nonostante ciò guardate che razza di piccolo grande capolavoro Cameron riuscì a realizzare (per altro con un budget da subito ritenuto inadeguato a sostenere il peso di una simile sceneggiatura). Chapeau.