
Capitolo numero otto, sempre Guy Hamilton alla regia, Sean Connery ha lasciato per la seconda ed ultima volta il ruolo e la premiata ditta Broccoli & Saltzman deve nuovamente arruolare un sostituto in grado di reggere un ruolo così importante. La scelta ricade su quella che era già stata a suo tempo la prima scelta. Roger Moore, figlio di un agente di polizia, nonché militare di istanza nella Germania dell'Ovest subito dopo la Guerra, era noto per aver prestato il suo volto a Simon Templar nella serie tv Il Santo, in realtà era anche già stato una volta James Bond, sempre in uno show televisivo, dal taglio squisitamente comico, riguardante la nevrotica vita delle spie. Ed era persino il compagno di Miss Moneypenny, Lois Maxwell, conosciuta durante gli anni di studio alla Royal Academy of Dramatic Art. Dopo il no ai tempi di Licenza di Uccidere ed un secondo no ai tempi di Al Servizio Segreto Di Sua Maestà, finalmente Moore si rende disponibile ed abbraccia un ruolo che manterrà fino al 1985, quando a 58 anni cederà lo scettro a Timothy Dalton (per altro polemizzando sull'eccessivo tasso di violenza che il franchise aveva raggiunto), divenendo lo 007 più longevo in termini di numero di pellicole, ben 7.
Memore dell'esperienza fatta all'indomani dell'abbandono di Connery, il team produttivo gestisce la new entry con attenzione e lucidità. Il budget complessivo impiegato non è faraonico, per contenere eventuali perdite o responsi modesti; al contempo però - dato che Moore non è lo sconosciuto Lazenby - il faccione del nuovo 007 è schiaffato da subito in bella vista, nei titoli di testa non c'è esitazione nell'annunciarlo (mentre con Lazenby lo si era quasi nascosto, puntando tutto sul marchio invece che sull'attore) e dopo pochissimi minuti di pellicola Moore è già in evidenza, nudo e spaparanzato sul letto in compagnia della prosperosa Madeline Smith, che nel film sarebbe l'agente italiana Caruso e che invece, per qualche strano motivo, nella versione doppiata in italiano diventa una spia francese. Da quel momento in poi Roger Moore furoreggia, senza timidezze di sorta, anzi la sceneggiatura (tratta da quello che tecnicamente sarebbe il secondo romanzo di Fleming in ordine cronologico, 1954) si piega alla sua fisicità, al suo savoir-faire e alla sua ironia, addolcendo le parti più rudi, limitando al minimo le scene di colluttazione ed ampliando le parentesi in stile commedia. Questo aggiustamento in corsa si deve allo stile Moore, certamente meno macho e virile di Connery, più sottile, garbato e venato di humour (per altro tipicamente inglese).
Di per sé Vivi E Lascia Morire non è tra i migliori capitoli della serie, perlomeno a mio gusto, Moore ne interpreterà di migliori, ma perlomeno si inizia a respirare aria nuova. Decisamente preferibile la seconda parte rispetto alla prima; diversi gli spunti interessanti, come il ricorso all'esotismo caraibico condito di voodoo e le ambientazioni jazz di New Orleans. Tuttavia nel complesso si avverte una certa mosceria, è evidente che si sta cercando una nuova identità per Bond, si stanno gettando le basi per i futuri capitoli che dovranno essere cuciti attorno ad un diverso interprete rispetto al passato. Rimangono fermi tutti i cliché di 007, aggeggi tecnologici (qui c'è il poderoso orologio magnetico con sega circolare incorporata), Bond girls (alla Smith si aggiungono Gloria Hendry e Jane Seymour), villain con residenze ultra segrete ed iper protette, sicari e scagnozzi folcloristici (qui abbiamo Julius Harris nella parte di Tee Hee armato di uncino spaccatutto di metallo), titoli di testa (la sequenza "gun barrel") a base di sensuali corpi femminili e theme song d'eccellenza (nientepopodimeno che Paul McCartney e gli Wings, con sua moglie Linda). Il film risente di una certa moda della blaxploitation che imperversava all'epoca e infatti si rimpingua di neri ("negri" nel film) che fanno e disfanno, perlopiù criminali, ma ci sono anche un agente della CIA e una spalla taurina che aiutano Bond a sconfiggere il terribile primo ministro di Santa Monica, isola dei Caraibi, leader tutto voodoo ed eroina. Curioso tuttavia che mentre nel film si sfruttava questo fenomeno commerciale, dietro le quinte i rapporti tra bianchi e neri non fossero altrettanto paritari, visto che il principale stuntman di colore doveva far parte di un'associazione di stuntmen neri come lui e non poteva ad esempio appartenere al sindacato dei professionisti bianchi. Notevoli le scene col barone Samedì (Geoffrey Lamont Holder) in azione, molto hollywoodiane e stilizzate (praticamente delle coreografie da musical, e del resto Holder quello era, un ballerino), ma non per questo meno suggestive. Gli inseguimenti derogano dalla solita corsa in automobile e si affidano a motoscafi ed aeroplani. Ci sono poi serpenti e coccodrilli pronti a sbranare Bond ed un tocco di eccesso gore quando il super cattivo Kananga (Yaphet Kotto).... fa la fine che fa.
Dolcissima la Solitaire di Jane Seymour, una Bond girl meno grintosa e volitiva di altre ma piena di mistero e delicatezza (e scollature). C'è chi l'ha definita tra le più insipide di sempre, ma forse non si era visto Una Cascata Di Diamanti. Bruttine davvero le scene di lotta, si vede che non è il pane di Moore, spesso l'antagonista aspetta platealmente che arrivi il cazzottone. Manca il personaggio di Q, c'è quello di M, Miss Moneypenny si vede costretta a reggere il gioco a Bond quando la sua amante è nascosta in un armadio (povera Lois Maxwell), George Clifton James interpreta uno sceriffo molto comico. Finale beffardo con il personaggio del barone Samedì - già morto e rimorto nel film - che compare per l'ennesima volta, seduto sulla locomotiva del treno che sta portando 007 e Solitaire (indaffarati immaginiamo in cosa....), a mo' di scorta, e prorompe in una sprezzante risata da vero satiro dell'Oltretomba.