Adagio

Adagio
Adagio

Che Adagio sarebbe stato un film che avrei gradito me lo aspettavo, è nelle mie corde, il regista, l'humus, i codici del cinema di Sollima affondano a piene mani nel genere italiano degli anni '70 e '80, dunque era un po' come giocare sul velluto. Non ero sicuro di quanto nomi come quelli di Favino o Servillo, molto ingombranti, avrebbero saputo calzare quelle scarpe, né quanto ad esempio il clima distopico e apocalittico che si evinceva dal trailer sarebbe poi stato all'altezza della narrazione e di eventuali effetti speciali impiegati da una produzione di livello ma certo non dai budget faraonici del cinema italiano "impegnato". I riferimenti alla banda della Magliana e il "solito" Califano (prezzemolino di ogni film criminale romano) mi suonavano magari un po' abusati ma, detto tutto ciò, avevo voglia di vedere il film di Sollima e scoprire se tutto il bene che se ne diceva era giustificato oppure no. Una volta terminati i titoli di coda non ho potuto che concordare con quanto di buono letto e sentito su Adagio, è davvero un gran bel film, del quale si fa fatica a trovare dei difetti (di sostanza). Prima ancora di parlare degli attori, la grande protagonista della pellicola è la città di Roma. Adagio è un atto d'amore e di accusa al contempo verso l'Urbe, una città ritratta in mezzo a fiamme tanto reali quanto metaforiche, Roma brucia e con essa i suoi figli, i suoi valori, la sua storia, la sua anima. Non è la Roma del Colosseo, dei Fori Imperiali, del Pantheon e della Fontana di Trevi, è una Roma "losangelina", con strade a grande scorrimento sempre intasate, pompe di benzina, stazioni ferroviarie ed un brulicare continuo di formiche che vanno in ogni direzione. Una città contemporanea e ansiogena.

Per fortuna Sollima non si incaponisce a mostrare gli incendi come fossero un elemento da spettacolarizzare, sono piuttosto una chiave narrativa che rimane in background ma alimenta le scelte dei personaggi. Lo stesso dicasi per i frequenti blackout elettrici, tutti mezzi per dispiegare quanto accade nella storia e farlo indossare ai personaggi. Il mondo abitato da Sollima è quello della criminalità, una vecchia criminalità oramai dismessa e rimasta "appesa" da qualche parte nei quartieri popolari di Roma, in appartamenti assediati dai cavalcavia, dal traffico soffocante, da luci, suoni, rumori e gas di scarico. In questo mondo sommerso e degradato un ragazzo sta cercando di salvarsi la pelle ma chi sta tentando di fargliela non sono i "cattivi" bensì i "buoni". Un assioma importante per Sollima è che questi due concetti non solo sono interscambiabili ma di fatto forse neppure esistono, perché tanto un carabiniere può essere al contempo un amoroso padre di famiglia ed un corrotto assassino implacabile, quanto dei malviventi patentati con sentenze passate in giudicato possono trasformarsi più o meno consapevolmente in buoni samaritani senza che ci sia nessun utile o interesse concreto a guidarli.

Nomi blasonati come i suddetti Favino e Servillo si mettono diligentemente al servizio di Sollima, trasfigurandosi anche fisicamente. Servillo incespica un po' con il romanesco, ogni tanto si sente che l'accento partenopeo scalpita per affacciarsi in superficie, ma tutto sommato regge bene. Favino forse esagera andando un pelino sopra le righe, come gli capita spesso nella sua ansia da zelig in servizio permanente effettivo del cinema italiano, ma anche la sua è una gran prova. Eccellente come sempre Mastrandrea, anche se dura poco nel film. Monumentale Giannini in un ruolo affatto semplice (ma nessuno di quelli citati lo è), capace di cucirsi addosso il personaggio alla perfezione. I meriti sono evidentemente corali, da Sollima al cast (compreso l'esordiente e molto convincente Gianmarco Franchini), dal direttore della fotografia alle musiche dei Subsonica (non credevo sarei mai arrivato a dire una cosa del genere). Adagio è un film intelligente con molti guizzi (la sparatoria al buio, il twist di Servillo, il finale senza redenzione, fotogrammi di pura poesia come lo stormo di uccelli che preannunciano la pioggia di cenere, etc), solido, senza un solo minuto in più del dovuto. Un film quasi esclusivamente al maschile, segno che per una storia noir, di vendetta e speranza come questa, non c'era posto per personaggi femminili. Un mondo al crepuscolo che implode su se stesso e che, prima di sgretolarsi del tutto, ha un'ultima fiammata catartica. Perché Adagio si chiama Adagio? Il riferimento è alla differente velocità di Favino/Servillo/Mastrandrea in una realtà che oramai non è più a loro misura? Certamente tale è il ritmo narrativo, che si prende il suo tempo, cresce respirando pur arrivando ad un climax finale che si contrappone ad una costruzione paradossalmente tutta in anticlimax. E si... Califano con la sua "Tutto il resto è  noia" è una scelta prevedibile, telefonata, qualcuno ha detto "pigra", ma è la morte sua sulle ceneri di quell'inferno morale, c'è poco da fare.

Trailer ufficiale

Galleria Fotografica