Via Montenapoleone

Via Montenapoleone
Via Montenapoleone

Dopo Yuppies ed una serie di film molto sbilanciati sulla commedia, i Vanzina volevano cambiare aria, emanciparsi dal comico a tutti i costi, che sentivano un filone iper inflazionato ed anche un po' incattivitosi in chiave troppo cinica, inoltre stava diventando un'etichetta quasi impossibile da levarsi di dosso. C'erano già stati due gialli, Mystere (1983) e Sotto Il Vestito Niente (1985), che purtroppo verranno rivalutati solo qualche anno dopo e che lì per lì non avevano certo fatto sobbalzare i critici sulle loro poltrone. Via Montenapoleone diventa il primo film "serio" (inteso come non necessariamente alla ricerca della comicità), nel quale i fratelli si cimentano sotto molteplici aspetti, sceneggiatura, regia di Carlo e produzione assieme a Cecchi Gori. Carlo e Enrico ci credono al 100%, lavorano ad un cast corale e molto ricco, e scommettono su una modella newyorkese al suo secondo film ma al suo esordio assoluto in Italia, Carol Alt, che diverrà poi un habitué del nostro cinema e verrà nuovamente impiegata dai Vanzina per I Miei Primi 40 Anni, il loro film immediatamente successivo. Carlo Vanzina aveva molto apprezzato Speriamo Che Sia Femmina di Monicelli, del quale era stato aiuto regista per parecchi anni; a suo modo Via Montenapoleone, oltre a voler essere un film attuale e contemporaneo, calato nella società italiana (e segnatamente borghese e lombarda) del periodo, era nell'idea del regista una sorta di versione urbana della pellicola di Monicelli, che aveva invece un'ambientazione agreste. In entrambi i casi il punto di vista privilegiato era quello delle donne.

Tutto ha inizio lungo via Montenapoleone a Milano, una strada che è un simbolo dell'opulenza, della vitalità della Milano da bere degli anni '80, la casa della borghesia (dopo il logo di Cecchi Gori una scritta in sovraimpressione ci avvisa che il film è presentato dalla Carta American Express). Un'aspirante modella si infila in un'agenzia di moda alla ricerca di un contratto mentre Peter Van Wood canta la canzone che dà il titolo al film, una specie di acquerello molto fedele del formicaio meneghino. La sceneggiatura procede per quadretti, una serie di episodi che scorrono in contemporanea inframezzandosi vicendevolmente. Carol Alt è una sciùra agiata in cerca di primo impiego, che finisce per trovare il suo primo amante (Fabrizio Bentivoglio in un ruolo perfido) e rimanerne scottata, Luca Barbareschi è un giornalista cinematografico gay con problemi di accettazione della propria identità, Renée Simonsen è una fotografa pubblicitaria ossessionata dalla sua indipendenza e con un padre scommettitore e perennemente indebitato, Marisa Berenson è una madre col complesso di Edipo al contrario, Paolo Rossi è un rampantissimo yuppie in procinto di sposare la sua Sharon Gusberti. Il taglio dato ai personaggi è più profondo e sfumato del solito; nonostante tutto non mancano comunque siparietti comici, affidati perlopiù a Paolo Rossi (quasi lo stesso ruolo che poi i Vanzina gli affideranno in Montecarlo Gran Casinò) e minimamente agli interventi leggeri di Gianfranco Manfredi. Le donne sono effettivamente il motore di tutto, nel bene e nel male, ma in realtà nessuna di esse è ritratta con particolare cattiveria, anche laddove vengono commessi degli errori sono sempre dettati dalla buona fede e dalla voglia di amare.

I Vanzina sottolineano come oltre ad un buon cast, il film debba distinguersi anche per la cura dei dettagli e della cornice, dunque ambienti credibili, belle scenografie e costumi all'altezza. Investono parte del budget in questa attenzione al dettaglio, tant'è che l'uso di pellicce, vestiti d'alta moda, accessori e di appartamenti finemente arredati è decisamente vistoso. Le musiche si abbeverano a pieno alle hit del periodo, tramutando il film - se visto oggi - in una botta di nostalgia notevole. Di ottimo livello le interpretazioni della Cortese e di Barbareschi (madre e figlio, nel film), ma anche le modelle Simonsen e Alt danno prova di reggere agilmente i rispettivi personaggi. Lo stesso dicasi per la Berenson, Corinne Clery e più in generale tutti gli attori sono meritevoli di plauso, contribuendo alla buona resa del film. Il solo Paolo Rossi suona leggermente sopra le righe, segno che evidentemente i Vanzina non erano pronti a dare un taglio netto allo spirito yuppies. C'è anche tantissimo cinema nel film, Paolo Rossi esce dalla sala nella quale viene proiettato La Mosca di Cronenberg (che però non piace a Sharon Gusberti), mentre ogni volta che Barbareschi è in redazione (il suo giornale pare fare il verso al magazine Ciak) vengono inquadrate locandine diverse di celebri film come The Blue Brothers, Mission, Moonwalker, etc. Via Montenapoleone è un film elegante, come il titolo richiedeva, meno immediato e superficiale come approccio alla sceneggiatura rispetto agli standard dei fratelli Vanzina, che però sono sempre gli standard dei Vanzina, quindi né Monicelli né tantomeno Vittorio De Sica. C'è sempre una certa linearità e "vuotezza" di fondo.

Marco Giusti scrive correttamente di "fragile impalcatura ideologica" e di sentore di "palinsesto televisivo", ma questo deriva anche dal contesto e dal periodo, ed in fin dei conti finisce col fare il gioco del film che, volendosi occupare della Milano borghese e socialista degli anni '80, fatta di belle donne, pellicce, televisione, moda, apparenza, lusso e rapporti sentimentali molto liberi, trova nei Vanzina i cantori ideali. Via Montenapoleone era sentito da Carlo ed Enrico come il loro film della "maturità" e col quale speravano di emanciparsi dalla malevolenza di certa critica, che invece insisterà fino all'ultimo dei giorni di Carlo Vanzina a ritenere i suoi film sciocchi e privi di valore artistico (di questo film Mereghetti ha scritto: "uno dei film più squallidi del decennio; non vale la pena dirne di più"). Locandina un po' astratta e ingannevole perché, anche se restituisce il "clima" del film con tanto di lusso, capelli cotonati e amori promiscui, non ritrae quello che dà ad intendere, ovvero un ménage à trois tra la Simonsen e Carol Alt, amiche e complici nel film. Esiste una versione televisiva di 180 minuti, decisamente più ampia rispetto ai 104 cinematografici, il che sposta quasi il film nell'ambito di una miniserie televisiva. Molto modesto invece il dvd Cecchi Gori, che però è anche l'unico esistente (e che riporta la versione di 104 minuti).

Trailer ufficiale

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