Venere In Pelliccia - secondo film tratto dall'omonimo romanzo, dopo quello nostrano con la Antonelli - è un lavoro delizioso, godibilissimo, sottile, acuto, frizzante; e vabbè, mi piace vincere facile, Roman Polanski non è mica Francesco Bruni. Però c'è un però, e ve lo dico dopo... Polanski fa del metacinema, costruendo un film ambientato in un teatro nel quale uno sceneggiatore sta allestendo uno spettacolo tratto dal suo adattamento del romanzo di Leopold Von Sacher-Masoch Venere In Pelliccia. Scatole cinesi, anzi austriache (e pure un po' franco-polacche) per una simpatica guerricciola di personaggi e di sessi tutta racchiusa in 96 minuti, dentro le mura del teatro, durante una notte di pioggia.
Le audizioni per il ruolo di Wanda von Dunajew sono terminate da un po' quando, con estremo ritardo, Vanda si presenta a teatro, bionda e statuaria con le fattezze di Emmanuelle Seigner, disperatamente intenzionata ad ottenere quella parte. Il commediografo Thomas (Mathieu Amalric) inizialmente recalcitra, è tardi e l'attrice non sembra neanche adatta alla parte, verbosa, polemica, volgare, pure un po' stupidina. Grazie ad un'insistenza asfissiante Vanda ottiene di provare il testo con Thomas. Una volta sul palco, l'uomo rimane rapito dalla compostezza e dalla verosimiglianza dell'interpretazione di Vanda. La donna si trasfigura letteralmente, assumendo un tono elegante, sicuro, consapevole, spavaldo. La prova procede ben oltre le prime tre pagine di copione pattuite e Thomas, nonostante i ripetuti battibecchi sul palco, si convince sempre più che Vanda sia la perfetta Wanda. - SPOILER: la piece arriva al suo culmine, replicando sui veri interpreti in carne e ossa la "maledizione" di Sacher-Masoch; nell'ultima scena, un inerme e sconfitto Thomas giace legato ad un cactus di scena, vestito e truccato da donna, mentre Vanda lo umilia danzando come una delle baccanti di Tebe al cospetto del re Penteo (sottotesto della Venere In Pelliccia).
Polanski si diverte scolpendo un finissima battaglia intellettuale, riempiendo di sfumature, allusioni e citazioni colte i dialoghi. Due attori, unità di spazio, tempo e luogo, si ha quasi l'illusione di assistere ad un unico lungo piano sequenza, anche se così, tecnicamente parlando, non è. Classica situazione teatrale, a rischio noia e prolissità, pericoli magnificamente schivati da Polanski, che è maestro in situazioni simili. E qui veniamo al "però" di cui sopra. Il precedente lavoro del regista è stato Carnage (2011), per il quale potrei adoperare suppergiù gli stessi aggettivi usati per descrivere Venere In Pelliccia. Ed il punto è proprio questo, per quanto i due film siano innegabilmente eleganti, godibili e raffinati, sono anche fondamentalmente simili come impostazione. Polanski gioca di mestiere, fa quello che sa fare meglio, non rischia poi molto, si adagia sulla sua abilità di destreggiarsi in situazioni così stringenti e risicate. Una sfida per qualsiasi altro regista, una passeggiata per lui. Quisquilie mi si dirà, davanti a tanta grazia e ben di Dio, e probabilmente avete pure ragione, è che dopo pochi minuti dall'inizio del film ho sentito immediatamente rimbalzare l'eco di Carnage in questo film, e in qualche misura quel rumore di fondo mi ha un po' infastidito. A parte ciò, Venere In Pelliccia sarebbe da proiettare nelle scuole di cinema, servirebbe a tutti, attori, regista, sceneggiatore, tecnico delle luci, costumista, autore delle musiche. Ogni pezzo qui trova la sua collocazione perfetta, idilliaca, ogni tessera del mosaico quadra che è un piacere. Polanski è un geometra della sceneggiatura, scritta per altro assieme a David Ives (il vero autore del vero adattamento teatrale al quale si ispira il film).
Con Venere In Pelliccia ho pure riscoperto la Seigner; che fosse una gran cavallona mi era chiaro da tempo, ma la sua recitazione algida e legnosa mi aveva sempre lasciato freddino. Beh, o ci avevo capito poco io, o nel frattempo è successo qualcosa, perché qui la Seigner recita divinamente, e l'espressività è proprio il suo cavallo di battaglia (aiutata anche da un doppiaggio italiano, ad opera della "solita" Emanuela Rossi, magnifico). Erotica, misteriosa, ambigua, sfuggente, irresistibile, magnetica, un grattacielo di personalità che si affacciano senza soluzione di continuità durante i 96 minuti di pellicola; dal canto suo Amalric le tiene testa come può, una sorta di alter ego di Polanski (anche fisicamente), intellettualoide più che intellettuale, goffo, impacciato e un po' represso. Il divertimento consiste nel fatto che i due attori interpretano (nel film) due attori che interpretano (in teatro) due personaggi con i quali fanno continuamente corto circuito. La prova è interrotta sistematicamente dai commenti di Vanda e Thomas, che glossano le azioni e i discorsi di Wanda e Severin, sovrapponendo e confondendo realtà e finzione narrativa. Polanski procede come il gatto col topo, dando ad intendere che non solo Vanda e Thomas potrebbero ospitare al loro interno i veri Wanda e Severin, ma che addirittura potrebbero scambiarsi i ruoli, cosa che in effetti poi accade. Desiderio, volontà, ragione e sentimento si mischiano inestricabilmente, creando un metamondo nel quale quello che sta accadendo in quel momento ed in quel luogo è l'unica vera realtà possibile.
E' tutto sulle spalle della Seigner e di Amalric, che troneggiano alla grande sul tappeto rosso che Polanski ha preparato loro. Un film splendidamente ameno, giocoso, farsesco. E alla fine ti rimane il dubbio che ironicamente Polanski ci abbia messo del proprio (come Thomas afferma di aver fatto col suo adattamento di Sacher-Masoch). Viste anche le somiglianze fisiche, la presenza della Seigner, i suoi trascorsi fetish di Luna Di Fiele, secondo me Polanski ci ha un po' confessato tra le righe come ama passare il tempo libero con la sua Emmanuelle (che per altro in reggicalze e negligé sta divinamente). E buon divertimento allora!