
Atroce, onestamente non ci sono molte altre parole per definire questa pellicola di Michele Quaglieri, risalente al 1991 ed arrivata ai giorni nostri anche grazie al dvd Minerva, il cui master lascia alquanto a desiderare (fuori sincrono dei dialoghi, traccia del commento musicale fastidiosamente cantilenante, fotogrammi saltati con effetto comica di Benny Hill, etc.). Onestamente, se lo si vuole "analizzare" da un punto di vista prettamente erotico, ok, allora abbiamo diverse signore che si concedono alla macchina da presa, alcune di esse pure discrete; se invece ci interessa il lato artistico della faccenda, beh allora Una Donna Da Guardare è insalvabile, orrendo, neppure degno del "so bad so good", perché semplicemente è girato male, montato peggio (da Mario Bianchi per altro) e recitato da cani. La trama ha persino velleità sci-fi, alla Salto Nel Buio; Gianni Luraghi (Mauro Vestri) è il direttore del famoso Centro Italiano Divulgazione Moda (C.I.D.M.) e soffre di impotenza. Il tutto è dovuto - scoprono gli psicologi - ad un trauma causatogli dall'essere stato scoperto a letto con la propria fidanzata (di almeno 20 anni più giovane) dal padre di lei. Da allora l'alza bandiera fa cilecca. La terapia rivoluzionaria del prof Müller (Giorgio Ardisson) prevede l'ingerimento di una pillola contenente una mini ricetrasmittente, praticamente Luraghi inghiotte un microfono che via radio farà sapere in tempo reale al prof. Müller come vanno le avventure sessuali del direttore del Centro Moda. Il consiglio del medico è avere più rapporti sessuali possibili. Luraghi così si dà da fare, prende una pausa dalla propria fidanzata storica (Cinzia De Carolis), se ne va su un'isola e abborda chiunque. Solo dopo molti tentativi s'imbatterà in una psicologa (Sonia Topazio) che saprà risolvere il "problemino" - col metodo più antico del mondo per altro - anche se a Luraghi rimarrà l'ossessione di una bellissima donna (Pamela Prati) forse vera, forse immaginata, che lo assilla dall'inizio del suo viaggio.
Va tutto male in Una Donna Da Guardare; il titolo allude ad un eroticone a tinte fosche, o perlomeno morbose, roba da buco della serratura e turbamenti inguinali, mentre siamo alle prese con una commedia sciancata che addirittura la butta sul nanotecnologico (incurante delle 12.500 lire di budget con cui all'epoca sarà stata realizzata). L'inizio è concitatissimo, non so se per colpa di un master rovinosamente segnato dal passare del tempo o per un montaggio scientemente voluto tale, ma le scene si susseguono freneticamente, con fotogrammi letteralmente disposti alla come viene viene, quasi non ci si capisce niente. Si ha subito il senso di una farsa ridicola, di una parodia involontaria, col povero Ardisson costretto a fare il professore della situazione, cognome tedesco, capello nazionalsocialista, ed una faccia che non ci crede nemmeno lui. Tiene "conferenze" in una specie di saletta riunioni da azienda di periferia, con studenti un po' troppo cresciutelli e soprattutto antipatici come lo scorbuto. La sua assistente è Elisabetta "focosa" Focardi, una biondina bollente che sotto il camice ha solo biancheria intima e collant (e che ha evidentemente delle tendenze lussuriose verso gli uomini molto più maturi di lei). Il protagonista del film, il mitico Luraghi - boss di un centro divulgazione moda, anche se si veste come un pensionato della briscola della Casa del Popolo del 1972 - è sballato in modo imbarazzante. Mauro Vestri è totalmente inadatto al ruolo, per età, per fisicità, per montatura degli occhiali, colore delle unghie e qualsiasi altro dettaglio vi possa venire in mente. I suoi approcci a donne sempre più giovani sono un mistero. Vanno tutti (molto realisticamente) in porto, la Topazio addirittura è sposata con un bel fustacchione ma, incomprensibilmente, si sente attrattissima dal fu Guidobaldo Maria Riccardelli, pergiunta impotente. E non c'è niente da fare, cadono tutte ai suoi piedi. Le facce della Prati, dal fisico possente e scultoreo, mentre amoreggia con Vestri sono tutto un programma, indiscutibili le qualità recitative della ex primadonna del Bagaglino, dopo questo film avrebbe meritato l'Oscar, alla faccia dei detrattori.
E veniamo proprio alla Prati, il suo è un ruolo onirico; nel film si chiama Pamela (semplifichiamo....) e appare in un servizio di Playmen, rivista che Luraghi sfoglia avidamente sul traghetto. Da lì in poi Pamela si materializza continuamente, a tette nude, e frulla attorno a Luraghi, ammiccando e seducendolo. Quale sia la sua funzione esattamente non è dato di capire, una sorta di Trilli erotica che stuzzica Luraghi, il quale intanto i suoi "problemi" sessuali se li risolve da sé, con la ruspante psicologa. Da notare che in tutto ciò, l'utilità del microfono intestinale (che normalmente sarebbe stato espulso alla prima defecazione) non è molto chiara; ammesso e non concesso che dalle viscere il Prof. Müller avesse potuto carpire dialoghi ed informazioni mediche utili al caso, in che modo poi dalla diagnosi si passi alla prognosi rimane insondabile. L'unico vantaggio del microfono è che gli incontri sessuali di Luraghi risvegliano gli appettiti sessuali dell'assistente del Prof. Müller, che infatti alla fine, in un giocco di chiappe incrociate, si accoppia col luminare mentre Vestri doma la Topazio. Non poteva mancare la classica scena di pieriniana memoria dello spogliarello spiato dal buco della serratura, addirittura doppio stavolta, visto che si prestano la Prati ed una tizia con due cocomeri enormi, vagamente somigliante a Loredana Romito, e pure un po' ninfomane. Luraghi è persino inseguito dalle donne (vedi la studentessa in pelliccia ad inzio film, o questa anonima spogliarellista d'albergo) ed è costretto a rifiutare le offerte per mancanza di "operatività". Un vero tombeur de femme, nonostante l'aspetto da ragioniere. Vispa anche la copertina scelta per il dvd, che ritrae la Prati con un biondo che assolutamente non è Vestri né alcun attore o comparsa presente nel film.