Tra Le Finte Bionde e Miliardi, Carlo Vanzina si occupa di trasporre al cinema il romanzo di Corrado Augias e Daniela Pasti, Tre Colonne In Cronaca. Lo fa impregnando le pagine del libro con il proprio stile, spalmando il film tra Roma e Milano, non solo geograficamente ma anche linguisticamente, addossando a Massimo Dapporto il fardello di un (improbabile) dialetto lombardo, mentre Sergio Castellitto sbraca parecchio col romanesco. I due sono amici, rispettivamente commissario di Polizia e giornalista, e si danno man forte nelle indagini sul caso di (un apparente) suicidio di un faccendiere, che si rivelerà poi un omicidio. A ritroso da quella morte si risale ad un avventuroso tentativo di scalata societaria di un quotidiano (che sembra proprio La Repubblica) da parte di uomini di borsa manovrati dalla politica (l'onorevole Spanò, interpretato da Carlo Giuffré, naturalmente un "uomo d'onore") e coadiuvati da Servizi Segreti deviati e terroristi arabi e libanesi. Un pot-purri di malaffare italico che non lascia nessuno fuori dalla consueta cerchia di doppiogiochisti e complottisti che si agitano dietro le quinte. Il dialogo sul finale tra Dapporto e Castellitto è paradigmatico in tal senso, sciorinano vari casi oscuri della cronaca nera italiana (Sindona, Calvi, Pinelli, etc) attribuendoli ai "poteri forti", veri burattinai dell'Italia. La pellicola si muove a metà tra il film di denuncia sociale e il giallo vero e proprio, e sarà la risoluzione finale a virare nettamente sul letterario citando Edgar Wallace come chiave di volta. Del resto il personaggio di Dapporto è un avido lettore di gialli, ne vediamo una cassa piena, li compulsa di continuo e lo spettatore ha modo di vederlo leggere Agatha Christie e il suddetto Wallace.
Vanzina ibrida il giallo puro a sfondo politico con il suo cinema più glamour e di intrattenimento. I fotogrammi sono pieni di caratteristi e partecipazioni più o meno pregiate. Demetra Hampton, fresca di serie tv su Valentina andata in onda su Italia 1 nel 1989, è la bellezza che si occupa di mostrare le proprie nudità, mentre a Senta Berger è riservato un ruolo più chic ed enigmatico. Da Gianni Bonagura a Sandro Ghiani, da Joss Ackland a Paolo Malco, da Clara Colosimo a Tony Sperandeo, è una platea di facce giuste tutte funzionali al racconto dai toni poliziotteschi, con qualche accento più comico (soprattutto per Dapporto, Castellitto e Sperandeo) e decisamente prosaico, alla maniera del cinema popolare che ha fatto la fortuna di Vanzina, tanto da trasformarlo da popolare a commerciale. Anche se Tre Colonne In Cronaca in realtà non ebbe granché successo al botteghino. C'è un curioso Gian Maria Volonté, che qualcuno identifica con Eugenio Scalfari, particolarmente compassato, sornione, malinconico e nichilista. Ci sono alcune scene notevoli, perlomeno come cornice, regia e fotografia, penso al confronto tra Volonté e John Whalley tra le montagne della Svizzera, o all'incredibile appartamento di Malco, il suo scannatoio arredato all'ultimo grido degli anni '80 (anche se siamo nel 1990). Dal punto di vista formale il film è leggermente più curato dei soliti standard vanziniani, con la fotografia di Luigi Kuveiller e le musiche di Ennio Morricone che echeggiano atmosfere alla Indagine Su Di Un Cittadino Al Di Sopra Di Ogni Sospetto e La Piovra. Castellitto vinse un David (abbastanza incomprensibile sinceramente) come miglior attore non protagonista.
I vistosi riferimenti alla cronaca contemporanea azzopparono un po' il film. Alcune citazioni sono esplicite (come Gianni De Michelis e Francesca Dellera), altre sono telefonate ma abbastanza comprensibili leggendo tra le righe. Un azzardo insolito per il compassato e morigerato Vanzina, il cui humus di riferimento era certamente il mondo Fininvest. Il suo piglio non è mai stato quello dell'autore, tantomeno impegnato e indignato, bensì quello del cineasta che mira ad un prodotto di intrattenimento, possibilmente ben congegnato, un gioco che lungo la visione del film si fa scoperto e che naturalmente venne stigmatizzato dai critici, soprattutto quelli con la erre moscia, quelli che preferiscono Le Carré alla Carrà, tanto per citare (al contrario) una battuta del commissario Dante Morisi di Massimo Dapporto.



