Ho cercato in ogni modo di vedere al cinema The Last Showgirl ma complice la sciagurata programmazione perlomeno della mia città non c'è stato modo. Recupero con l'acquisto in dvd del film. Questo per dire che la mia predisposizione verso il film di Gia Coppola era assolutamente positiva, se di pregiudizio si deve parlare nel mio caso era col pollice in su. Per altro se ne è parlato generalmente bene e sono fioccate le candidature ai Golden Globe, ai Bafta e a vari altri award. Detto tutto ciò, la pellicola della Coppola, nipote di Francis Ford, perlopiù mi ha deluso, o comunque mi aspettavo evidentemente qualcosa di diverso. La sceneggiatura prende spunto da "Body Of Work", entrambi scritti da Kate Gerstein a seguito della chiusura dello spettacolo Jubilee! nel 2016, che la Gerstein vide. Ed infatti in The Last Showgirl seguiamo le ultime settimane delle ballerine di The Razzle Dazzle, ultimo spettacolo di spogliarello in cartellone a Las Vegas. La nuova proprietà del locale ha deciso di passare al circo (un circo comunque erotico), il tempo per i vecchi strip show è finito, nonostante The Razzle Dazzle sia faraonico nei costumi e nella messa in scena (costumi in parte derivanti proprio da Jubilee!). Il centro focale del racconto è Shelly Gardner (Pamela Anderson), la matrona del gruppo, per anni sexy star del balletto. La sua vita è disastrata, per colpa del suo lavoro ha dato in affidamento la figlia, oramai prossima alla laurea (nonostante l'attrice che la interpreta, Billie Lourd sia una trentenne), nata da un flirt con il factotum del locale (Dave Bautista). Annette, la sua migliore amica (Jamie Lee Curtis), è una ex ballerina dello stesso show, riciclatasi come cameriera in un casinò, solita perdere tutto il proprio denaro al gioco d'azzardo. The Last Showgirl è una fotografia dei giorni nei quali tutto crolla attorno a Shelley, ma ciò nonostante accade comunque qualcosa di positivo.
La prova della Anderson è stata lodata, il suo miglior ruolo in carriera, il che probabilmente è vero ma anche perché la carriera della Anderson non è esattamente costellata di film con Bergman, Spielberg e Scorsese. Il ruolo è evidentemente cucito su di lei, in qualche maniera Shelley è Pamela, ne condivide molti aspetti biografici, esistenziali, reputazionali ed emotivi. L'attrice canadese ci si è tuffata anima e cuore, facendo proprio quel personaggio e vivendolo con la massima intensità, cosa che si percepisce in modo genuino e genera empatia da parte dello spettatore. Lo stesso si può dire della Curtis, che si mette in gioco con altrettanto coraggio, sena nascondere le rughe o una fisicità coerente con la sua età. Semmai non mi hanno convinto le supponenti velleità autoriali della Coppola, la quale gira un film sgranato e costantemente fuori fuoco; si prova fastidio nel dover tenere gli occhi su di uno schermo all'interno del quale le immagini, le scenografie, gli elementi del paesaggio e persino i personaggi sono sempre sfuocati. La macchina da presa è rigorosamente a mano, quindi inquadrature sempre in movimento, anche quando il bersaglio dell'obbiettivo è un semplice oggetto di scena qualsiasi. A tratti si ha il ma di mare. Penso al dialogo tra la Anderson e Kiernan Shipka sul tetto del locale, pare di essere su una barca anziché sulla terra ferma. Il tutto per dare una patina di "cinema verità" al film, per trasmettere urgenza, immediatezza e frustrazione. Beh, la Coppola fa centro, il carico di frustrazione dello spettatore è enorme. Per non parlare dei ripetuti riflessi del sole dentro le inquadrature, voluti, cercati, esibiti come trofei. L'uso delle musiche è inutilmente enfatico e pomposo. La scene della Anderson che vaga per la città come una dissociata, con la musica che ne esalta il tracollo emotivo, si susseguono in modo asfissiante. Dulcis in fundo, si fa per dire, il film è sostanzialmente privo di un finale; per essere una storia tutta emotiva, intimista, fatta di sentimenti e stati d'animo che si stratificano l'un l'altro fino al parossismo, ci si sarebbe aspettati una qualche risoluzione, e invece la Coppola ad un certo punto semplicemente piazza il titolo in coda sullo schermo nero e dà il benservito allo spettatore, chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, arrivederci e grazie.
Alquanto improbabile il personaggio di Dave Bautista, l'unico uomo del film, naturalmente ritratto in maniera punitiva e penosa. C'è un po' di tutto negli 88 minuti di The Last Showgirl, lustrini, vittimismo, critica sociale (cosa succede ai mestieranti di una città cartonata come Las Vegas?), femminismo ma anche glamour, ad esempio nelle rivendicazioni di Shelley di voler essere apprezzata come donna sexy sul palco del suo show. Per tutto il film le viene detto che è bellissima anziché brava a far qualcosa. Ciò avviene perché il suo più grande timore sembra proprio quello di essere sfiorita, dunque la costante sottolineatura della sua avvenenza, più che un'espressione del patriarcato imperante, risulta piuttosto un tentativo di lisciarle il pelo. Un femminismo un po' a metà insomma. Evidente come la Coppola cerchi di raccontare una storia fragile, impulsiva, enfatica, (melo)drammatica, con un timbro che però è davvero troppo carico per non appesantire la visione. Le immagini inutilmente sfuocate stufano, il succedersi di scene vuote e inconcludenti stufa, la vaghezza di intenti (se non quello un po' fine a se stesso di mostrare una donna alla deriva in un microcosmo alla deriva) stufa, nonostante la bella prova attoriale della Anderson.



