
Vedi a volte a dar retta alle recensioni anziché al proprio istinto... si sbaglia. Volevo andare a vedere al cinema questo film, sentivo che era nelle mie corde, oltre alla simpatia umana sempre avuta per Lady D, tuttavia certe critiche che etichettavano il film come "piagnone", ed una certa antipatia invece per Kristen Stewart alla quale era stata addossata una responsabilità notevole nel dover incarnare Diana, mi avevano alla fine fatto recedere dal proposito. E me ne sono amaramente pentito una volta che ho potuto finalmente vedere il film, purtroppo su piccolo schermo. Mea culpa, mea maxima culpa, Spencer è bellissimo, come non mi aspettavo che fosse. E' un film piagnone? Si e no, lo è per argomento, per delle scene nelle quali effettivamente la Stewart ha le lacrime agli occhi (parecchie scene), ma non lo è nel senso inteso dalle invettive, non è un film patetico, pietistico, ruffiano, dedito ad un'emotività spicciola, superficiale, facilona da riviste di gossip del parrucchiere. Spencer è innanzitutto di una eleganza formale assoluta, una meraviglia da guardare, tanto nelle location esterne che in quelle interne, naturalmente opulente, regali, principesche, ancorché sobrie e severe. Pare una contraddizione ma non lo è, la misura è quella tipicamente britannica, sempre in bilico tra kitsch e rigore. Il campo d'azione è estremamente limitato nello spazio e nel tempo, tre giorni (vigilia, Natale e Santo Stefano del 1991) a Sandringham House nel Norfolk, residenza di campagna della corona inglese; questo aiuta moltissimo a contenere la sceneggiatura e ad evitare sbrodoli e svolazzi. Diana Spencer deve "festeggiare" il Natale trascorrendo tre giorni con la Regina, il principe Carlo, il codazzo reale, l'infinito esercito di cuochi, governanti, attendenti e servitù, ma soprattutto con i suoi due amati figli William e Harry. Per Diana è una prova spaventosa, qui ritratta nel pieno del suo crollo umano, un disfacimento psicologico ed emotivo che la principessa (acquisita) di Galles cerca di arginare come può, immersa in un dolore indicibile. Un vero e proprio martirio che la Stewart rende in maniera encomiabile ed impressionante.
Pablo Larraín (non nuovo ad operazioni simili, già regista nel 2016 di Jackie, con Natalie Portman nei panni di Jacqueline Kennedy), su sceneggiatura di Steven Knight, ha l'intuizione di trascendere il piano strettamente reale e razionale per incorniciare di tanto in tanto Diana in una sorta di delirio onirico nel quale entra in contatto con Anna Bolena (con la quale si identifica fortemente) e con figure e personaggi a lei molto cari, la sua famiglia, il padre, se stessa da bambina ed una guardarobiera (Maggie) con la quale ha sviluppato un rapporto di amicizia e confidenza che rompe la rigida etichetta e le consente di avere un dialogo "normale" con un altro essere umano. Queste parentesi sono fortemente suggestive e destabilizzano tanto Diana quanto lo spettatore. Così come è altrettanto devastante l'esperienza alla magione reale. Per la prima mezzora buona Diana non ha alcun rapporto con nessuno a parte i propri figli. Questo espediente fa percepire forte e chiara la sua alienazione e la solitudine nella quale è costantemente immersa, un mondo a parte del tutto inconciliabile con quello della corona. I pesanti drappi della sua camera da letto, cuciti per evitare la curiosità dei fotografi (ma la vera ragione è per evitare che la principessa dia scandalo con comportamenti inopportuni ed imprevedibili), diventano privazione di ossigeno vitale per Diana, che quando riesce nuovamente ad aprire le finestre lo fa come se uscisse da un'apnea millenaria; il semplice gesto "rivoluzionario" di preferire il pollo fritto del fast food alle leccornie preparate per i fastosi pranzi della regina; dei piccoli regali comprati ai figli in un'area di servizio; tutto si trasforma in uno svuotamento dell'anima di Diana in favore del totale asservimento ad una "ragione di Stato" che la snatura e la uccide come un veleno distillato goccia dopo goccia. Carlo le spiega che devono esistere due persone, quella vera e quella per i fotografi, lo vuole la gente che non pensa ai reali come ad esseri umani. E nel nome di questa doppiezza Carlo vive la sua vita di amante fedifrago praticamente sotto il naso di Diana. Il rapporto con i suoi figli è struggente e meraviglioso, così come è sottile e misterioso quello con la Bolena.
Come detto, visivamente tutto il film è uno spettacolo, ma ci sono vertici di virtuosismo che si tramutano in vera e propria arte, come la cena della viglia, nella quale Diana immagina di inghiottire le perle della sua collana (regalatale da Carlo, la stessa che ha regalato a Camilla Parker-Bowles senza nemmeno rendersene conto); ecco, per quanto possa sembrare una bestemmia, alcuni sguardi, alcuni silenzi rarefatti, la luce delle candele, l'eleganza dei drappeggi, l'area sinistra di quel banchetto quasi necrofilo, il montaggio, rasentano il più bel Kubrick, in sospeso tra l'inquietudine di Shining ed il '700 inglese di Barry Lyndon. Geniale la scelta delle musiche (ad opera di Jonny Greenwood dei Radiohead... mi secca ammetterlo ma è così), in bilico tra jazz e noise, che acuiscono ad un livello pazzesco lo stato di frattura psicologica della protagonista e la grottesca assurdità della situazione. Spencer è un film tutto emotivo, disturbante, dalla fortissima empatia, coinvolgente come pochi altri e di una bellezza maestosa. Per quanto mi riguarda, imperdibile. Probabilmente l'opera in assoluto più prossima a ciò che deve aver provato in vita Diana Spencer (come confermato anche da chi l'è stato vicino in quelle ore, dalla ex guardia del corpo allo chef di Sandringham), immagino l'entusiasmo della corona al cospetto di questa pellicola.