Salvador

Salvador
Salvador

Nel 1986 come regista Oliver Stone era poca cosa, non era ancora un nome, mentre come sceneggiatore aveva già sulle spalle titoli come Fuga Di Mezzanotte, Conan Il Barbaro, Scarface, L'Anno Del Dragone. Si era stancato della Hollywood dei colletti bianchi e voleva rischiare in proprio, financo investendo capitali personali ma potendo poi godere di assoluta e totale libertà creativa e realizzativa. Ad esempio realizzando un film "estremo" come Salvador, un film che nessuno a Hollywood avrebbe voluto finanziare e "nessuno spettatore avrebbe voluto vedere". Questo almeno era il parere di Richard Boyle, il giornalista che aveva trascorso un periodo della sua vita in Salvador e che ne aveva tratto un tomo di storie da far pubblicare, senza riuscirci. Stone entra in possesso di questi racconti e si illumina d'immenso. Decide che sono il soggetto perfetto per un film e chiede collaborazione a Boyle. Dapprima stupito, Boyle sposa il progetto e la macchina da presa e organizzativa di Stone si mette in moto. Sarà un film di denuncia, fortemente politicizzato, destabilizzante e coraggioso. Senza mezze misure, come è tipico per Stone.

Il regista va in Salvador per i sopralluoghi e qui è costretto ad ingannare il regime diffondendo una falsa sceneggiatura nella quale i campesinos sono i comunisti cattivi e i militari al potere sono gli eroi buoni. Al contempo i guerriglieri più oltranzisti non tengono in alcuna considerazione la troupe e, pur sapendo che il film andrà a loro vantaggio, freddano uno dei consulenti locali della Produzione. James Woods, scelto come Richard Boyle, non ne vuole sapere di andare in Salvador e buona parte del film viene girato in Messico (che Woods definirà ugualmente "un paese del terzo mondo"). Il rapporto tra Stone e il suo prim'attore durante la lavorazione sarà pessimo. Woods viene descritto da Stone come un borghese matrialista amante del lusso e delle comodità, snob e spocchioso, oltre che capriccioso e pure fifone. All'opposto del vero Boyle, ovvero un cavallo imbizzarrito, schizzato, imprevedibile, un "perdente" di natura ma di animo generoso. Al fianco di Woods viene schierato James Belushi, altro guascone irriducibile. Pure lui battibecca continuamente con il suo compagno di scena, è una lotta per il primato, per l'ultima battuta di ogni dialogo e per l'inquadratura migliore.

Il film vive di una tensione pazzesca, quella dell'argomento, disagevole e spinoso, quella delle location, altrettanto scomode, quella del budget, autonomo ed indipendente dunque certo non faraonico, quella del cast, irrequieto e non troppo convinto del valore del film e della adeguatezza di Stone, quella di Stone stesso, frustrato dai mille ostacoli tecnici, finanziari, politici e ideali. E poi ci si mettono anche le malattie, i virus e i disturbi gastrointestinali che affliggono la troupe. Stone però è un mulo cocciuto, uno che ci crede sempre, uno capace di slanci titanici, uno che aveva visto il Vietnam in prima persona e non era disposto ad arrendersi per molto meno. La pellicola è disseminata di asperità, crudezze, eccessi, volgarità linguistiche, droghe, sesso, abusi e soprusi. Nulla viene risparmiato allo spettatore, dalle prostitute minorenni allo stupro di suore (anche ultra sessantenni), dalle esecuzioni sommarie in mezzo alla strada alle mutilazioni di bambini, innocenti vittime di guerra.

Del resto l'argomento è quello che è e la guerriglia non è roba per signorine. Stone è anche un militante, non uno spirito antiamericano ma uno fortemente critico verso l'operato del proprio paese, segnatamente in politica estera. C'è un accalorato monologo di Woods nel film, rivolto a degli esponenti della Cia, nel quale descrive per filo e per segno di quali nefandezze si sia macchiato lo Zio Sam in Salvador; quel monologo pare uscire direttamente dalla bocca di Stone, anche se poi è James Woods a pronunciarlo per interposta persona. C'è la questione della manipolazione dei governi e dei destini politici di altre nazioni, c'è la guerra sporca, c'è la lotta fanatica al Comunismo (anche laddove il Comunismo è poco più che un alibi), c'è l'immigrazione di profughi politici vittime proprio delle manovre americane, sperimentazioni da piccoli chimici in un laboratorio di povertà chiamato Salvador. C'è la meschinità, l'opportunismo ed il cinismo dell'Amministrazione Carter prima e di quella Reagan dopo nel baloccarsi con le vite dei salvadoregni come fossero formichine anziché esseri umani sofferenti e umiliati.

Quando il film esce in sala dura un paio di settimane poi sparisce dalla circolazione (1,5 milioni di incasso a fronte dei 4,5 spesi). Gran brutto destino per un'opera così sofferta e faticosa. Eppure, dopo quasi un anno, arrivano due inaspettate candidature all'Oscar, per Woods e per la sceneggiatura originale. Non si aggiudicò alcun premio ma il segnale fu importante. Salvador aveva lasciato un segno, una traccia di sé, e fu prevalentemente per la grandezza di Platoon (col quale Stone vinse l'Oscar per il miglior film) che Salvador dovette rimanere confinato un passo indietro. L'interpretazione selvaggia, frenetica e anticonformista di Woods è rimasta altrettanto negli annali. Salvador è un film speciale, a cominciare dagli originali e magnetici titoli di testa, scanditi ritmicamente da una musica roboante e militaresca. La violenza è assoluta, tanto terribile perché vera e non solo "grafica". Il reaganismo copre quasi l'intero decennio ottantiano, quello in cui Salvador esce, e proprio il cinema americano del periodo, soprattutto quello action, è stato più volte definito "reaganiano"; Salvador va nella direzione totalmente opposta, cercando l'antieroismo. Woods e Belushi sono antieroi, strapieni di bassezze ed immoralità, anche se si finisce ugualmente per parteggiare per loro, a causa di un'umanità estremamente accentuata.

Drammatica l'edizione speciale in dvd del film della MGM, a causa di numerose scene nelle quali il doppiaggio originale lascia il posto ad un nuovo doppiaggio che probabilmente doveva andare a coprire la mananza di traccia italiana. Sarebbe stato assolutamente preferibile lasciare il parlato inglese, magari sottotitolato, invece si scelgono nuove voci, una più terribile dell'altra, tanto improvvisate quanto improbabili. Davvero il modo più grossolano per "interrompere un emozione". Finale amarissimo che non fa nulla per riconciliare lo spettatore col proprio fegato dopo 122 minuti di sangue e sconquasso. Del resto tra le varie idiosincrasie di Stone c'era pure quella per il lieto fine.

Trailer ufficiale

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