Roma Violenta di Franco Martinelli (aka Marino Girolami, aka il papà di Enzo G. Castellari, dove G. sta per Girolami appunto) è ritenuto uno dei passaggi imprescindibili del poliziottesco all'italiana, chi vuole approfondire il genere deve passare da questo film. Al di là del suo reale valore, è il suo significato storico che lo rende importante nelle cronache di quel cinema. I motivi sono molteplici: nel '73 Castellari dirige Franco Nero in La Polizia Incrimina la Legge Assolve, il poliziesco si trasforma in poliziottesco, compare il commissario Betti (Nero) poliziotto di ferro che lotta contro la criminalità selvaggia dell'Italia di quegli anni. Il film ha un gran successo, e si decide di battere il ferro finché è caldo; motivi di budget, pare, fanno ripiegare su Girolami padre e su Maurizio Merli, appositamente scelto per la sua somiglianza con Nero (all'epoca Merli contava giusto delle comparsate e una fiction televisiva garibaldina). Accade l'imprevedibile, il film esce di agosto, nel deserto dell'italia vacanziera, ma rimane in cartellone fino a dicembre, incassa un botto (il più grande successo di sempre al botteghino di un poliziottesco: 2 miliardi e mezzo di lire) e consacra Merli a nuovo eroe dell'italiano medio, vessato, rapinato, derubato, violentato dalla Mala. Franco Nero viene totalmente oscurato da Merli, che diventa l'incarnazione assoluta della tipizzazione del commissario italiano alla Callaghan (ma il riferimento dei nostri era più Il Braccio Violento Della Legge). Arrivano tutti i trademark del poliziottesco: criminalità sadica e crudele; Polizia impotente; singoli eroi che non vanno tanto per il sottile e sparano (volentieri) prima di arrestare; superiori, burocrati, stampa e magistratura che stigmatizzano il comportamento del poliziotto che difende (a modo suo) i cittadini; e poi il trionfo dell'Alfa Romeo (pare l'unica marca automobilistica esistente nei poliziotteschi), con i cerchioni delle Alfette e delle Giulie che regolarmente zampillano nella sgommata in curva, gli inseguimenti, le sparatorie, le scazzottate truci, le colonne sonore super funky o, al contrario, "mafiesche" e "camorristiche" tipo Il Padrino.
Del commissario Betti esiste una trilogia (in realtà una quadrilogia se si pensa anche al precedente con Nero): Roma Violenta, Napoli Violenta, Italia A Mano Armata. Così come esiste una quadrilogia delle città violente: Roma, Milano, Torino, Napoli. Rimanendo all'episodio romano, abbiamo il commissario Betti reduce dall'ammazzamento del fratello due anni prima; Betti ha la luna di traverso e se può, stermina con piacere assassini e banditi. In città la Mala è in piena recrudescenza, i cittadini sono esasperati ed il pericolo pare effettivamente dietro l'angolo. C'è pure un infiltrato nelle gang (Ray Lovelock) che purtroppo paga a caro prezzo la sua militanza dalla parte della Legge. Betti supera il punto di non ritorno, all'ennesima risoluzione, con i suoi metodi, di un inseguimento (quello a Er Chiodo, che per fuggire non si fa scrupolo di mitragliare per strada una scolaresca di bambini), viene incriminato e messo sotto inchiesta. Betti amareggiato e deluso lascia la Polizia, e si unisce a dei vigilantes, cittadini guidati da un facoltoso avvocato romano al quale viene stuprata la figlia. In chiusura, Betti ha un importante dialogo con Lovelock paralizzato a vita sulla sedia a rotelle; Lovelock interpreta il sentire democratico che ritiene sbagliate le ronde dei cittadini che si fanno giustizia da soli, mentre Betti, all'ultima spiaggia, non trova altra via per supplire alle inefficienze dello Stato, nella tutela dei cittadini inermi. Da notare che i due personaggi rispecchiano abbastanza fedelmente le rispettive idee dei due attori e di un'Italia, ora come allora, spaccata in due sull'argomento. - SPOILER: la vera vera fine però è quella scena apparentemente indecifrabile dell'ex commissario che saluta Lovelock, lascia la casa di cura e si avvia alla sua Renault 5 color....( che razza di colore è quello??!), e proprio allora un'auto gli sfreccia alle spalle e lo tempesta alla schiena con una raffica vigliacchissima. Dunque Merli muore? No, torniamo indietro, e rivediamo la scena che però si blocca sul fermo immagine un attimo prima del mitra, titoli di coda. Che vuole dire tutto ciò? Lì per lì pare una sorta di visione di Lovelock, un presentimento forse? Già, perché Italia A Mano Armata un anno dopo finirà proprio così, come se Girolami sapesse già che avrebbe rimesso mano al suo personaggio per un ultimo episodio di una serie.
Il film è estremamente godibile, anche se la visione è mortificata dall'edizione Federal/Cecchi Gori in dvd. Un crepitìo di fondo assordante, l'immagine sbiadita e slavata fino quasi a rendere i colori un bianco-grigio indistinto, un formato video forse neppure corretto, e una noiosissima fascia bianco-viola sulla parte sinistra della tv ti fanno allegramente imprecare contro tutto il pantheon sumero-babilonese. In poche parole: unammmerda di dvd, ma tant'è, per Maurizio Merli si fa questo e altro. Chiudo con la consueta perla critica dell'epoca (ovviamente Paese Sera): "L’ideologia di pura marca fascista che circola per tutto il film non è nemmeno mascherata, come altre volte nel filone “poliziotto”, da alibi legalitari". Amen.