Il Riposo Del Guerriero

Il Riposo Del Guerriero
Il Riposo Del Guerriero

Ottavo film di Vadim, quarto con Brigitte Bardot, anzi "per" Brigitte Bardot, sua musa e compagna. Pellicola che precede l'epocale Il Disprezzo, nella quale l'eroina francese verrà diretta da Godard. Tuttavia Il Riposo Del Guerriero (1962) è uno dei film più intensi e cerebrali di Vadim, spesso uso ad un tocco più leggero ed a frivolezze assai più glamour e mondane. E però sono proprio titoli come questo che dimostrano quanto quella del regista fosse una scelta voluta e consapevole e non una impossibilità di affrontare produzioni di altro peso specifico. Vadim è innanzitutto un delizioso compositore del quadro, intendo proprio del fotogramma; ciò che i nostri occhi vedono è sempre estremamente gradevole, curato, aggraziato, formalmente ineccepibile. Arredi, scenografie, costumi, luci, montaggio sono elementi primari e magistralmente gestiti nel lavoro di Vadim, una sorta di grande fotografo applicato alla cinematografia, un esteta sublime. Il Riposo Del Guerriero è tratto dall'omonimo romanzo (di debutto) di Christiane Rochefort, uscito quattro anni prima rispetto al film e oggetto di grosso successo e grosso scandalo. Un'indagine aperta e smaliziata su di un turbolento rapporto amoroso, sessualità inclusa. Vadim non si lascia sfuggire l'occasione di cavalcare la bestia, anche se, per quanto il regista fosse temerario, edulcora comunque gli aspetti più "estremi" del romanzo, onde poterne ricavare un film proiettabile in sala. E al resto (i nudi della Bardot) ci pensa la censura.

Geneviève Le Theil (Brigitte Bardot) è un'ereditiera borghese che sta per sposarsi con il fidanzato. Abbandona Parigi per qualche giorno per regolare tutte le carte necessarie alla successione, ed in questa occasione si ritrova a salvare per caso un aspirante suicida in una camera d'albergo nel quale anche lei alloggia. Renaud Sarti (Robert Hossein) è un uomo senza passato e senza futuro, con un presente distruttivo ed autodistruttivo, anche piuttosto sprezzante verso Geneviève; ciò nonostante, la donna si innamora perdutamente di lui, al punto da mandare a monte il proprio matrimonio. Renaud però non sembra avere nessuna intenzione di riprendere un'esistenza normale, e prosegue nei suoi eccessi nichilisti trascinando in una zona oscura anche Geneviève.

Il gioco tra i personaggi della Bardot e di Hossein è complesso e molto sottile. Se da un lato verrebbe da dire che sostanzialmente la storia è una noiosa e prolissa schermaglia sentimentale, dall'altra si deve invece ammettere che non è affatto chiaro quale dei due sia il "guerriero che riposa". Ad una prima lettura Renaud è il titano arrogante e potente che soggioga Geneviève, le impone il suo stile di vita distruttivo e le infligge continue umiliazioni. La donna, pur di non perdere l'uomo che ama, arriva a proporsi per denaro a Renaud al posto di una prostituta che lui voleva assoldare per una banale notte di libido. Oppure acceta la corte di un musicista al solo scopo di compiacere Renaud, il quale predica l'amore libero. Geneviève in pochi giorni, a causa del suo "sconsiderato" gesto di salvare la vita di uno sconosciuto, perde tutto, il suo futuro marito, il rispetto di sua madre, gli amici, la sua vita precedente, e sa di candidarsi ad un futuro di dolore e afflizione per seguire un uomo che fa di tutto per dimostrarle che non la vuole accanto a sé. Renaud mostra disprezzo e scherno per l'amore borghese di Geneviève, non tollera costrizioni, vuole libertà assoluta, ama trasgredire e scandalizzare, getta via soldi e buon senso, cerca deliberatamente di ferire la donna. Oltre a tutto ciò, beve come una spugna. Tuttavia, in quella che pare una spirale verso il baratro senza speranza, accade l'imponderabile. Proprio l'atteggiamento accomodante, remissivo, arrendevole, totalmente devoto di Geneviève, sconvolge Renaud. Lo scava come una roccia, goccia dopo goccia, fino ad arrivare al cuore vivo del "mostro".

- SPOILER: Nell'ultima scena del film, ambientata in Toscana e segnatamente all'abazia scoperta di San Galgano, ritratti come in un paesaggio irreale ed onirico completamente avulso dalla realtà, Geneviève e Renaud si incontrano dopo alcuni giorni di separazione. Geneviève si dice ancora innamorata dell'uomo ma ha maturato un nuovo atteggiamento, intende ricominciare a vivere, nonostante Renaud. Egli, dal canto suo, ha finalmente compreso che senza Geneviève sarebbe davvero perduto, e dopo averle provate tutte per autodistruggersi, decide di aggrapparsi disperatamente alla donna che lo ha voluto salvare, cedendo all'amore che tanto aveva ridicolizzato e piegandosi al sentimento, quasi materno, che Geneviève gli ha donato dal giorno in cui lo ha scovato agonizzante su di un letto d'albergo. Qui i ruoli si invertono. Il guerriero silente dunque era Geneviève, che con la forza di chi è capace di resistere all'impensabile, ha aspettato il momento nel quale il suo "avversario" sarebbe capitolato. Anche se, per assurdo, data la cornice lirica della "resa", l'intera scena potrebbe essere quasi un sogno ad occhi aperti di Geneviève.

Deliziosa tutta la parte ambientata a Firenze e dintorni (si distingue San Gimignano), con fiaschetterie, vicoli, paesaggi ed albe mozzafiato. Vadim condisce quei momenti con la melodia di Volare di Modugno, una rilettura un po' stereotipata magari, ma è anche vero che siamo nel 1962 e Nel Blu Dipinto Di Blu è uscito nell'anno del romanzo della Rochefort. C'è anche qualche virtuosismo d'autore, si prenda ad esempio la scena del drammatico confronto in auto tra Geneviève e l'uomo col quale sarebbe dovuta convolare a nozze. Vadim ce lo fa ascoltare finché i due non si chiudono ermeticamente nell'abitacolo, a quel punto assistiamo in assoluto silenzio alla recita di labbra che si muovono senza emettere suoni (un po' come in 2001: Odissea Nello Spazio quando Bowman e Poole sono chiusi nella capsula di salvataggio per non farsi udire da Hal, ma il computer ne legge ugualmente il labiale). Le espressioni dei personaggi però sono sufficienti a capire "il clima" della conversazione. Infine Geneviève apre lo sportello per andarsene ed ecco che nuovamente veniamo catapultati dentro lo scambio di battute tra i due. Le licenze poetiche che il regista si prende rispetto al libro sono diverse e pesanti, ma la più marchiana è indubbiamente il finale conciliante e rigoroso, nel quale l'ordine trionfa sul disordine, qualcosa che ha fatto storcere la bocca ai critici. Fa comunque un certo effetto vedere la Bardot così fuori parte (anche se ugualmente convincente). Solitamente è lei l'indomabile, la trasgressiva, la ribelle alle imposizioni e alle restrizioni di una società bigotta, ottusa e perbenista. Stavolta si ritrova sul versante opposto, ad interpretare una sorta di Madonna della misericordia, un personaggio conservatore e ai limiti del reazionario, se proprio la si deve buttare sull'ideologia.

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