Il Ragazzo Del Pony Express, come Puro Cashmere, I Fichissimi, I Goonies, Wargames, Lo Squalo, Poltergeist, Sotto Il Vestito Niente ed altri mille, rientra un po' tra i cult giovanilistici del sottoscritto, film visti da ragazzino, entrati prepotentemente nel cuore e assurti a pellicole di culto, indipendentemente dal loro reale, effettivo, oggettivo valore artistico. Per qualche motivo hanno fatto breccia ed allora il giudizio si è fatto docile, accondiscendente, fraterno e partigianamente benevolo. Se quindi la tesi è che Il Ragazzo Del Pony Express non sia questo granché, potreste anche avere ragione (come no), ma il punto è che non sfondate, è uno di quei titoli a me cari e di cui parlo sempre e comunque col segno più. Così è, prendere o lasciare. Praticamente impossibile da trovare in dvd (pare sia stato anche edito, forse nel pleistocene, in ogni caso per me è una leggenda degna di essere trattata da Adam Kadmon, perché io l'oggetto mitico non l'ho mai neppure visto ad occhio nudo), per rivederlo bisogna aspettare la generosità di qualche emittente satellitare e/o locale che a notte fonda ce lo piazza in programmazione.
Agostino (Jerry Calà) è un neolaureato che inizia il tran tran dei colloqui di lavoro, vanno tutti male, non c'è trippa per gatti. Si convince a diventare Pony Express ma una sera, "vittima delle circostanze", viene scambiato per uno scippatore e rischia quasi di andare in galera. La sua preda, Claudia (Isabella Ferrari), decide di non denunciarlo, tuttavia, plagiata da Olivia - la sua datrice di lavoro (una stronzissima Gabriella Saitta) - lo "schiavizza" lasciando che gli vengano affidati lavoretti, commissioni e faccende varie a zero retribuzione, per estinguere il debito del crimine commesso. - SPOILER: Tra Agostino e Claudia scoppierà l'amore, la ragazza si libererà del giogo di Olivia, e tutto quel che è bene finirà bene.
Il Ragazzo Del Pony Express è uno dei pochi film di Franco Amurri (che sì, ha diretto Da Grande con Pozzetto, ma anche Amici Ahrarara, per dire), alla cui sceneggiatura partecipa anche lo stesso Calà. E' un film su misura per lui, anche se si narra che Eros Ramazzotti venne preso in considerazione come possibile protagonista (no vabbè... il film avrebbe fatto certamente riderissimo, con quella faccia da Totti incrociato con Rocky Balboa dei tempi di "Terra Promessa"). Rispetto ad altre commedie più "demenziali" o comunque di meno pretese interpretate da Calà, questa a mio parere esprime una maggior sofisticatezza, la storia d'amore con la Ferrari è disegnata con cura, c'è attenzione nei dialoghi e nello sviluppo sentimentale. Significativa in tal senso la scena in cui Jerry la porta alla pensione dove vive (e dove condivide la camera col ragioniere Alessandro Benvenuti), tutt'altro che raffazzonata e pecoreccia, anzi sottile e ben congegnata. Naturalmente altri momenti schiettamente ridanciani fanno da contraltare, ad esempio tutti quelli dove c'è Sergio Di Pinto, l'incontro con la meccanica maschiaccia Marmitta (Fiammetta Baralla), oppure ancora il set cinematografico sul quale Jerry dovrebbe essere deflorato da Mohammed Badr-Salem detto Banana Joe. Nonostante ciò - dopotutto di un film che deve far ridere si tratta - si intravede di già il complicato mondo lavorativo post anni '70, con la "Milano da bere" lontana parecchi km, visto che qui siamo a Roma ed un neolaureato a pieni voti (addirittura "111") deve ridursi a fattorino motomunito. Il cast di contorno è ottimo, innanzitutto il pungente Alessandro Benvenuti, in solitaria dopo l'esperienza Giancattivi; il suo ragioniere è stralunato ed ha dei tempi comici tutti suoi, davvero buffo. Poi una serie di caratteristi indovinati, dall'immortale Tiberio Murgia a Germana Dominici (scollatura generosa e nuova mobilia della pensione ogni qual volta cambia fidanzato), da Nerina Montagnani (nonna sorda e rincoglionita di Agostino) a Franco Caracciolo (cameriere ovviamente gay).
I personaggi femminili della storia sono sostanzialmente tre: la Saitta, molto brava nel rendere antipatica la sua snobissima signorotta dei salotti bene, la Ferrari (altrettanto antipatica, va detto) giovane e fascinosa, ed Emanuela Taschini, sulla quale vorrei spendere due parole. Quando vidi il film per la prima volta, intorno ai 12 anni, mi piacque subito; nella prima metà del film la sua Rita è la fidanzata che tutti vorrebbero avere, dolce, solare, premurosa, amorosissima, ma ovviamente Calà gli preferisce una specie di top model come Isabella Ferrari. Poi Rita si trasforma pur di non lasciarsi sfuggire il suo amato Agostino, e si presenta alla pensione - in una scena memorabile - in costumino leopardato, trucco vistoso e con un'evidente rimando alla sua omonima Hayworth. Quella, a mio parere, è una delle più riuscite scene di seduzione mai viste al cinema, sensuale e al contempo divertente (tanto per fare un paragone, mi viene in mente quella di Jamie Lee Curtis in True Lies). La Taschini è - scusate il termine poco oxfordiano - arrapante da morire mentre fa la vamp un po' goffa, e si propone come odalisca, geisha, schiava di piacere, su su fino a quel roboante "porca porca porca" ribadito tre volte e che stende definitivamente Agostino, innamoratissimo di Claudia, ma costretto a capitolare davanti al body che Rita si strappa via con un colpo da maestra. In realtà poi a letto Agostino non concluderà granché, poiché viene tradito dal suo membro, indisponibile a sostituire Claudia con Rita. In tutta onestà, tra le due, per me avrebbe vinto tutta la vita la Taschini. Meritano una menzione d'onore anche le musiche di Umberto Smaila che, nella loro semplicità, rimangono in mente subito, si rivelano fresche ed efficaci, e se a distanza di 30 anni ancora mi sorprendo a canticchiare la title-track del film un motivo ci dovrà pur essere. La scena che sistematicamente mi fa venire i crampi allo stomaco del ridere è quella di "Sandokan", ma il film ne è pieno (per dire anche "i fratelli Righeira" non scherzano). E però il vespino di Jerry è bianco e non rosso come quello in locandina.