
Di film sul marchese De Sade se ne sono tentati parecchi, tra i più recenti quello con Daniel Auteil e quello con Geoffrey Rush, entrambi del 2000 per altro. Non conosco il primo mentre ho visto il secondo, a firma Philip Kaufman (che, vorrei ricordare è il regista de L'Insostenibile Leggerezza Dell'Essere ma anche di Sol Levante...decisamente un regista versatile). Il film si basa sulla piece di Doug Wright che ne cura pure la sceneggiatura. Wright si prende un quintale e mezzo di libertà metastoriche, torna poco e nulla sulla veridicità del personaggio, qui assurto più che altro a simbolo della libertà d'espressione contro la censura, il conservatorismo, il moralismo, i metodi barbari e retrogradi. Fino a che punto può arrivare l'arte e la totale incondizionata libertà di parola (e quindi anche della letteratura)? Una domanda irrisolta, se ancora oggi dibattiamo su quanto Arancia Meccanica, i Death SS o Balotelli possano costituire un cattivo esempio per i giovani o per le menti fragili e facilmente influenzabili. Se in relazione ad un'opera d'arte - o presunta tale - qualcuno commette un delitto, come la mettiamo? L'Arte con la A maiuscola va censurata? E' colpevole? Innocente? Così così?
Preferisco glissare e mi limito ad occuparmi del film in quanto materia cellulitica....che non è quella di Kate Winslet ma la celluloide del 35 mm. A proposito della Winslet, stupenda come al solito, io l'ho apprezzata davvero molto. Ottima attrice, forme irresistibili e, se si avesse la pazienza di ascoltare il film non doppiato, voce incredibilmente sensuale. La storia fotografa un momento specifico della vita di De Sade il quale, come detto, è un po' rivisto e corretto a suo uso e consumo della pellicola. Siamo nei primi anni dell'800 a Charenton, manicomio gestito da un abatino di idee "progressiste" (nella realtà pare fosse gobbo e alto 120 cm, nel film è l'affascinante Joaquin Phoenix). Tra i degenti c'è pure il marchese. Napoleone non lo ha fatto uccidere per non trasformarlo in un martire e la moglie del Divino è riuscita ad intercedere affinché non fosse chiuso in galera ma in un sanitario che gli concedesse una stanza privata (seppur con le sbarre), provvista di comfort e lussi vari. Lì dentro il marchese verga pergamene su pergamene, con la combutta della Winslet, lavandaia irretita dalle perversioni del grand'uomo. I romanzi come Justine sconvolgono mezza Francia e Napoleone decide per un giro di vite sulle sorti dell'uomo. A Charenton arriva il Dr. Royer-Collard, medico rigidino incline alla tortura dei pazienti intesa come metodo "curativo". L'abate De Coulmier non riesce a tenere a freno il marchese, che tuttavia ne combina di ogni (dirige spettacoli teatrali irriverenti che alludono alle tendenze pedofile di Royer-Collard, privato dell'inchiostro e della carta ricorre a qualsiasi mezzo per scrivere, lenzuola, vino, sangue, persino escrementi). Al culmine dell'abominio, Royer-Collard prende le redini del manicomio e dà una raddrizzata alla baracca. - SPOILER: De Sade viene progressivamente ridotto allo stato animale, torturato, fino a morire dopo che la sua lingua è stata strappata - ma De Sade non fece affatto quella fine! - la Winslet muore per mezzo di uno dei pazzi, che attua le fantasie degli scritti del marchese, l'abatino impazzisce di dolore (covava un amore segreto per la servetta) e si ritrova imprigionato, novello De Sade, mentre Royer-Collard dirige farisaicamente il sanitario ricavandone grandi proventi.
Il film dura quasi due ore, conta una messa in scena molto ricca ed elegante, pur senza essere tronfia. Molto suggestiva la ricostruzione di Charenton, l'uso dei costumi è funzionale e non pomposo (Kaufman voleva evitare a tutti i costi l'effetto "film in costume"). I toni virano dal gotico al drammatico, persino alla commedia grottesca, visti i continui sarcasmi del marchese. La seconda parte è decisamente migliore della prima, in particolare la caduta rovinosa del manicomio è virulenta e sanguinaria. Gli occhi sono naturalmente tutti puntati su Geoffrey Rush che purtroppo calca parecchio la mano sulla sua interpretazione, a tratti macchiettistica e sopra le righe (il fatto che scrivesse opere "volgari" non significa automaticamente che dovesse anche esprimersi come Alvaro Vitali in ogni conversazione, dopotutto stiamo parlando di un uomo coltissimo). D'accordo che De Sade era un personaggio sopra le righe, ma Rush con tutte le sue movenze e le sue faccine lo ridicolizza un po', togliendogli a mio parere malvagità e spessore. Della Winslet ti innamori dopo tre fotogrammi. Phoenix è un po' troppo fighetto, ma si sforza molto di fare del suo meglio. Michael Caine è grandioso, sul finale il suo perfido dottore assomiglia più a Darth Vader che ad uno psichiatra, con tanto di mantello nero ad aggirarsi tra le volte gotiche delle tetre architetture di Charenton. La sceneggiatura spinge parecchio sul portato liberatorio e rivoluzionario degli scritti del marchese, di contro ad un periodo oscurantista e intriso di ipocrisia. Praticamente ogni donna che legge De Sade (e pare che in Francia non ce ne sia stata una che non lo abbia letto, a vedere Quills) viene colta da impulsi lussuriosi irrefrenabili, come se più che un libro si trattasse di una pozione magica in grado di manipolare le menti muliebri. Ogni femmina, anche la più santa, diventa seduta stante una meretrice. Si noti nello specifico Simone, la giovane moglie di Royer-Collard, orfanella che vive in convento fino a 16 anni, e che dopo la lettura di "Justine", diventa Jessica Rizzo. Bellissima Amelia Warner, l'attrice che la interpreta, la quale al momento della lavorazione del film di anni ne aveva 17. Un po' forte il suo cambio di look, da bimba a gran dama di società, scollata e truccatissima.
Complessivamente il film è tecnicamente ben fatto, interessante e gradevole da seguire fino alla fine, anche se è evidente l'intento di veicolare messaggi aprioristici ed è mosso da una posizione "ideologica" piuttosto marcata. De Sade diventa un personaggio metaforico, una chiave che Wright e Kaufman usano per aprire serrature ben determinate. Per altro, il nodo della minaccia di un'opera letteraria non domata dalla censura non viene sciolto, poiché per tutto il film si combatte idealmente questa eventualità, ma quando uno dei malati di Charenton mette effettivamente in atto le fantasie del marchese (stuprando ed uccidendo la Winslet), si rimane con la convinzione che il "male" derivante dall'arte sia un rischio troppo grande da correre. Un rovesciamento di fronte o una contraddizione imprevista in sceneggiatura. Moralista e forse un po' cattolica la fine di De Sade, che sostanzialmente è descritto come un uomo che ha "recitato" una parte per tutta la vita, volendo disperatamente ergersi ad anticristo, ma che alla notizia della morte dell'amata lavandaia prorompe in un pianto liberatorio e chiede che venga sepolta in territorio consacrato a sue spese (lui che durante il film sputa sulla Bibbia, bestemmia e ridicolizza la fede dell'abate ....mah!). Infine, ho letto De Sade a suo tempo e per buona parte della sua opera, senza nulla togliere al portato "eversivo" dei suoi scritti (soprattutto in relazione al dove e al quando hanno avuto luogo), devo dire che dopo qualche decina di pagine ci si annoia rapidamente poiché, passata la sorpresa iniziale di una prosa estremamente esplicita e disinibita, le situazioni "trasgressive" iniziano a ripetersi meccanicamente. Un po' come nei porno, tanto "calore" all'inizio, qualche sbadiglio a seguire. A vedere il film pare che la letteratura desadiana sia più esplosiva della Commedia dantesca o della drammaturgia shakespeariana... ecco, non mi era parso.