
Ultimo capitolo della saga di Norman Bates (e viene da dire per fortuna), prodotto direttamente per la tv via cavo negli States nel 1990. Se Perkins non fosse scomparso due anni dopo forse avremmo avuto anche un quinto ed un sesto, avremmo seguito Bates all'ospizio, avremmo visto amorevoli infermiere cambiargli il pannolone e imboccarlo col semolino, mentre mamma Bates avrebbe fatto sempre più fatica tra reumatismi e sciatica ad accoltellarle tutte alle spalle, ree di elargire un gesto d'affetto a Norman. Quando le idee sono a corto ed un personaggio è stato esplorato e rivoltato come un calzino, fino all'ultimo suo coriandolo di vita spendibile, allora di solito arriva il prequel. Psycho IV - il cui sottotitolo non a caso è The Beginning - si incarica di andare a ripescare cosa accadde in casa Bates prima dei fatti narrati da Hitchcock nel capostipite della serie. Non so voi, ma io preferisco sempre sapere il meno possibile; il fascino di una bella opera è non darti troppe informazioni, presentarti lo status quo, lasciare un po' di mistero, di zone d'ombra, evitare troppi perché, e calarti nell'ora e adesso, facendoti vivere il presente narrativo. Quando si comincia a svelare gli altarini e a fare spiegoni tutto perde di meraviglia, l'immaginazione dello spettatore rimane imbrigliata e non può più lavorare per conto proprio. La poesia diventa prosa. Mick Garris (regista di Critters 2, I Sonnambuli, L'Ombra Dello Scorpione e dell'adattamento televisivo di Shining) non si è posto remore invece, ed ha diretto un film - su sceneggiatura di Joseph Stefano, lo stesso del primo Psycho e del remake di Gus Van Sant) - tutto incentrato sui perché ed i percome un ragazzo un po' timido ed impacciato, dominato da una madre megera, diventa un serial killer.
Non è una questione di moralismo cinefilo, credetemi, Psycho IV è mediocre, non appassiona. Sarà per la sua estenuante staticità, poiché tutto accade in una cucina, dalla quale Bates parla a telefono con una conduttrice radiofonica durante uno show in diretta sui matricidi. Racconta la sua esperienza, e lo spettatore rivive il passato mediante flashback. Quasi un impianto teatrale, con Perkins che si sposta vertiginosamente dal lavandino al tavolo, dal tavolo alla credenza, dalla credenza al forno. La recitazione della speaker (CCH Punder) è stereotipata e sopra le righe, mentre Perkins oramai risulta quasi una parodia di se stesso. Inoltre il suo personaggio è un po' snaturato, estremamente consapevole di se stesso, della sua patologia, e di tutte le cause scatenanti che l'hanno generata. Pare il medico anziché il paziente. Spesso si contraddice (come quando inveisce contro i dottori che riducono tutto all'eredità genetica, salvo poi sostenere che lui non potrà mai guarire perché è una questione "genetica", il suo sangue è quello di sua madre), ed il suo eloquio è fatto di frasi scolpite nel marmo, grandi massime esistenziali provenienti dal lato oscuro della luna, che lo rendono troppe personaggio e poco persona. Lo psicologo che in radio assiste alla telefonata è dipinto come uno che passa di lì per caso, senza né arte né parte; è il Dr. Richmond, il quale a suo tempo (Psycho I) seguì il caso, eppure dimostra la competenza di un venditore di angurie (con tutto il rispetto per i venditori di angurie).
- SPOILER: poi c'è l'assurda faccenda della nuova moglie di Bates (Donna Mitchell); un'infermiera che lo ha assistito in manicomio per anni (ma alla fine del terzo non si diceva che sarebbe stato internato a vita?) e che, nonostante il ragazzo abbia sul groppone qualcosa come 10 omicidi (non ho fatto i conti, il numero torna?), non si fa specie di convolare a nozze con Norman. Non solo, rimane pure incinta, e qui la piega diventa ridicola poiché la signora a occhio e croce è sulla cinquantina. Bates è spaventatissimo dall'idea di un piccolo Norman che - per fattori genetici - possa ripetere le sue gesta; ecco che ritiene opportuno assassinare la moglie nel giorno del proprio compleanno, nonostante sia guarito (solo un po' però). Il quarto d'ora finale è ambientato al Bates Motel, oramai diroccato ed abbandonato. Norman porta Connie nella vecchia casa della madre, dove ripesca il coltellaccio, ma al momento giusto un pistolotto qualunque della moglie su come i due si vogliono bene e come sarà bello avere un pupo che piange e fa la cacca sciolta, fa rinsavire Norman (vedi alle volte, anziché 30 anni di cure psichiatriche bastavano due paroline della moglie....). Per sicurezza Norman dà fuoco alla baracca, quasi ci resta secco, ha le ultime visioni d'ordinanza, e tutto finisce bene. Finalissimo thrilling, col vagito del bambino sul nero dei titoli di coda, come a dire: "siete sicuri sicuri che tutto non possa ricominciare....?". E per fortuna, nessuno ha raccolto il testimone (ad oggi).
Psycho IV, al di là della sceneggiatura modestissima, è pure sciattino come messa in scena. Il set del motel e di casa Bates è vistosamente ricostruito (si trattava infatti di un parco giochi a tema, poi demolito per far posto ad un altro parco a tema sulla scimmietta curiosa George dei cartoni animati). Parecchi i momenti brutti, come quando in casa Bates si stabilisce il nuovo amante della mamma di Norman, un coso buzzurro che si presenta al giovane Norman con la vestaglia del padre, aperta sulle pudenda, e sentenzia: "ti dirò un segreto ragazzo, puoi girare nudo per casa di una donna solo dopo che ci hai fatto l'amore, altrimenti sarebbe una mancanza di rispetto" (uelà....noblesse oblige!). Non torna nemmeno il racconto di come è morto papà Bates, qui si dice che lo hanno sfinito le punture d'api, in Psycho III si adombrava il suo assassinio per mano di Emma Spool. Una nota positiva però c'è, Olivia Hussey che interpreta Norma Bates; la sua recitazione è di livello, la sua resa della misteriosa e mezza pazza mamma di Norman credibile. A tratti il rapporto tra il bambino e la madre ha momenti di intensità (purtroppo subitaneamente rovinati dal resto). Norman junior è interpretato dall'amichetto di E.T. Henry Thomas, e c'è John Landis che fa un cameo come direttore avido della radio che ospita lo show sul matricidio. Viene riesumato perfino un tema della soundtrack originale di Herrman, anche se poi le musiche (banali) sono di tale Graeme Revell. Norman usa lo pseudonimo di Ed alla radio, citando forse Ed Gein, il vero Norman Bates del Wisconsin al quale Robert Bloch si ispirò quando scrisse Psycho. Anthony Perkins avrebbe voluto dirigere il film, portando con sé lo sceneggiatore del terzo capitolo ma, dato il fallimento finanziario che esso rappresentò, la Universal rispose picche. Joseph Stefano non aveva in simpatia Psycho II e III poiché - oltre a non essere suoi - li riteneva troppo commerciali e slasher (ed infatti la disputa sulla madre naturale vs madre adottiva di Norman viene cassata a pie' pari); la sua decisione di ricollegarsi direttamente al primo film ha pesantemente influito sulla continuità della storia e sul risultato finale di questo film, a mio parere.