La trilogia del "thriller da jet set" si conclude con Paranoia, uscito sempre nel '69 assieme a Così Dolce...Così Perversa e Orgasmo. Lenzi e Carroll Baker sempre assieme, mentre Jean Sorel si scambia con Trintignant in due titoli su tre. Al solito, storiacca cinica, crudele, perfida. Al solito, è sempre Carroll Baker a farne le spese, sorta di vittima sadicamente designata da Lenzi a subire gli spregi degli altri personaggi. Stavolta la Baker è costretta ad un periodo di riposo dopo un incidente automobilistico (sorprendentemente fa la pilota) e decide di accettare l'invito rivoltole dall'ex marito (Jean Sorel) con villone a Palma De Maiorca. Qui scopre che l'invito è in realtà stato formulato dalla di lui nuova moglie, Anna Proclemer, ma c'è un ma.... Da questo momento in poi c'è un rovesciamento di fronte dietro l'altro; Lenzi si diverte a incolpare tutti, macchiando di colpe ogni personaggio in sceneggiatura, riempiendo i suoi armadi di scheletri, oscurando la sua porzione di Luna tanto da non permettere allo spettatore di parteggiare per nessuno dei caratteri in gioco, visto che il più pulito ha la rogna. Come in un puzzle, le varie tessere si combinano meravigliosamente, incastro dopo incastro, e ad ogni nuova aggiunta il giro sulla giostra ricomincia, ma nel frattempo la velocità aumenta vorticosa, e sul finale qualcuno si farà male.
Paranoia è un film tutto sommato facile per Lenzi, che rimescola con mestiere gli ingredienti del precedente Orgasmo, pellicola che tra l'altro il regista avrebbe voluto intitolare proprio Paranoia ma che fu ribattezzata dalla Produzione. In America il film uscì come Paranoia, e vi lascio immaginare la confusione tra quella Paranoia e questa Paranoia....una vera paranoia! Lenzi padroneggia (ama)abilmente i codici del giallo thriller, contaminandolo ruffianamente con una spruzzatina di erotismo, che si traduce in qualche particolare anatomico della Baker sfuggito ai tagli censori, un rapporto ai limiti del lecito tra Sorel e Marina Coffa (all'epoca appena diciottenne). Lenzi tratta tutti allo stesso modo, come farebbe un entomologo con i suoi insetti, li osserva, li studia, li provoca per vedere le reazioni, come si fa in laboratorio; è attraverso simili esperimenti che si fanno scoperte, o si gira un buon film. Lenzi eccede con le zoomate, che sono sì un suo trademark, ma che qui fanno venire qualche mal di testa, perché sono lo strumento principe per inondare lo spettatore di tensione vorticosa, e Lenzi non si risparmia. Alcuni momenti sono al climax del cinismo beffardo (ad esempio quando viene proiettato l'importante "filmino", o quando, proprio sul finale, mentre tutto sembra definitivamente risolto e sistemato....). La Proclemer dà solidità al film, con la sua recitazione sicura e istituzionale, ma non priva di ammiccamenti; Sorel è il fustacchione della situèscion, meschino e profittatore, la Baker è un gran pezzo di signora, una Marilyn minore e tutta rivolta al cinema di genere, la Coffa aggiunge quel pizzico di lolitismo che rende il film più scabroso e piccante. Molto interessante l'incipit della pellicola, tutta girato in negativo - mentre sopra scorrono i titoli di testa - e che, ad un occhio attento, lascia intravedere già molte scene significative del film. Così come in una inquadratura (quando la Baker arriva alla villa di Sorel, trova la porta aperta e si addentra nella casa) per un attimo sul muro vediamo l'ombra della Baker che si scambia con quella del cameraman. Ops.