Panama Papers

Panama Papers
Panama Papers

Trenta anni e passa di carriera e Steven Soderbergh continua a graffiare. The Laundromat (la lavatrice) arrivato da noi come Panama Papers è un film uscito in sala negli States nel 2018 ma distribuito da Netflix in Italia. Definirlo una commedia è limitante poiché, per quanto faccia sorridere, racconta una vicenda che fa profondamente arrabbiare, financo indignare se si pensa a quante persone sono state truffate o hanno visto la propria esistenza devastata e, al contempo, quanto sia limitato il numero dei beneficiari di tale truffa, in quante poche selezionatissime mani il denaro ed il potere siano scorsi in modo del tutto sciacallesco e cannibale. Come la rititolazione italiana lascia esplicitamente presagire, il film ruota attorno al celebre scandalo dei cosiddetti "Panama Papers", un fascicolo digitale riservato di oltre 11 milioni di documenti, riguardanti oltre 200.000 società offshore e gestito dallo studio legale (panamense) Mossack Fonseca, ovvero una gigantesca - la più gigantesca - manovra di occultazione di denaro alle casse degli erari di mezzo mondo. La scoperta di questo vaso di Pandora ha - a suo tempo costato - provocato arresti, indagini e dimissioni persino di capi di Stato. 2,6 milioni di terabyte di informazioni che risalgono fino agli anni Settanta, un archivio di criminalità "legalizzata" senza termini di paragone nella modernità. Il merito della caduta del castello di carte è del misterioso whistleblower John Doe (nomignolo americano che equivale al nostro Mario Rossi, il cittadino qualunque). La sceneggiatura si basa sul libro "Secrecy World", scritto dal premio Pulitzer Jake Bernstein. Come è facile immaginare la materia scelta da Soderbergh scotta, i film sulla finanza sono sempre complicati perché presuppongono una conoscenza della materia e del linguaggio tecnico che la accompagna e la ammanta, un velo ostile che può allontanare lo spettatore di bocca buona. Per ovviare a questo spesso si è scelta la via del thriller avvincente, come a barattare la complessità con l'adrenalina. Soderbergh naturalmente rilegge questa equazione a propria maniera, optando per una strategia diversa, un tono grottesco e satirico del racconto, esasperato fino al metacinema.

Jürgen Mossack/Gary Oldman e Ramón Fonseca/Antonio Banderas ci guidano come due sornioni Virgilio alla scoperta di questo mondo. Sin dalle primissime immagini la loro voce off prelude alla comparsa in scena dei due in un mondo primitivo, ai tempi degli ominidi, della scoperta del fuoco e del baratto, una sorta di 2001: Odissea Nello Spazio in salsa finanziaria. Mossack e Fonseca ci spiegano com'è nato il denaro e conseguentemente come ne è scaturito il credito. Da quel momento il mondo non è stato più lo stesso, il credito diceva che potevi avere ciò che volevi senza poterlo materialmente comprare, era una promessa di futuro (che ti si sarebbe ritorta conto...  questo però il credito non te lo diceva). Dopo questa breve ma divertentissima premessa i due si fanno da parte (pur tornando a comparire di tanto in tanto), narrando una serie di episodi, veri e propri capitoli assimilabili a gironi danteschi, tutti legati al loro studio legale, scaturigine di ogni truffa, anche se a loro piace far riflettere lo spettatore sul fatto che l'origine di tutto sono l'avidità ed il libero arbitrio dei vari soggetti coinvolti. Assistiamo ad un disarmante paradigma di amoralità, opportunismo, cinismo e totale assenza di scrupoli. Il trionfo del mors tua vita mea.

Oldman e Banderas gigioneggiano ma in modo assolutamente irresistibile, rompono continuamente la quarta parete, si rivolgono direttamente allo spettatore, attraversano la scena nella quale sono coinvolti i protagonisti dei loro racconti e nel finale abbandonano platealmente il set, smascherando la finzione scenica. Per altro ad un certo punto accusano anche regista e sceneggiatore del film di aver fatto parte dei Panama Papers, "rivelando" dunque di essere dentro un film. Soderbergh insomma gioca moltissimo con l'ironia, trasformandola in una colonna portante della sua storia, che tuttavia ha il merito indiscutibile di essere serissima e persino drammatica nel raccontare gli eventi. Si pensi al lutto subito da Meryl Streep o alle scene in cui è coinvolto David Schwimmer. C'è persino Sharon Stone in una minuscola parte. Con l'episodio "cinese" si raggiungono persino vette di disagio disturbante. Delizioso il finale, con tanto di citazione della Statua della Libertà e con una dichiarazione di guerra di Meryl Streep che rende abbastanza evidente quanto il cast fosse coinvolto in questo film che, pur mimetizzandosi attraverso un raffinatissimo umorismo, intende a suo modo essere cinema "militante".

Trailer ufficiale

Galleria Fotografica