Nymphomaniac

Nymphomaniac
Nymphomaniac

Sembrerà paradossale ma dopo 5 ore e mezzo di visione non so esattamente da dove cominciare per introdurre Nymphomaniac di Lars Von Trier. Intanto iniziamo proprio dalla durata, la versione cinematografica sforbiciata durava 4 ore, queste è quella integrale totale assoluta, approvata in fase di montaggio da Trier (pure l'altra comunque). Era evidente che un film del genere (anzi due, volume I e II), di tale durata, intensità emotiva e franchezza di immagini rappresentate, avrebbe trovato grosse difficoltà distributive; ecco che le due versioni hanno cercato di facilitare la programmazione nelle sale. La director's cut italiana di Cecchi Gori è in lingua originale con sottotitoli italiani. Louise Westh, coproduttrice, ha dichiarato che Nymphomaniac è il film più completo del regista danese, una sorta di summa non solo della sua filmografia ma anche della vita e dell'esistenza umana stessa. Suona roboante e pretenzioso, ma in un certo qual modo è una definizione molto vicina alla realtà. In Nymphomaniac c'è di tutto, dramma, erotismo, pornografia, violenza, lirismo, umorismo, religione, diritti civili, letteratura, sociologia, digressioni storiche, cinema, teatro, filosofia. Attraverso la storia di Joe/Charlotte Gainsbourg (seguita sin dall'età di due anni), una donna caratterizzata in primis dalla sua spiccata ninfomania, Lars Von Trier discetta del mondo e delle cose del mondo, spesso lasciando molte tematiche irrisolte, ma perlomeno avendo l'ardire di toccarle ed esplorarle il più possibile. Concretamente l'indagine avviene sotto forma di dialogo tra Joe e Seligman (Stellan Skarsgard), nella camera da letto dove Seligman ospita Joe, avendola letteralmente raccattata da terra in un vicolo, in fin di vita.

Joe, come una lucida e cinica narratrice, racconta la sua intera esistenza, fatta di dolore, incomprensioni ed alienazione. 8 capitoli di una blasfema via crucis, ognuno dei quali nasce prendendo spunto da un inciso che Seligman fa riguardo ad un qualche oggetto contenuto nella stanza. Dall'esca a mosca per la pesca ad un registratore che riproduce Bach, da una (falsa) icona della Chiesa Orientale ad uno specchio, da un ritratto di donna ad una macchia sulla parete. Narrativamente la cosa funzione, c'è sempre il link "a  fagiolo", alla lunga tuttavia questa perfetta simbiosi di incastri suona un po' artefatta, ma del resto va interpretata come un pretesto teatrale un po' brechtiano al quale bisogna cedere per accettare di essere calati dentro la storia, così come vuole e richiede il regista. Tutto avviene in forma di flashback, cronologicamente in divenire (pur con qualche episodico salto temporale), fatte salve le chiose di Joe e Seligman, spesso su fronti opposti, ma con Seligman che cerca costantemente una via di contatto ed empatia con Joe. Al termine delle oltre 5 ore non è tanto la stanchezza da maratoneta che assale lo spettatore, quanto lo sfinimento emotivo per le prove a cui si viene sottoposti (anche un po' sadicamente) da Trier. Due in particolare i momenti difficili, almeno per quanto mi riguarda: il capitolo Delirium e l'aborto di Joe nel capitolo The Mirror. Nel primo si parla della malattia del padre di Joe (interpretato dall'ottimo Christian Slater), un medico preparato alla morte ma non al delirium tremens, causato dai danni cerebrali nella fase terminale del suo male (chiaramente un cancro). Per chi ha vissuto quei momenti nella realtà (ed oramai purtroppo credo che chiunque all'interno della propria famiglia, prima o dopo, abbia pagato dazio in tal senso), si tratta di un passaggio estremamente doloroso, quasi intollerabile, merito anche dell'estremo verismo con cui Trier tratta la materia (ed anche non senza una minima umanità che solitamente poco gli appartiene). Nel secondo caso, assistiamo ad un aborto ostinatamente autoprocuratosi da Joe, qualcosa di assai più disturbante a livello fisico e visivo. Qualcosa che Trier avrà ritenuto sicuramente necessario, ma nel quale altrettanto sicuramente sguazza.

Chi dovesse approcciarsi a Nymphomaniac come ad un film destinato a suscitare un qualche eccitamento, un film schiettamente erotico e malizioso, rimarrebbe pesantemente deluso. Il sesso, anche esplicito, c'è e in abbondanza, ma non è mai offerto allo spettatore come qualcosa di gradevole e invitante, bensì come un atto meccanico, freddo, respingente. La lussuria di Joe è una fame chimica, da soddisfare per evitare crampi e febbri, una bulimia in cui il sapore del cibo quasi è del tutto assente, è solo una questione di sentirsi sazi e placare lo stimolo (in nome del quale anche atti riprovevoli vengono generosamente esplorati, sebbene il gioco di Seligman - ed in ultima analisi, di Trier stesso - sia trovarne sistematicamente l'aspetto giusitificatorio). Per lo spettatore quindi la questione "sesso e pornografia" passa rapidamente in background, né più né meno che un'esca, come quella ritratta sul manifesto del film; sono le vivaci discussioni tra Joe e Seligman, ed il modo in cui Joe racconta le sue esperienze, il taglio e l'interpretazione che ne dà, a fare la pellicola, non gli organi genitali, ovvero semplicemente "un mezzo per". I dialoghi talvolta sono più fragorosi del reale significato che hanno, Trier non appare sempre del tutto sincero, gioca al gatto col topo, stana il pubblico, lo porta allo scoperto, gli tende trappole promettendo grandi soluzioni, ultimative ed escatologiche, a problemi esistenziali, salvo poi (inevitabilmente) lasciarti con gli stessi dubbi che avevi anche prima. E tuttavia un'opera di questo genere è indubbiamente coraggiosa, perché rivela un ardire titanico, e perché ci prova, non gioca facile, non mira al minimo sindacale.

Cast nutritissimo, con attori tanto entusiasti quanto spaventati dall'idea di prender parte ad un progetto così estremo. La Gainsbourg non mi fa impazzire, ma indubbiamente regge bene la (non facile) parte, condivisa con Stacy Martin (Joe in versione giovane). Una spanna sopra tutti Uma Thurman e Christian Slater, a mio parere, oltre ovviamente a Stellan Skarsgard. Un film del genere può distruggerti la carriera come farla decollare, un gioco d'azzardo in ogni caso. Interessante il personaggio di Seligman, agli antipodi di Joe, ninfomane lei, asessuato lui, vita vissuta lei, vita mai praticata lui; si definisce il giudice perfetto per l'imputata Joe, poiché avulso da pregiudizio e preconcetti (in realtà il finale andrà in una direzione beffardamente diversa da questo assunto). Durante la visione Von Trier passa dal colore al bianco e nero, dà diversi formati all'inquadratura, alterna musiche quasi incompatibili, da Shostakovich ai Rammstein, impiega più attori per uno stesso ruolo, sovrappone pezzi documentaristici alla fiction quando Skarsgard fa i suoi spiegoni dotti, sperimenta e manipola continuamente la sua materia filmica, sfidando chi guarda. Il simbolismo, le allegorie e le metafore regnano sovrane, a cominciare dalla botola nera in cui veniamo calati all'inizio del film, l'abisso che si annuncia e ci attanaglierà per le prossime 5 ore e mezzo. Nymphomaniac è indubbiamente una lunga e ricca riflessione sul cinema, sulla vita e su Lars Von Trier stesso, dunque anche qualcosa di psicanalitico ed autobiografico, come sempre accade quando ci si dispone a vedere un suo film, così come mai ci abbandona la consapevolezza di essere stati sfidati su territori rigorosamente estremi e trasgressivi.

Trailer ufficiale

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