Nero Veneziano

Nero Veneziano
Nero Veneziano

Con Nero Veneziano, Ugo Liberatore (quello degli esotici Bora Bora e Incontro D'Amore - Bali), chiude la sua carriera come regista, visto che per il cinema dopo il 1978 non dirigerà più nulla, ma sceneggierà (anche per la tv). Questo horror demoniaco non è forse il modo più virtuoso di aver appeso la macchina da presa al chiodo, un epilogo dignitoso anche se per i miei gusti non la miglior prova di Liberatore. Alla fine del decennio il regista abruzzese raccoglie gli esiti di tutte le pellicole in odor di zolfo che si sono susseguite fin lì, in primis la sacrilega triade composta da L'Esorcista, Rosemary's Baby e Il Presagio; poi si fa venire un'idea che una decade dopo Augusto Caminito farà propria (con Klaus Kinski alias Nosferatu), inscenare il Male a Venezia, teatro naturale di decadenza, ambiguità e caudicità. Idea che per la verità era venuta pure a Nicolas Roeg ad esempio, con il suo A Venezia... Un Dicembre Rosso Shocking (1973). Naturalmente si tratta di una Venezia non turistica, men che mai estiva o primaverile, bensì grigia, scarna, spettrale, spersonalizzata, con uccelli che costantemente volteggiano minacciosi in cielo e le architetture che si affacciano silenziose sulle calli, come a spiare i personaggi. Questo teatro chiama a raccolta due fratelli adolescenti, il cieco Renato Cestiè e la scontrosa e umorale sorella maggiore Rena Niehaus. Dopo appena mezzora sono già morti la nonna (tutrice legale dei due, orfani di genitori) e gli zii, una per infarto e l'altro impiccatosi. Questo è ciò che sembra, dato che Cestié ha delle visioni e attraverso quelle (gli unici momenti in cui squarcia il velo della cecità) sa che tutte queste morti ed ogni evento nefasto che accade ed accadrà ineluttabilmente intorno a lui sono opera del Maligno, che si fa carne nel corpo di Yorgo Voyagis. - SPOLIER: questi è venuto sulla terra nientemeno che per far mettere al mondo il proprio figlio dalla Niehaus e imitare così la vita di Cristo. Ma il proposito nel proposito del diavolo è quello di far odiare a tal punto suo figlio da farlo uccidere da Cestiè e poterlo così far risorgere, sublimando la sua opera di mimesi con Gesù. Solo che a quel punto il figlio risorto non andrà a sedersi alla sua destra ma rimarrà tra i viventi per tormentarli in eterno.

La vicenda è a suo modo classica e ampiamente frequentata in ambito thriller-horror; Liberatore ci mette Venezia, qualche vaga punta di erotismo necroforo e lascivo, e qualche scenaccia schifiltosa con vermi. serpi e corpi trapassati da un bastone e spunzoni che gettano fiumi di sangue cremisi. L'espediente con il quale Cestiè ha le visioni è una luce bianca che gli viene sparata in faccia (povero Cestiè) e che prelude sempre alla rivelazione. Terribili invece gli effetti sonori del film, rumori di scena completamente fuori contesto, quasi da cartone animato, come quel suono di molla elastica che dovrebbe fare l'effetto "wow" (solo che poi ti aspetti anche Titti e Silvestro che si inseguono sgommando per la casa). Bella la pensione decadente con vista sul Canal Grande nella quale è perlopiù ambientata la storia. Il cast non mi fa impazzire, a parte il bel tenebroso Voyagis (che comunque si limita al compitino ben fatto), le restanti facce sono poco espressive, non c'è intensità. La Niehaus gode di molto apprezzamento (anche e soprattutto per le sue nudità nelle due Orche dirette da Eriprando Visconti), ma francamente qui non lascia affatto il segno. Idem tutte le sue vestali ("conigliette di Playboy" le chiama Fabio Gamma.... ehm, non proprio), tra le quali Ely Galleani, Angela Covello e Lorraine De Selle, mediane buone per questo tipo di ruoli da sfondo. Ha il suo perché ed il suo carisma Olga Karlatos, la quale però si confonde in vari ruoli (per esigenze di copione) senza averne uno definito. Non un pessimo film, ma tra la non originalità del plot, una regia poco significativa, una recitazione a tratti fredda e svogliata, le musiche (di Pino Donaggio) e una rumoristica orrende, una sceneggiatura che per tutta la parte centrale non fa che girare su sé stessa riproponendo suppergiù sempre le stesse situazioni - quasi a voler prendere tempo prima di condurci al finale - e la stessa Venezia sfruttata a metà del suo potenziale atmosferico, le premesse di Nero Veneziano si infrangono contro la realtà di una pellicola che in fin dei conti mi ha poco impressionato.

Trailer ufficiale

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