
Dopo due Emanuelle nere (con una sola M) e dopo che quel marpione di Massaccesi gli scippa l'idea piazzando la Gemser sulla sedia di vimini originariamente registrata a nome Kristel, Adalberto Albertini detto Bitto se ne inventa un'altra; se le Emanuelle bianche (all'occidentale) e nere (all'africana...ma la Gemser era tutto fuorché africana) sono già state sdoganate, nessuno ha ancora pensato ad una eroina asiatica, et voilà, Albertini va a pescare Chai Lee, cinese, bellissima, fisico statuario (nei limiti della genetica cinese). Conosciuto anche come Yellow Emanuelle o The Last Madame Butterfly, il film del '76 - appena un anno dopo il sequel di Emanuelle Nera e comunque terz'ultima pellicola in assoluto del regista piemontese - ricalca in tutto e per tutto la "filosofia" emanuelesca, insistendo solo maggiormente sul tasso drammatico sentimentale della narrazione.
Per via delle musiche (il solito Nico Fidenco, oltre alla bellissima theme song dai sapori vagamente prog rock affidata agli Edison Idea), delle ambientazioni esotiche (Hong Kong), della presenza di starlette volitive e disinibite (una giovane Ilona Staller in rampa di lancio), di un solido latin lover italiano come protagonista maschile (Giuseppe Pambieri), delle tante donnine discinte di contorno e dell'immancabile corollario di amplessi erotici, è quasi impossibile non immaginarsi di trovarsi al cospetto di un ennesimo "orient reportage" di stampo massaccesiano. Solo che al momento giusto, anziché la Gemser ci si palesa davanti la splendida Chai Lee, dottoressa della mitica "Clinica dei Fiori" di Hong Kong.
E' in un letto d'ospedale infatti che il pilota della Japanise Airlines Pambieri/George Taylor fa la conoscenza della dottoressa Emy Wong, a seguito di un pestaggio subito nottetempo da dei brutti ceffi (mentre George era con una protituta). Da quel momento Taylor dedice di puntare testardamente la dottoressa fino a che non capitolerà. Poco importa che nel frattempo si trastulli con la civettuola collega Helga (Ilona Staller), il suo obbiettivo finale rimane la Wong. Le ferree regole sociali e comportamentali cinesi sembrerebbero impedire la liaison (la Wong è promessa in isposa ad un misterioso uomo di San Francisco, bufala o verità?) e la donna le asseconda con molta ritrosia nei confronti dell'invasore occidentale, ma ci vuole appena qualche fotogramma perché la situazione si rovesci e la bella dottoressa si getti nelle mani de focoso adulatore. - SPOILER: tutto procede per il meglio fino a che Helga non si ingelosisce e con un inganno cinico e spietato riesce a frantumare l'unione dei due cuori sinceramente innamorati. Taylor è costretto a trattenersi in Europa per un po' e la Wong, addolorata come una vedova inconsolabile, viene dapprima violentata da un estraneo che finge di prenderla a cuore dopo averla salvata dal suicidio, poi si abbandona alla prostituzione, unico destino riservato a chi come lei ha tenuto un comportamento prematrimoniale inopportuno e disdicevole. Quando Taylor tornerà ad Hong Kong e la ritroverà, sarà ormai troppo tardi, afflitto da un misterioso quanto fulmineo male incurabile, spirerà tra le sue braccia la prima notte di nozze e la Wong, come nel finale di una tragedia shakespeariana, si toglierà la vita con un pugnale, riversandosi sul corpo dell'amatissimo marito.
Al di là dello scarso successo riscosso al botteghino, il roboante e patetico finale non lascia dubbi sul perché Emanuelle gialla non abbia conosciuto seguiti. Il film è comunque ritenuto quasi unanimemente inferiore alla serie nera di D'Amato e probabilmente lo è, ma è anche una variante interessante e affatto da trascurare. Albertini infonde una sua cifra alla storia, non limitandosi a trovare pretesti per mostrare corpi e sedute amorose, ma cercando di dare fisionomia ai personaggi e vitalità alla sceneggiatura. Il Mondo Dei Sensi Di Emy Wong (titolo ovviamente ricalcato su Il Mondo Di Suzie Wong dramma romantico del '60 di Richard Quine con Nancy Qwan) è una storia, bella o brutta, prevedibile o incisiva, ma è una storia, con un suo dipanarsi, una sua idea di film alle spalle. Le location sono grandemente suggestive (una scena su tutte: la traversata in battello per raggiungere l'isola di Wong, un nido d'amore da sogno), la Lee, ancorché un po' legnosa negli sguardi e nelle movenze, è comunque un prezioso e raffinato fiore d'Oriente, credibile e abile nel passare dal registro formale e trattenuto della prima parte ad uno stile più volgare e discinto nella seconda; la sountrack affidata a Fidenco è un'assoluta garanzia. Magari rimarrà deluso chi cercava una forte spinta erotica poiché, al netto delle scene di sesso pur presenti anche se mai strabordanti, il film punta maggiormente sul sentimento che sul capezzolo. Certo, stonano un po' degli episodi francamente paternalistici e vagamente sciovinisti, come quello dei bambini che fanno il bagno nelle stesse acque (putride ed oleose) dove si muovono i battelli a motore e ai quali Taylor getta monetine come si fa alle scimmitte dello zoo, o quello della corsa dei risciò, quando per un attimo Taylor si chiede se i portantini non soffrano per la pesantezza del lavoro, ricevendo la rassicurante risposta da Emy Wong che quello è il loro lavoro e per soldi saranno felici di svolgerlo; una visione "occidentale" dell'esotico e servile Oriente, messo lì a posta per soddisfare chi viene da ovest, esattamente come le donne sono pressoché esclusivamente inquadrate come dispensatrici (coatte) del piacere maschile, proprio la filosofia che esprime la maitresse del bordello dove Emy Wong viene avviata alla professione.