Malombra

Malombra
Malombra

Nel 1984 Bruno Gaburro inizia un suo particolare trittico che lo occuperà per un triennio, con due film in quell'anno ed il capitolo conclusivo nel 1986. Stesso cast (perlomeno i protagonisti), stesse ambientazioni, titoli assonanti, film pure. Malombra evoca sin dal titolo le atmosfere decadenti e vagamente gotiche dell'omonimo testo di Antonio Fogazzaro, scritto nel 1881 e ambientato nel 1864, da qualche parte in Lombardia. Il povero Fogazzaro non viene neppure citato tra i credits del film, eppure il titolo non lascia scampo. Certo, la trama non ricalca pedissequamente il libro ma vi si ispira in modo evidente, vuoi per le atmosfere, vuoi per gli accadimenti principali. Anche qui abbiamo un uomo erudito che giunge ad una magione aristocratica, alle dipendenze di un burbero nobile la cui casata è al tramonto. Le stanze della villa celano una presenza femminile eterea e sfuggente, quasi spettrale. Una donna imprigionata al confine tra la vita e la morte, dal quale l'ospite si sente irresistibilmente attratto.

- SPOILER: La donna vive una condizione di ambiguità, poiché la sua esistenza ha un senso unicamente nell'imitazione simbiotica di un'altra donna, un'antenata nel caso di Fogazzaro, la sorella morta nel caso di Gaburro, che era la moglie del padrone di casa, il quale oggi pretende che riviva feticisticamente attraverso il corpo della sorella per alleviare il dolore inconsolabile della dipartita. In entrambi i casi il misantropo patriarca troverà la morte, anche se nel romanzo di Fogazzaro il finale sarà tragico per tutti, mentre nel film di Gaburro i due amanti potranno finalmente bearsi del proprio sentimento.

Malombra viene convenzionalmente inserito nel filone degli erotici retro chic inaugurati da Tinto Brass con La Chiave. Un altro esempio che viene spesso citato in proposito è quello di D'Amato, anche se i suoi L'Alcova e Il Piacere datano 1985 e sono in realtà successivi perlomeno ai primi due film di Gaburro, Malombra e Maladonna. Diversamente dall'ordine cronologico tuttavia, Gaburro viene messo in coda rispetto alla coppia di registi citati, considerato il meno brillante dei tre (in relazione a questa parentesi di erotismo d'antan, vagamente letterario e ammantato di nostalgia). A Gaburro mancherebbe la potenza visionaria di Brass, ma anche la guasconeria e l'arte di arrangiarsi di D'Amato, confinandolo a mero esecutore di un compitino scolastico e ordinario. Probabilmente è vero ma il giudizio rimane forse sin troppo severo nei confronti del cineasta emiliano. Malombra tutto sommato è un grazioso erotico del periodo, totalmente calato nel filone e nei relativi stereotipi e cliché che questo prevede e richiede, ingredienti che certo non ha inventato Gaburro e dei quali invece lui si serve, ma comunque ben resi ed amalgamati ad una storiella semplice ma d'effetto. Inoltre, ad aggiungersi a Fogazzaro e Brass, andrebbero citati pure Borowczyk, Edgar Allan Poe e la sua Ligeia, il topos della "sepolta viva", varie ed eventuali in ambito gotico.

Va anche considerato che il cast non è proprio da fuochi d'artificio. Paola Senatore salva la baracca con la sua sola presenza scenica, frizzante la servetta interpretata dalla sconosciuta Scilla Jacu; decisamente meno d'impatto l'altra attrice che Gaburro fa spogliare, Gloria Bozzola (qui accreditata come Gloria Brini). Sul versante maschile Maurice Poli ha quell'unica inamovibile espressione da Maurice Poli, Stefano Alessandrini è fin troppo calato nella parte di un giovane "signorino" ingenuo ed acerbo, mentre il precettore Gino Milli viene un po' ridicolizzato da una brizzolatura della chioma che "dovrebbe" invecchiarlo oltremodo, dandogli anni ed autorità. I momenti di erotismo (perlopiù autoerotismo) sono scolastici, ma la morbosa prorompenza della Senatore fa tranquillamente dimenticare la mancanza di estro ed originalità. Sul finale si rimane col dubbio che Osvaldo Raininger (Poli) sia stato vittima di un attacco di cuore o di una manovra orchestrata appositamente per farlo morire, vuoi per lo spettacolo "intenso" che gli si para davanti al momento dell'attacco, vuoi per il dettaglio di un medicinale verso il quale lui si protende prima di accasciarsi al suolo (era una medicina o la sostanza che lo ha condotto alla morte? Ai posteri l'ardua sentenza).

Ripeto, non siamo al conspetto di un capolavoro, né tanto meno Gaburro può realisticamente competere con La Chiave di Brass (in molto hanno tentato un paragone scomodo pure tra la Sandrelli e la Senatore, anche in questo caso con la prima soverchiante la seconda), tuttavia Malombra non è affatto un pessimo film e nel suo genere si lascia guardare molto gradevolmente, rivelando più di una freccia al proprio arco. Sostanzialmente lo stesso giudizio che ho ricavato da Maladonna, che infatti non a caso è speculare a questo, per ritmo, affettazione, erotismo, protagonisti (persino i personaggi mantengono gli stessi nomi).

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