Ci sono i sex symbol planetari riconosciuti e patentati, quelli che forgiano un'epoca, dico Rita Hayworth, dico Marilyn, dico Brigitte Bardot, dico la Loren, dico Kim Basinger, dico Sharon Stone, dico la Fenech, dico Gloria Guida e la Bouchet, attrici di indiscutibile bellezza le quali, con una carriera o magari anche un solo film ma bombastico (vedi 9 Settimane e Mezzo o Basic Instint), diventano il sogno proibito di intere generazioni. In Italia abbiamo avuto il nostro filone generosissimo di attrici di film di genere, nomi non di primissimo piano come le altre menzionate, e magari meno "internazionali", ma comunque ben consolidate nei cuori di tanti spettatori degli anni '70 e '80 (Carmen Russo, Michela Miti, Orchidea De Santis, Laura Antonelli, Nadia Cassini, Silvia Dionisio, etc.). Scendendo di un ulteriore gradino, ad un passo dal feticismo, c'è poi la categoria di attrici che ricordano quasi esclusivamente i cultori della materia, eppure si tratta di nomi di cui non faremmo a meno per nulla al mondo (Claudia Rocchi, Dyanne Thorne, Susan Scott, Dagmar Lassander, Gioia Scola, Jessica Moore, Margie Newton, Patrizia Webley, Sabrina Siani, etc.); a quest'ultima categoria appartiene pure Petra Scharbach, una di quelle meteore dei nostri schermi che non ha certo lasciato un'impronta indelebile o fondamentale, sebbene abbia marchiato a fuoco le notti adolescenziali di molti italiani.
Quando nei cinema a luci rosse della mia città i manifesti dei suoi film svettavano in dimensioni onanistiche, avevo appena passato i 14 anni, e li ricordo bene, pure troppo. A distanza di qualche lustro, la cosa divertente è stata recuperare in homevideo alcuni di quei film. All'epoca mi parevano la frontiera ultima della trasgressione, il varco dimensionale per il mondo della libido misteriosa, cose che noi umani non potevamo neppure immaginare (un po' tipo "il mondo proibitissimo della notte" di Fantozzi), ma che tuttavia solleticavano un certo non so che. Spesso non si trattava affatto di film hard ma di pellicole soft, erotiche o comunque non "spinte" come d'abitudine nei circuiti a tre X. Ricordo il periodo in cui al mitico cinema Italia era in proiezione Lolita 2000 con Petra Scharbach. Locandina inequivocabile, solo quella apparecchiava tutto un mondo di fremiti e calori. Non era il primo film di Petra, ma era il suo primo da vera protagonista. La si era già vista in Rimini Rimini - Un Anno Dopo ('87), Provocazione di Vivarelli ('89), nell'improbabile Diva Futura della omonima scuderia di Riccardo Schicchi (col quale tornerà a lavorare nel '90 in La Mia Preda). Tra le poche pellicole all'ativo di Petra pure la partecipazione a Paprika di Brass ('91).
Lolita 2000 è un'operazione curiosa e sgangherata al contempo. Curiosa perché, partendo dal titolo nabokoviano, e naturalmente non prescindendo dalla trasposizione filmica di Kubrick (neanche lontanamente sfiorata, non c'è bisogno di dirlo), si appropria del personaggio di Lolita trasfigurandolo completamente. La storia viene ambientata ai giorni nostri (di allora), il '90 appunto, le viene dato un orizzonte di profondità con il riferimento al nuovo millennio incombente, e la si affida allo stralunato e sensuale corpo della Scharbach. Tutto ha inizio a Fiumicino, nei dintorni dell'aeroporto, in un cubo di cemento dove dimora Lolita, rossa di fuoco, vestita di jeans, stivaletti e chiodo di pelle, e con il make up sempre a posto. Lolita non ha un passato, incarna il presente ed il suo futuro è tutto da costruire, all'insegna della libertà e dell'indipendenza. E' scappata di casa (famiglia difficile? Mah...) e vive alla giornata. Il film scandisce il passare del tempo in capitoli, laddove i capitoli altro non sono che i nomi degli amanti di Lolita. Già perché il suo attraversare lo spazio ed il tempo è un mero collezionare di amorazzi, dai quali Lolita cerca di trarre profitto o perlomeno piacere. 80 minuti scarsi di favola post moderna dai risvolti erotici. Lolita è una bambina col corpo di "femmina", adolescente volubile e donna determinata allo stesso tempo; il suo universo è popolato di tipi improbabili, ridicoli, comici e/o piuttosto stupidi. Si affida dapprima alle "cure" di un motociclista trippone, che la possiede letteralmente issandola su una sella (fine allusione al ruolo di "cavalla" di Lolita...). Seguono poi nell'ordine: manager di un emporio di abbigliamento dagli estrosi gusti feticisti (fa giocare Petra con un manichino a cui viene applicato un fallo finto, e poi decide di unirsi alla strana coppia); fustacchione Big Jim figlio di papà; banchiere strozzino che colleziona figliole in lingerie; belloccia (Virna Anderson) ex oggetto di piacere del banchiere di cui sopra; viceministro russo in visita in Italia per affari (che parla alla Ivan Drago). Quindi torna temporaneamente col figlio di papà per poi concludere la sua girandola di amori con un lavavetri al quale, nell'ultima scena del film, pratica una fellatio mentre i due sono diretti verso il radioso sole di un avvenire proletario (dopo la nomenclatura russa, non poteva essere altrimenti). Gli incontri amorosi di Lolita sono commentati da musichette assurde che svariano dal country al jazz alla disco-pop, sino alla kalinka; spesso Petra mima balletti sciocchini, proprio a sottolineare l'aspetto bambinesco e disimpegnato tanto del suo personaggio quanto della pellicola.
Claudio Papalia - documentarista sempre di ambito erotico - dirige con lo pseudonimo Clyde Rocca, ma la sua regia non si fa amare particolarmente. Il film non ha molto da dire, e riguardo alla sceneggiatura ci sarebbe da stendere un velo pietoso; ecco che, al netto degli amplessi di Petra (piatto forte del film), purtroppo ammorbati da dialoghi atroci, Papalia si sofferma in modo estenuante su dettagli di raccordo, dei veri e propri riempitivi che durano un'eternità, la scritta "Super" alla pompa di benzina, il continuo sfrecciare di treni sulle rotaie, macchine sull'autostrada e aerei in cielo; c'è poi un dialogo ai limti della tollerabilità, che ha luogo a cena, tra il banchiere e un ministro italiano (padre del fustacchione Big Jim), durante il quale i due discutono di affari e ricatti. Non c'è una frase che vada al punto, che contestualizzi la situazione, ma solo una serie di fumose allusioni inconcludenti che però si trascinano per un buon quarto d'ora. Viene l'orticaria. C'è una voce off ad inizio e fine film che presenta la storia e in qualche modo la commenta; a chi appartenga non è dato di sapere, la sua utilità nel film neppure. Petra addirittura in un paio di occasioni si rivolge direttamente allo spettatore, rompendo la cosiddetta "sospensione di incredulità"; una prima volta fa l'occhiolino alla macchina da presa (sta architettando un piano), una seconda volta si proclama "Lolita 2000", ripetendo il titolo del film. Per altro la vicenda si conclude con un arrivederci ad un ipotetico Lolita 2002, come se forse nelle intenzioni della produzione ci fosse addirittura un sequel, velleità o boutade? Di sicuro sappiamo che nessuno ha poi osato proseguire questa epopea.
Le due attrici protagoniste del film, nonché uniche donne in assoluto, sono ovviamente Petra e Virna Anderson, accompagnatrice del banchiere, di nome Greta, talvolta inopportunamente trasformato in "gretina" e, dato che il suo personaggio non pare proprio un'aquila, l'assonanza con "cretina" dà luogo ad una certa (involontaria?) ironia. Le due hanno naturalmente una scena assieme, amore saffico in vasca da bagno. A livello erotico il film è piuttosto spinto per essere un soft, pur senza mai trascendere nell'hard. L'impressione comunque è che Petra avrebbe tranquillamente potuto andare oltre (come appunto le varie Anderson, Paola Senatore, Lilli Carati, Karin Schubert) anche se in effetti non risulta che la Scharbach abbia mai girato una pellicola hard tout court, nemmeno nelle mani di Schicchi (e se non c'è riuscito lui....). Nata a Francoforte, diventa indossatrice sin da bambina, come la madre. A 6 anni si trasferisce a Parma, dove risulterebbe vivere ancora. A metà anni '80 in Italia canta e recita come Petra Rockstar, fa la valletta televisiva a Grand Hotel (Canale 5, 1986), posa per Playboy e Playmen. Entrata nella scuderia di Schicchi, partecipa a film e trasmissioni televisive senza però, come detto, oltrepassare il limite della pornografia. Lascia quindi il cinema per dedicarsi alla pittura, oggi sua principale occupazione, pur senza aver rinnegato un rapporto privilegiato col mondo dell'eros.