
Regia di Anonimo. Con questa inusuale dicitura ha inizio il film Laure (1976). La paternità della pellicola è varia e dibattuta. Secondo alcuni sarebbe di Emmanuelle Arsan (la stessa di Emanuelle), e la Arsan avrebbe anche interpretato il film con lo pseudonimo di Myrte (la moglie di Orso Maria Guerrini nel film). Secondo Al Cliver (Pierluigi Conti), che nel film è l'amante - poi marito - di Laure (Annie Belle), il film fu diretto da Louis Jacques Rollet Andriane, funzionario dell'Unesco, diplomatico, nonché marito della Arsan. Quello di Emmanuelle Arsan sarebbe stato comunque uno pseudonimo; Andriane per motivi professionali non avrebbe potuto essere collegato a materiale erotico, dunque la pubblicazione della letteratura "emmanuelesca" e i relativi film da essa tratti sarebbero stati imputati a sua moglie Marayat Andriane (in arte Emmanuelle Marsan). L'emancipata e disinibita donna moglie di un diplomatico francese in Oriente altri non sarebbe che proprio la signora Andriane, alla quale le vicende di Emmanuelle sono dunque vistosamente ispirate. Dunque Andriane avrebbe diretto il film, forse coadiuvato dal produttore Ovidio Assonitis; Assonitis però sostiene di non essere mai andato nelle Filippine durante la lavorazione del film, e infatti secondo Cliver avrebbe inviato sul posto un suo uomo di fiducia (Peter Shepherd). In ballo entrano anche il direttore della fotografia Roberto D'Ettorre Piazzoli (che pure si è attribuito la paternità del film) e Sonia Molteni, moglie di Assonitis, nonché co-sceneggiatrice.
Un bel fritto misto per una pellicola che, alla fine della fiera, è una variazione sul tema di Emmanuelle, o forse qualcosa di più. Il cuore della filosofia erotico-esotica della Arsan (chiunque essa/esso sia) è contenuto più veracemente e didascalicamente in Laure che non nel film con la Kristel. E' questo il film che più di altri esprime la visione e l'estetica della Arsan al massimo del suo potenziale. Che poi è sempre rimasto in bilico tra grandi proclami libertari ed esistenzialisti ed una ben più sbrigativa lussuria scopereccia con tratti radical chic. Giustamente Giovanni Buttafava parla di "aforismi da boudoir", altisonanti e improbabili, pronunciati in situazioni dove l'unica evidenza (poco filosofica e molto corporale) sono corpi nudi che bramano di aggrovigliarsi nell'amplesso. "Pansessualismo arsanico" da ricondurre più banalmente ad "avventure balneari adriatiche", sempre per citare Buttafava, che centra perfettamente il bersaglio, una montagna che partorisce un topolino. Protagonista indiscussa è la Belle (Annie Brilland), reduce da La Fine Dell'Innocenza di Massimo Dallamano; Laure sarebbe dovuta essere Linda Lovelace, ma all'ultimo la Belle le fu preferita, anche per via della sua "atipicità" che la rendeva più fresca ed originale (la pelata color platino in aggiunta ad un corpo perfetto per gli anni '70 e ad una vena sbarazzina). Sicuramente un bel volto, anche se devo ammetterne di non averne subito poi troppo il fascino (davvero quel taglio di capelli è la cosa più antierotica che possa esistere). Il film fu girato nelle Filippine, finché non sopraggiunsero la stagione delle piogge e le complicazioni derivanti dalle zone nelle quali i ribelli antigovernativi funestavano le riprese, tanto che la Produzione si trasferì più mestamente a Roma (zona Villa Pamphili).
Laure, figlia di Olsen, un pastore religioso, conosce Nicola, un fotoreporter che si trova a Manila per riprendere con la sua cinepresa "l'amore". Il rapporto tra i due diviene immediatamente complice e basato su assunti di totale ed incondizionata libertà (sopratutto sessuale). Nicola persegue la felicità di Laure, la quale, dal canto suo, dà libero sfogo ad ogni proprio desiderio. I due entrano a far parte della spedizione dell'etnologo Morgan, sponsorizzata dal Olsen. Assieme alla sua amante Myrta (che il professore condivide con la moglie), Morgan si spinge nella giungla alla ricerca del popolo Mara. Durante la ricerca, Laure si concede al professore, mentre Nicola non intende giacere con Myrta, in segno di profondo amore per Laure, dalla quale però accetta qualsiasi trasgressione poiché rifiuta culturalmente il conceto di "gelosia" (che definisce senza mezzi termini un "abominio"). - SPOILER: L'incondizionata libertà sessuale di Laure intende simboleggiare anche la sua purezza d'animo. Nonostante si conceda a chiunque, il suo spirito rimane indipendente e non posseduto. Non si lega a beni materiali, come invece sembrano fare gli individui che la circondano, attratti da denaro, potere e status symbol. Laure abbandonerà al suo destino persino Nicola, lasciandosi irretire dal mitico popolo Mara. Dopo una notte rituale (naturalmente a tinte orgiastiche) Laura acquisirà una nuova consapevolezza spirituale.
Tra Il Dio Serpente e ovviamente Emmanuelle, Laure è un mezzo polpettone che, sotto altisonanti velleità sociologiche venate di esotismo cela una più prosaica sequenza di scene porno soft, perfettamente confacenti al pubblico cinematografico coevo. Il che non significa che il film non abbia dei bei momenti "fotografici" e scene suggestive. A conti fatti si rivela quasi sovrapponibile al "gemello" Emmanuelle, anche se la fisionomia di Annie Belle contribuisce a rendere il film comunque peculiare e dotato di sfumature proprie (ad esempio l'esotismo qui è più genuino e meno patinato che in Emmanuelle). Accattivante la colonna sonora ad opera di Franco Micalizzi. Inutile dire che il film venne osteggiato dagli ambienti cattolici che stigmatizzarono - non a torto mi pare - la presunzione di grandi verità intellettuali che Laure intende rivelare al pubblico ("la gelosia è oscena, l'amore è rinuncia, ogni fede è una delusione", etc.) per poi tradurre il tutto in una faciloneria di comportamenti sessuali meramente edonisti e gaudenti. Non esattamente una ardita ed analitica speculazione filosofica.