La Puritana

La Puritana
La Puritana

La prima scena è già indicativa di quello che avremo di fronte: un povero cristo rinsecchito giace in un letto d'ospedale mentre compie sforzi sovraumani per rivelare un importante segreto ad una donna al suo capezzale, Margit Evelyn Newton, una (splendida) matrona tutta cotonata e inzuppata di make up. Il ragazzo è collegato "alla macchina che fa pim" (cit.), violentissimi spasmi lasciano presagire l'imminente trapasso, eppure il tutto avviene nella più totale solitudine. Solo a morte sopraggiunta si presenta "il dottore" (Helmut Berger) a prendere seraficamente atto che il giovanotto ha tirato le cuoia. Segue un altrettanto serafico dialogo al bar tra la Newton e Berger mentre bevono l'amarino. Così inizia La Puritana (1989), il Kill Bill di Ninì Grassia (14 anni prima), capolavoro trash, una delle vette assolute del suo cinema, per quanto mi riguarda.

Il ragazzo ha messo al corrente la donna di aver nascosto delle prove importanti per svelare un po' di altarini del paesello suo. Ed infatti puntualmente la Newton, che è un avvocato (di città), scova delle registrazioni che accusano i signorotti del paese - il sindaco, il farmacista, un conte, il prete e pure il dottore di cui sopra - di aver abusato della madre del ragazzo causandone la morte, aver iniziato il figlio all'eroina, oltre ad altri peccatucci vari, come tangenti, spaccio e quant'altro. La Newton avvia una spietata vendetta, perseguendo uno ad uno i colpevoli e conducendoli inesorabilmente alla morte. Da brava vedova nera, irretisce ognuno di loro con il sesso (uno, il conte, lo ammazza addirittura a colpi di fellatio e giornaletti zozzi, geniale) fino a che non ne causa il trapasso mediante "incidente", istigazione al suicidio o sensi di colpa. Per farlo si serve di ogni mezzo; sempre nel caso del conte ad esempio, non si fa scrupolo di divenire l'amante della figlia (e quindi grandi e ripetute scene lesbo) pur di incastrare il padre. Su tutto questo indaga il commissario, con la faccia da ex pugile, l'unico a cui le grazie della Newton purtroppo non toccano. - SPOILER: minispoiler stavolta, poiché la vendetta della Newton è esplicita da subito, c'è poco da scoprire, se non che il ragazzo morto era in realtà suo fratello, ecco il perché di una resa dei conti tanto tenace.

Il film vive di musiche insistenti (con tratti da Rondò Veneziano), una fotografia cheap e un po' di attori in caduta libera. Il sindaco è Mattia Sbragia, il dottore è Helmut Berger, il farmacista è Gabriele Tinti (che, abituato agli ossicini della Gemser, nella scena di sesso con la Newton deve essersi sentito mancare il fiato). Il commissariato all'esterno riporta la targa di Verbania (Piemonte), però poi riceve la posta indirizzata a Putignano (Puglia) e vediamo pure i trulli; c'è un po' di confusione geografica in effetti. Sarà l'effetto delle curve della Newton, è comprensibile. Il sindaco e la moglie bagasciona vengono ritrovati morti ammazzati in macchina, si pensa ad un omicidio-suicidio dopo che Sbragia ha scoperto l'adulterio della moglie. Secondo gli inquirenti ciò appare chiaro anche dalla perizia balistica: la moglie è stata freddata alle spalle (l'omicidio) e poi Sbragia si sarebbe sparato (il suicidio). Ed infatti la donna ha uno splendido buco in fronte con abbondante sangue. La scena della morte del prete omosessuale è un improvviso cambio di registro che spiazza; la Newton, pia e devota, avvolta in un pizzo nero degno di un film di Mario Salieri, va a "confessarsi", e nel farlo accusa il prete dei suoi abusi sessuali sul ragazzo morte in ospedale. Il prete, sentendosi scoperto, impazzisce (si stringe la testa ed urla manco fosse Scanners), corre in preda al delirio fuori dalla chiesa e viene investito dalla prima macchina che passa. Puro gotico soprannaturale.

La Newton è tanta roba. Si concede fisicamente ad ognuna delle sue vittime (tranne il prete, essendo gay), quindi le scene di sesso sono costanti ed abbondanti. Il fisico dell'attrice bolzanina è rigoglioso oltre ogni immaginazione, e se lo ricordano bene i lettori di Playmen degli anni '84-'88, anche se su quelle pagine appariva con lo pseudonimo di Margie Moreau. Pure la moglie del sindaco, Annamaria Clementi, ha condiviso le pagine della rivista (ed in effetti, ce ne eravamo accorti). Meravigliosa la critica che fece Il Messaggero del film: "L'inqualificabile film spazzatura (non riciclabile) diretto da Ninì Grassia è un porno mancato morbosamente inconsistente, dove il sesso pecoreccio ignora del tutto erotismo e buongusto. Ai limiti del peculato. Sugli attori stendiamo un velo pietoso". Se non è un ottimo motivo per vederlo questo, ditemi voi di cosa altro avete bisogno. Dvd Duck Records fuori catalogo, ma Cineraglio, che vuole tanto bene a Ninì Grassia, ne ha una copia assicurata ai Lloyds di Londra.

Trailer ufficiale

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