Il film esattamente precedente a Il Cattivo Tenente, che porterà alla attenzione del mainstream Abel Ferrara (nonostante girasse film da tre lustri), è King Of New York, solidissimo noir metropolitano dalle tinte gangsteristiche, e perché no, shakespeariane alla maniera di Scorsese. La storia di Frank White (Christopher Walken) è tutto sommato equiparabile ad una tragedia del bardo di Stratford-Upon-Avon, il suo profilo ha la profondità di uno dei protagonisti della sua penna (d'oca) intinta di inchiostro, il racconto di un'ascesa e di una caduta di proporzioni epiche ed apocalittiche. Di ascesa in realtà non si può parlare perché White non ascende granché, perlomeno nella frazione di vita che passa sotto la lente d'ingrandimento dello spettatore; è un ex grande (boss), che esce di galera dopo un bel pezzo, con tutta l'intenzione di ripartire da dove si era interrotto e rimettere in piedi un impero (del crimine, narcotraffico in particolare). Ciò che lo rende diverso dagli altri concorrenti con i quali deve dividersi le strade di New York è la finalità per la quale delinque. In carcere White ha maturato il convincimento di dover fare qualcosa di buon negli anni che gli rimangono, lasciare un segno per la sua città. Pensa di candidarsi a sindaco e il suo biglietto da visita sarà la donazione di svariati milioni di dollari ad un ospedale di quartiere che rischia di chiudere per mancanza di fondi pubblici. Difficile convincere la cittadinanza e le autorità che White delinqua per il bene pubblico. Ed infatti nessuno gli crede.
Ferrara trova negli occhi spiritati e nel fisico dinoccolato e spettrale di Christopher Walken il funereo protagonista ideale della sua storia. Una furia ancestrale, un demone irrequieto e condannato ancor prima di nascere, un morto che cammina. Una mente che poggia su una moralità a proprio uso e consumo, secondo la quale uccidere criminali che fanno affari con la prostituzione di minorenni o con lo sfruttamento di clandestini è tutto sommato un bene, mentre impestare la città di cocaina è solo un "affare" come tanti altri. Le orecchie semmai vanno tirate agli americani che si ammazzano di droga per lo sballo, non a chi si occupa di venderla, un onesto business man che fa commercio. Se White non ci fosse, ci sarebbe qualcun altro al suo posto; ecco cosa pensa ed ecco perché non ha alcuna remora, tanto più che il suo impero economico sarà messo al servizio della gente (e magari nel suo ospedale ci finiranno quegli stessi che hanno abusato della droga che White vende). Il tono di Ferrara è, come sempre, ultimativo, crudo, roboante, enfatico e schizoide. Tutto è disperato e nevrotico, le decisioni sono radicali e senza appello; ad ogni torto o dispetto subito White reagisce con una carneficina, imbracciando le armi (anche personalmente) ed andando a rendere occhio per occhio, secondo la legge del taglione. I suoi sentimenti sono puri, nel bene e nel male, e quindi assoluti; in questo senso la pietà non è un'opzione. Il suo fascino è carismatico e si estende tanto tra i suoi scagnozzi (curiosamente tutti di colore) quanto tra i nemici. La sua donna è l'avvocatessa che lo patrocina (Janet Julian) e che non esita ad amoreggiare farsi palpeggiare in metropolitana, solo per compiacerlo.
Il cast comprende dei giovani ed adrenalinici Laurence Fishburne (davvero sgradevole il sui Jimmy, molleggiato come una scimmietta), Wesley Snipes e David Caruso. A fronteggiare White c'è Victor Argo (Bishop nel film) un poliziotto che rischia la vita 365 giorni all'anno per uno stipendio che White guadagna in cinque minuti di trattativa nei bassifondi. I suoi uomini sono esasperati e pronti a farsi giustizia da soli (e ci proveranno), ma sarà lui l'arcinemico che White dovrà fronteggiare alla fine della corsa, in un epilogo anticlimatico che affoga nel cinismo e nel pessimismo tanto cari a Ferrara. Difficile non pensare che Michael Mann non sia stato ispirato anche da King Of New York per il finale del suo Collateral. Molto bella la fotografia livida e notturna di Bojan Bazelli. White è artefice in tutto e per tutto del proprio destino eppure, nonostante tutto, nella sua drammatica parabola di sconfitta c'è la scintilla di Prometeo che osa rubare il fuoco degli dei. Una grandezza enigmatica ed elusiva, ma coraggiosa e stentorea.