K-19 (di K. Bigelow, 2002) è un film che si potrebbe prender sottogamba, pensando di trovarsi davanti ad un thriller guerrafreddaro, alla Caccia A Ottobre Rosso, per capirsi. E' invece, sottomarino sovietico a parte, è tutto un altro paio di maniche. La storia è vera, terribilmente vera nella sua raggelante crudezza. Nel 1961 l'Urss vuol rendere operativo il gioiellino dei mari K-19, sottomarino nucleare i cui siluri sono fatti apposta per benedire gli Stati Uniti. Il mezzo viene mandato in mare, verso l'Artico, a compiere complesse prove ed esercitazioni, sin quando uno dei due reattori nucleari a bordo cede, presentando una falla. L'equipaggio ha 4 ore di tempo per evitare la fusione del nocciolo con conseguente esplosione nucleare che coinvolgerebbe navi americane e basi Nato nei dintorni, e quindi innescherebbe un incidente diplomatico e magari la terza guerra mondiale. L'equipaggio del K-19 ha così in mano le proprie vita ma anche il destino del mondo intero. Quello che accade da quel momento in poi prescinde dell'action thriller e dalla fantapolitica, per tradursi invece in una angosciante tragedia umana, tanto più tragica quanto tristemente veritiera.
I marinai del sommergibile non hanno potuto far parola dei fatti accaduti a bordo per 30 anni, tutto passato sotto segreto dai tribunali sovietici, e solo dopo la caduta del Muro il mondo ha potuto sapere. Capitano del K-19 è Harrison Ford (anche produttore del film) e il suo secondo è Liam Neeson, e molta della tensione si gioca sullo scontro dei due caratteri. In tutta onestà, non ero preparato a quanto ho poi visto. Mi aspettavo una roba romanziera e ciarliera alla Tom Clancy, una spy story canonica, ed invece K-19 è risultato assai disturbante. Quello che succede agli uomini esposti alle radiazioni del reattore guasto, il loro eroismo (più o meno consapevole), l'umanità dei caratteri, sono ciò che al meglio la Bigelow è riuscita a rendere. Oltre ovviamente al clima claustrofobico della vita sottocoperta, in spazi angusti e ridottissimi. 129 membri dell'equipaggio costretti a dividersi 40-45 cuccette, con turni operativi di 16 ore, cassette per gli effetti personali di 20 per 20 cm, spazi limitatissimi, affollati di strumenti di bordo, disposti secondo criteri ergonomici volti a consentire ad una singola persona il maggior numero di operazioni e a rendere operativamente auto-sufficienti i vari compartimenti (in caso di avarie).
Per altro non c'è computer grafica qui, la produzione ha acquistato un vecchio sottomarino dell'epoca e lo ha letteralmente ricostruito sul modello del vero K-19, in modo a dir poco maniacale. All'interno poi, sono state create strutture ed architetture custom (monobinari a scorrimento mimetizzati come tubi) che permettessero di girare con la camera, le luci, gli attori e tutta la scenografia in pochi metri. A volte i tecnici, nell'impossibilità di sottrarsi al campo della ripresa, erano costretti, vestiti da marinai, a confondersi con gli attori.Il cast si è preventivamente recato in Russia ed è vissuto là, per entrare nel clima e interpretare al meglio la parte. La Bigelow ha incontrato i reduci dell'equipaggio, traendone preziosa esperienza per la corretta ambientazione delle situazioni. In più di un'occasione il film, ancorché venato di retorica, si dimostra straordinariamente potente e commovente. La Bigelow stessa racconta di aver pianto, dietro la macchina da presa, durante la scena emotivamente più dura della pellicola, quella che riconoscerete dal pugno alla bocca dello stomaco. Così come per l'ennesima ennesima volta, la Bigelow dà le paste a molti colleghi registi maschi, ben più quotati per pellicole ad alto tasso di virilità e adrenalina. Costo del film 100 milioni di dollari, incassi, 35 negli USa e 30 nel resto del mondo, quindi, tecnicamente, un flop. Bellissimo però, ma attenzione, al termine della visione, più che nobili e vittoriosi patrioti vi sentirete assediati ed angosciati.