
Appena un anno dopo aver lavorato per Fellini in Intervista, la ex benzinaia del veronese Eva Grimaldi interpreta Intimo di Bob J. Ross, il cui nome assai meno hollywoodiano risponde a Beppe Cino. Sono anni febbrili per la Grimaldi (pure lei all'anagrafe fa Milva Perinoni), lanciata televisivamente da Drive In, per il quale senza ombra di dubbio aveva il physique du role. Alterna pellicole varie, d'autore, commedie, erotici, biopic, action, horror, frequentando perlopiù il cinema di genere a basso costo. Cino è un regista colto, Maturità Classica, studi in Scienze Politiche e Filosofia, diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, aiuto e collaboratore di Rossellini; a partire dall'87 circa si scopre attratto dal genere erotico, firmando il trittico Oggetto Sessuale, Fatal Temptation e Intimo, pellicole entrate stabilmente nel novero degli stracult italici, sempre ad un passo (e oltre) dal trash. Intimo - ma nei titoli di testa la scritta che compare recita Io Intimo - si offre da subito come un film con pesanti velleità letterarie, psicologiche ed intellettuali. Ma queste vertiginose intenzioni fanno a cazzotti con la messa in scena poveristica, il cast e la reale portata della sceneggiatura. La storia è quella di Tea (Eva Grimaldi) una cameriera che arrotonda facendo sfilate di biancheria intima (di qui presumo il titolo). Ha un fidanzato normale, che la ama e la rispetta, ma è proprio questa "noiosa" tranquillità sentimentale che pare aprire il varco ad una tempesta ormonale. Karl (Leonardo Treviglio), uno spasimante che la osserva durante le sfilate, inizia a tampinarla, riempiendola di parole e frasi lusinghiere (sempre molto criptiche). Tra i due si instaura un rapporto morboso e abbastanza violento, sul quale - come se non bastasse - si sovrappone anche quello con il depravato e mefistofelico portiere (Thomas Arana) dell'albergo nel quale risiede l'amante della Grimaldi. I due uomini si contendono le grazie della cameriera modella, giocando al gatto col topo, fino a che, così come tutto era cominciato, improvvisamente cessa. Il focoso spasimante di Tea sparisce nel nulla ed il portiere la congeda con un sibillino "arrivederci". Ecco che la Grimaldi, forte delle sue esperienze sessuali di grande intensità, torna al suo vecchio amore, il ragazzo tranquillo (al quale si presume farà scoprire mondi finora inesplorati).
Lo stesso fiume di parole e parolone che stordisce la povera Tea, facendola capitolare, rintontisce anche lo spettatore, esausto dopo appena un quarto d'ora di proiezione. Le frasi fatte ed altisonanti pronunciate da Treviglio (che farebbero capo addirittura ai vari Wedekind, Lautréamont, Céline) sono totalmente fuori contesto, immotivate, gettate in pasto alla storia un tanto al kg. Roboanti dichiarazioni completamente appese, svuotate di profondità e recitate strumentalmente per ottenere unicamente le pudenda della burrosa Grimaldi, qui al top del suo look panteresco e volgarotto. L'assurdo non-sense è dato dal fascino che un buzzurro manesco come Karl esercita sulla "principessina" Tea, finora vissuta nella candida innocenza (si fa per dire, viste le sfilate a cui si dedica con tanta convinzione). Siamo al rovescio del femminismo o, volendo, alla conferma del famoso teorema di Marco Ferradini ("prendi una donna, trattala male...."). Tea potrebbe godersi un fidanzato belloccio, dolce, premuroso e "umano", ma naturalmente i suoi pruriti sessuali sono tutti rivolti ai personaggi desadiani rappresentati da un viscidissimo (ed impotente) portiere d'albergo, che si diverte a deflorare le donne con un bastone di vetro, e da un quarantenne sdrucito che recita a memoria passi letterari come fossero i bigliettini dei Baci Perugina, e pure lui chiacchiera più di quanto in realtà concluda. Ne esce fuori un quadro di caratteri abbastanza disarmanti, ottusa e stupidina lei, maniaci sessuali loro; per non parlare delle colleghe modelle con cui Tea sfila, tre sgallettate assai disinibite, che arrotondano come escort, visto che a turno si prestano alle voglie di Arana. Tra queste c'è Valentine Demy (accreditata come Marisa Parra), obbligatoriamente da segnalare perché sfoggia uno dei fisici più incredibili della storia del cinema erotico italiano (anche se purtroppo ha avuto modo di deturparlo poi a dovere).
La Grimaldi andò a pubblicizzare il film al Maurizio Costanzo Show e si fece intervistare dall'Europeo: "Parlerei di erotismo interiore [...] una strategia di progressione del desiderio [...] nel film finisco sotto un torrente di parole che mi aggrediscono, mi lusingano e mi assillano di continuo, esercitando una grande carica di violenza. E io mi lascio travolgere, comandare, usare [...] l'ho accettato per il miscuglio di temi letterari che danno uno spessore alla materia erotica [...] ma non è solo un film di idee". Il tema letterario che nobilita l'erotismo è un grande classico tra gli argomenti usati dalle attrici che devono giustificare pellicole poi rimproverate e rinfacciate dalla critica. Va spesa una parola anche per i set drammaticamente cheap, sempre all'insegna di una fotografia (addirittura di Delli Colli) buia che più buia non si può. Le telefonate col fidanzato avvengono sistematicamente sotto un ventilatore perennemente in movimento; la pedana delle sfilate ha una disposizione spazio-temporale incomprensibile (dove cacchio sono posizionati tutti i tizi che regolarmente attaccano bottone con Tea? Sembrano sulla pedana pure loro). E che dire dei camerini o dell'albergo? Terribile anche la scena di sesso tra Treviglio e la Grimaldi, quella nella quale (finalmente) i due concludono qualcosa. Inizia dall'ascensore (dove Karl rivolge raccomandazioni assurde a Tea), per poi proseguire lungo i corridoi (contro le cui pareti la donna viene ripetutamente sbattuta, in tutti i sensi), e terminare quindi a letto (ah.... meno male!). Indubbiamente un film culto del genere "so good so bad", da prendere ovviamente con le dovute cautele, soprattutto per quanto riguarda le dinamiche comportamentali dei personaggi, antitetiche ad uno straccio di realtà degno di tale nome.