Impiegati

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Impiegati

Impiegati di Pupi Avati (1984) è un film sul quale dialetticamente ci si potrebbe esercitare molto, c'è parecchio da dire, lo stesso Avati, unitamente alla critica che si è occupata del film, ha illustrato in modo esegetico tutti i significati più o meno reconditi che accompagnano la pellicola e che il regista bolognese ha inteso inserire nella sceneggiatura firmata assieme al fratello e produttore Antonio. Tuttavia il punto è proprio quello, quanto di ciò che Avati ha ritenuto di aver messo nel film arriva poi effettivamente oltre lo schermo? Se fior di critici si sono dilungati a tesserne lodi e a descriverne la corposa semantica e dettagli a iosa, evidentemente è arrivato parecchio, e quello strano devo essere io, che invece ha solo intuito senza aver palpato prosaicamente con mano tutto il lirismo di cui quei fotogrammi sarebbero intrisi. Anno Domini 1984, gli yuppies dei Vanzina arriveranno due anni dopo, però parallelamente al film di Avati, si andava già a fare le "vacanze in America", assieme a Don Buro, Peo Colombo e il Marchese del Grullo; di ben altra risma sono gli impiegatini borghesi di Avati, avulsi dalla goliardia e dalla caciara dei personaggi dei Vanzina.

Luigi (Claudio Botusso) è figlio di un impiegato di banca che ha fatto carriera e, in piena tradizione familiare, dopo la laurea viene assunto pure lui in banca per iniziare la sua di carriera. Qui trova un ambiente già in pieno fermento, fatto di un "team" di ragazzi che lavora sodo e sgomita per cercare di farsi una posizione. Parallelamente Luigi, che arriva a Bologna dalla provinciale Modena, va a vivere in affitto in un appartamento con un coinquilino, Dario (Dario Parisini), fatto di tutt'altra pasta, studente del Dams, poco "ragioniere" come atteggiamento e piuttosto sfuggente ed impalpabile nei modi. A lavoro Luigi stringe rapporti ed amicizie, individuando tipi più e meno affidabili, potenziali amici, rivali, ed innamorandosi a più riprese di due donne, Marcella (Giovanna Maldotti), la bella della situazione, una collega un po' superficiale a cui fa il filo anche il non più giovanissimo capo filiale Pozzi (Gianni Musy), e Annalisa (Elena Sofia Ricci), moglie un po' repressa di Enrico (Luca Barbareschi), un altro collega. - SPOILER: i percorsi di vita di Luigi e Dario divergeranno sempre di più, prendendo direzioni inversamente proporzionali. Alla crescente irrequietezza di Dario farà da contraltare la progressiva normalizzazione e rassegnazione di Luigi, il quale si inserirà nell'ambiente di lavoro e nella prospettiva di una tranquilla vita "grigia", mentre Dario troverà una morte inaspettata in un incidente d'auto (guidando senza patente).

Luigi e Dario nell'ottica di Avati sono due facce della stessa medaglia, quasi due profili dello stesso personaggio, da ricondurre in ultima analisi a Luigi. Il ragazzo venticinquenne si approccia alla vita post universitaria con tutte le ambizioni, le aspirazioni, le speranze e i sogni di chi ha una esistenza davanti da costruire, ma l'impatto con "l'ufficio" - che poi è un open space dispersivo e confusionario - ne tramortisce subito gli entusiasmi, gettandolo in una cruda realitat. Di contro Dario pare rappresentare proprio quell'indole più utopistica, irrazionale ed emotiva che viene lentamente soffocata, fino ad essere totalmente debellata, sia metaforicamente che concretamente, attraverso la morte del personaggio interpretato da Parisini. A questa visione interessante si contrappone la recitazione dei due attori; definire minimalista ed introversa quella di Botusso è usare un eufemismo. Come un un dentista con le pinze, lo spettatore deve cavar fuori a forza dal corpo di Botusso ogni espressione e movenza. Naturalmente propenso a non essere, Botusso non vuole infastidire la macchina da presa con inutili manifestazioni di presenza fisica. Parisini da par suo invece dovrebbe rappresentare un vitalismo instabile ma pur sempre...."vitale", ed invece pure lui è della scuola del "meno è meglio è". La sua recitazione è altrettanto accennata, vagamente espressa, tormentata certo, ma finisce lì, tutto questo tumulto onirico, giovanilistico ed utopico del "bright side" di Luigi non emerge. Parte della responsabilità va attribuita allo stesso Avati, il quale ha fatto dello stile intimo, raccolto e delicato la cifra del suo cinema.

Qui l'aggressività dell'allora mondo emergente degli yuppies è stemperata dalla consueta nostalgia e malinconia che accompagna le storie di Avati, c'è assai più attenzione ai sentimenti e all'umanità dei personaggi che alla loro carica felina e alla violenza del mondo lavorativo degli anni '80, quelli nei quali si doveva emergere, affermarsi, inventarsi, diventare qualcuno e farlo passeggiando sui cadaveri altrui. Quel tipo di personaggio è un po' Luca Barbareschi, anche se lo è al 30%. Tuttavia la naturale antipatia dell'attore calza a pennello per il ruolo di Enrico, che pare cucito su di lui, la quadratura del cerchio. C'è poi Nik Novecento, attore feticcio di Avati, a fare quasi da cornice comica del film, interviene sporadicamente e piazza qualche battuta di quelle a denti stretti (non a risate da sganascio). Si parlò di "montaggio essenziale", di "tecnica dell'ellissi narrativa", di "affettuosa partecipazione" alla mediocrità dei personaggi ritratti (per altro tutti indistintamente antipatici), il che è vero e giusto. Ma, detto tutto questo, a mio gusto Impiegati rimane una prova incompleta, un'opera parzialmente inespressa, che traccia un solco ma poi non lo percorre fino in fondo, indugiando in una specie di clima bonario e consolatorio (si veda il finale) che un po' delude. Avati getta lì delle sottotrame che non alimenta, come quella relativa alla famiglia di Dario, nella quale c'è un fratello down, o come le insoddisfazioni di Marcella, Annalisa e Pozzi, personaggi che sembrano strumentali, funzionali solo e soltanto a spiegare Luigi, ma che non godono di una propria dimensione.

Trailer ufficiale

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