Taylor Hackford racconta di aver desiderato di fare un film sulla danza dopo aver visto esibirsi Gregory Hines. Buffo, per essere un film con protagonista uno dei più grandi ballerini della storia, forse il più grande dell'ex Urss assieme a Nureev, ovvero Michail Baryšnikov. Eppure è andata così, Hackford parla con i boss della Orion e gli espone il progetto, quindi si affida a James Goldman il quale gli mette in mano un soggetto di un thriller politico nel quale la danza riveste un ruolo primario. La ciliegina sulla torta arriva quando Hackford schiera uno accanto all'altro Hines e Baryšnikov, praticamente il film è già fatto. In realtà no, manca forse l'ostacolo più grande da sormontare, girare in Russia nel 1985 una pellicola di produzione americana con protagonista un disertore del regime sovietico che racconta dell'opprimente regime comunista e della fuga da esso verso la libertà (a stelle e strisce). Hackford sa perfettamente che non potrà mai lavorare fisicamente oltre cortina, quindi manda membri della troupe finlandesi che hanno buoni contatti in Russia. Per qualche settimana gli fa filmare Leningrado, palazzi, architetture, strade, il teatro Kirov, la statua di Lenin, la gente per strada. Poi monta il tutto con la scene di interni girati tra Inghilterra e Portogallo ed infine aggiunge dettagli della Finlandia, piuttosto omogenea all'aspetto della vicina Russia. La magia del cinema fa il resto, lo spettatore ha perfettamente la sensazione di trovarsi a Leningrado nel 1985, in un clima asfittico, minaccioso ed angosciante, dove ogni parola, ogni gesto, ogni sussulto sono spiati, controllati, passati al setaccio e passibili di condanna.
Raymond (Gregory Hines) è un nero americano, ballerino di tip tap, fuggito da Harlem per non vivere l'incubo del Vietnam. Si è rifugiato proprio in Russia, dove inizialmente viene esibito come un trofeo e vezzeggiato con tutti gli onori, quando poi la macchina della propaganda si affievolisce, si ritrova ad esibirsi alla periferia dell'Impero, in Siberia, nullatenente e sempre sotto ricatto. A lui ed a sua moglie Darya (Isabella Rossellini) viene affidato Nikolai 'Kolya' Rodchenko (Michail Baryšnikov), ballerino fuggito tempo addietro all'estero e ritrovatosi in Siberia a causa dell'atterraggio di emergenza dell'aereo che lo stava portando da Parigi in Giappone durante una turné. Rodchenko viene trattato come un criminale, in quanto disertore ed il regime, sotto forma del colonnello Chaiko (Jerzy Skolimowski), gli propone di addolcire la sua condizione a patto che Rodchenko torni ad esibirsi per la Russia abbandonando la sua ribellione. Rodchenko ritrova Galina Ivanova (Helen Mirren) sua collega e fidanzata prima della fuga, con la quale il rapporto è di amore e odio. La vita nell'Urss non è facile per nessuno, tutti devono decidere cosa fare del proprio destino, tanto più che Darya adesso è incinta.
Per quanto Baryšnikov non sia stata la scaturigine della sceneggiatura, è indubbio che la storia del suo Kolya ricalchi vistosamente quella di Baryšnikov stesso. Anche lui chiese asilo durante una turné teatrale in Canada nel 1974, per poi diventare cittadino statunitense nel 1976 e non fare più ritorno in Russia, dove venne ritenuto un traditore della patria (esattamente come Nureev). Baryšnikov fu proprio un etoile del teatro Kirov che viene mostrato nel film e, in una scena molto intensa nella quale l'attore piange congedandosi dal teatro, viene facile pensare che Baryšnikov stesse interpretando se stesso più che Rodchenko. Gregory Hines gli tiene testa come può, esibendosi in numeri di tip tap individuali (ma la scena forse più emozionante del film è proprio il ballo assieme dei due protagonisti) e rimanendo impresso per un terribile monologo sul suo passato americano, nel quale balla, piange e si arrabbia al contempo, trasmettendo una grandissima umanità. Il film comunque è pieno di sequenze "da Oscar", mi viene in mente ad esempio l'esibizione provocatoria di Baryšnikov davanti alla Mirren, che si scioglie in lacrime poiché Kolya balla una canzone proibita in Urss, dimostrando a Galina che lui è libero di farlo (fuori dall'Urss) mentre lei è agitata dai fili del regime come una marionetta. Il finale è forse sin troppo conciliante ma si capisce che Hackford vuole che tutto finisca bene e lo spettatore si senta fuori dall'incubo, tuttavia il clima di oppressione e terrore sovietico è reso egregiamente. Hackford spedì Hines e la Rossellini (qui al suo debutto cinematografico dopo le passerelle della Moda) a Leningrado prima delle riprese, proprio per fargli respirare l'aria del posto, ed i due tornarono piuttosto provati per la povertà e la diffidenza delle persone nei loro confronti (Hines in particolare aveva un aspetto dichiaratamente americano).
Di Oscar veri al film non ne arrivarono, tranne quello a Lionel Richie per la miglior canzone "Say You, Say Me". Anche il successo di "Separate Lives" di Phil Collins e Marilyn Martin fu un discreto traino per il film. La lunga sequenza iniziale è il balletto di "Le Jeune Homme et La Mort" di Roland Petit, molto amato da Baryšnikov, uno dei motivi che lo spinse ad abbandonare la Russia poiché gli fu proibito di danzare il corrotto occidentale Petit. Baryšnikov si prende la sua rivincita danzandolo nel film che addirittura si apre su quella coreografia. La scena dell'atterraggio del Boeing è molto d'effetto, degna di un film catastrofico degli anni '70 a tema aeroportuale. La critica dell'epoca accolse la pellicola in modo controverso, eppure pur essendo un film "a tema", chiaramente schierato politicamente e di fondo molto buonista, rimane una storia vivida ed emozionante, a tratti commovente, che non può non coinvolgere lo spettatore, grazie anche alla estrema qualità della prova attoriale dei suoi protagonisti, in primis i due ballerini, oltre al cast di contorno (compreso lo spietato ma bravissimo Skolimowski). La Mirren, che nel film parla anche il russo, ha origini russe da parte di padre e proprio nella pellicola precedente - 2010: L'Anno Del Contatto - aveva interpretato una astronauta sovietica (dovendo anche lì recitare in lingua russa). Il titolo del film in originale è White Nights e si riferisce alle notti bianche (assolate) siberiane che generano nei personaggi ancora più stress e frustrazione; una volta tanto apprezzabile la resa per il mercato italiano, con Il Sole A Mezzanotte che assume la doppia valenza, metereologica ma anche simbolica.