
Roger Vadim nel 1964 dirige Il Piacere E l'Amore, ispirandosi a Il Girotondo di Arthur Schnitzler (scrittore sì viennese, ma da non confondere con la Wiener Schnitzel, che è la cotoletta alla viennese...non fareste una bella figura in libreria). Schnitzler era uno serio, Vadim no, era un paraculo, piacione, gigione, che se fosse nato negli States invece che a Parigi avrebbe fondato Playboy al posto di Hugh Hefner (che con quella faccia lì sarebbe finito tutt'al più a fare l'antennista tv); quindi il nostro regista franzoso prende l'opera teatrale dello scrittore e la trasforma in un cazzeggio, una giostrina di amorazzi molto "free 'n' easy", liberi e gratis, secondo la sensibilità libertina degli anni '60. In effetti siamo nel 1914 ma, al di là dei costumi di scena e delle scenografie, potremmo tranquillamente essere nel dopoguerra parigino. Fondamentalmente la trama è una catena di S. Antonio, tutto ha inizio con una prostituta che adesca un soldato, quindi il soldato seduce una cameriera, e la cameriera finisce a letto (anzi sul divano) col signorino dei suoi padroni, e il signorino passa a un'altra, e l'altra a un altro, fino a che il cerchio si chiude e troviamo Jean Sorel che amoreggia con la prostituta da cui la filastrocca dei sensi ha avuto inizio. L'amore (ma soprattutto il piacere, sua declinazione più "moderna" e smaliziata) è una sorta di testimone che i personaggi si passano l'un l'altro, in un gioco vitalistico e spensierato, fatto di figurine allegre, colorate e sempre sorridenti. A Vadim non frega una cippa della profondità d'analisi (e chiaramente il Morandini non afferra), gli interessa unicamente giocare, saltellare di fiore in fiore come le api, ritrarre belle donnine (Jane Fonda, Catherine Spaak, Anna Karina) e ometti sempre in fissa (o viceversa).
Nonostante Schnitzler ricorra a diverse professioni e quindi classi sociali (la prostituta, la cameriera, il conte, il soldato, l'attrice, il poeta, il marito, eccetera), c'è una certa omogeneità nel percepire il naturale richiamo dell'amore, un idem sentire che livella tutti. Paradossalmente Vadim rovescia le intenzioni di Schnitlzer che intendeva - secondo la critica - sottolineare l'impossibilità umana di amare, veramente, puramente, senza l'implicazione degli istinti a cominciare da quello sessuale. Una visione ascetica dell'amore, forzata, e quindi "innaturale" che giustamente, a parer mio, l'epicureo Vadim stigmatizza e corrompe, mettendo in essere un credo diametralmente opposto e rovesciato: chiunque è esposto al contagio dell'amore e ne viene sedotto, perché è parte costitutiva del nostro essere, non per niente si parla di istinto di riproduzione, un istinto, dunque qualcosa che pre-esiste alla ragione (e alla speculazione intellettuale). Una Jane Fonda che occhieggia, allude, cinguetta, fa la cerbiatta e la gattina, è irresistibile, e svela l'ambigua delicatezza della giovane e "inesperta" mogliettina. Così come la cameriera, in perenne ricerca di un uomo che la ami romanticamente, non si tira mai indietro quando il suo corpo viene desiderato. E la prostituta (una di quelle che Jane Fonda - ma è Vadim che parla - definisce "sempre contente e sorridenti") concede prestazioni gratuite agli uomini che le piacciono. Certo, il tono del racconto di Vadim è vacuo, lieve, frivolo, ma di quella frivolezza che rende la vita facile e quindi gradevole di essere vissuta, quasi come fosse quella la pietra filosofale che per secoli e secoli alchimisti verbosi e ampollosi si sono affannati a cercare senza mai trovare.