Il Decameron

Il Decameron
Il Decameron

L'incontro/scontro tra Giovanni Boccaccio e Pier Paolo Pasolini viene accolto con grande fervore (e favore) in Europa, in Germania si assicura addirittura un Orso d'Argento al Festival del cinema di Berlino, tuttavia secondo la massima che nemo propheta in patria, il Decameron pasoliniano venne apertamente osteggiato in Italia, il film fu sequestrato e mandato a processo (anche se alla fine Pasolini e i correi vennero assolti da ogni imputazione. C'era troppo nudo, sia femminile che maschile, persino un membro in erezione, poi le tematiche boccaccesche (vecchie di oltre 600 anni per la verità, ma sempre urticanti) erano poco ossequiose verso il clero ed i suoi esponenti, che in Italia avevano (ed hanno) pur sempre il loro peso. Infine Pasolini era Pasolini e tanto bastava per contrastarlo a prescindere. Eppure a scorrere i nomi coinvolti nel progetto c'è da rabbrividire, in senso buono: Franco Rossellini (nipote di Roberto) come produttore, Tonino Delli Colli come direttore della fotografia, Dante Ferretti come scenografo, Ennio Morricone per le musiche (alle quali collaborò anche lo stesso Pasolini), Silvano Mangano nientemeno che nel ruolo della Madonna. Accanto a questo parterre de roi Pasolini coinvolge la solita pletora di uomini e donne della strada, non attori il cui volto e le cui fattezze riproducano il più possibile un ceto popolare, straccione, sotto proletario che mai come stavolta riproduce quanto più fedelmente possibile il popolino delle novelle boccaccesche. Anche se Pasolini sposta l'azione dalla Toscana a Napoli e a tal proposito dichiara di averla scelta "contro tutta la stronza Italia neocapitalistica e televisiva". Il dialetto preponderante sul set è il napoletano e questa costante oratoria partenopea diventa il collante sotterraneo alla frammentarietà delle novelle che si susseguono senza soluzione di continuità. Nove in totale, tutte rigorosamente estratte dal Decameron, con due intermezzi che si occupano di un pittore allievo di Giotto (Pasolini stesso) incaricato di decorare la chiesa di Santa Chiara; mentre la sua opera di affrescatura procede e fino al compimento, assistiamo all'alternarsi dei racconti boccacceschi. Proprio al pittore è assegnato poi l'onere di chiudere il film, mentre estatico contempla l'opera finita e sussurra che è molto più bello immaginare l'opera che produrla. La notte prima, nel sonno, ha una visione della Madonna (Silvana Mangano) in parata con in braccio il bambino Gesù e tutti gli angeli, una scena onirica di grandissima potenza e che si sublima nello sguardo "ultraterreno" della Mangano, la cui identificazione con la Madonna crea delle vere e proprie vertigini allo spettatore. Nel riprodurre la cornice ambientale delle gesta del pittore traspare l'ispirazione estetica derivante ad esempio da La Fucina di Vulcano (1630) di Velàzquez, con Pasolini che riproduce filologicamente l'immagine del fabbro a misura del suo pittore (il poeta si riteneva "tale e quale" al fabbro dipinto, e ne assume anche le vesti).

Del Decameron pasoliniano colpisce il senso di verità, di assoluta ed indiscutibile identificazione con le pagine boccaccesche, con l'Italia del '300, con l'umanità dell'epoca (non i papi, gli imperatori, i principi e i grandi uomini, ma i contadini, i pretini, i tombaroli, le suore dei conventi sperduti, i "qualunque" che non hanno spazio sui libri di storia) che - intende forse dimostrare il regista - oggi come allora è sempre la stessa, ingenua, meschina, semplice, preda di bisogni ed istinti primari (come il cibo, la sessualità, la paura, la speranza, il desiderio), ed anche di avvoltoi senza scrupoli, ma al contempo capace di custodire in sé figure inaspettate e capaci di gesti di una purezza profondissima e di un'altezza "celestiale". E' il caso di del perverso Ciappelletto (Franco Citti) che in punto di morte "salva" i colleghi usurai, incurante di mentire (per diletto e nobiltà) di fronte a Dio sul letto di morte, o di Lisabetta da Messina, i cui fratelli le uccidono con l'inganno il garzone amato e del quale lei, con sentimento puro, recupera la testa per nasconderla in un vaso che terra con sé, nella propria camera da letto. Anche laddove c'è l'inganno ed il sotterfugio, come nel caso della novella di Caterina di Valbona e di Riccardo, che si amano all'insaputa dei genitori di lei, ed architettano uno stratagemma per mettere davanti a fatto compiuto i genitori, la coscienza risuona senza macchie, l'amore dei due giovani è al contempo erotico ed innocente, carnale ed "onesto", in ogni caso gioioso e vitale. L'inganno verso i genitori non è sotteso a godere dei piaceri della carne, edonisticamente, ma a sublimare una unione, che naturalmente si abbevera anche del sesso, come è naturale che sia.

In origine Pasolini aveva in mente un'opera mastodontica, formata da tre tempi, ciascuno di un'ora, divisi per unità tematiche, quindici novelle in tutto per cercare di abbracciare il più largamente possibile l'universo architettonico concepito da Boccaccio e dare una visione universalistica del suo mondo. In questa fase Pasolini non aveva ancora ricondotto tutta la sceneggiatura alla sola Napoli, scelta che avvenne sia per motivi ideologici ma anche per la necessità di dare omogeneità e unità al materiale. Inizialmente il pittore allievo di Giotto doveva essere Giotto stesso, ma a seguito del rifiuto degli interpreti a cui Pasolini aveva pensato, si calò egli stesso nei panni del pittore, "riducendolo" ad allievo. Nella stagione cinematografica '71-'72 Il Decameron fu addirittura il secondo incasso dell'anno (dopo ... Continuavano A Chiamarlo Trinità), costituendo il primo successo al botteghino del regista. Moravia nel '71 scrisse un commento al film, sostanzialmente giudicandolo molto positivamente e rilevando in particolare come Pasolini, da manierista ("il maggior manierista della nostra letteratura dopo D'Annunzio"), avesse fatto un'operazione molto sagace, tagliando via la cornice umanistica del libro di Boccaccio, riservandosi vicoli e strade, ovvero puntando tutto sul popolo, sugli umili, sui vicoli sordidi, e contestualmente spostando coerentemente l'azione dalla pettinata Toscana pre-rinascimentale alla verace e zozza Campania, fatta di verace rusticità. Oltre a ciò, la sua rappresentazione dell'erotismo è funzionale al racconto, non morbosa o erotica, ma persino goffa e scomoda, lecita perché necessaria. Moravia parla di "oggettivizzazione fenomenologica moderna" che segnerà una data importante nell'idea di rappresentazione del sesso al cinema. Secondo lo scrittore ll Decameron pasoliniano "è la prima volta che l’atto della copula viene presentato al cinema come puro e semplice gesto dei corpi, privo di significato e di valore, anzi visto come qualche cosa di difficile [...] che richiede la cooperazione di ambedue gli amanti". Scendendo su lidi più prosaici, Il Decameron ebbe anche il merito (?) di avviare la breve ma intensa stagione dei cosiddetti decamerotici in Italia, l'idea che passò a livello di cinema popolare era che si poteva denudare le attrici "aggirando" la censura; dato che se era stato lecito per Giovanni Boccaccio e Pasolini poteva esserlo anche per Boccaccio in coppia con la Bouchet, la Fenech, Orchidea De Santis, Rosalba Neri, eccetera. Grossomodo una cinquantina di titoli prodotti tra il '72 ed il '76, di cui 25 solo nel 1972, l'anno d'oro del filone. Forse Moravia non avrà gradito questa deriva  gratuita e scollacciata, ma Boccaccio probabilmente si.

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