Che Mickey Rourke fosse un vero pugile professionista prima di darsi alla recitazione oramai lo sanno anche i muri, fu uno punto di forza del battage pubblicitario di The Wrestler nel 2008. Quel film ha avuto più fortuna e riconoscimenti di Homeboy, ma questa pellicola di 20 anni prima non merita comunque di essere dimenticata. Dirige Seresin, un nome che potrebbe non dirvi nulla ma che ha invece firmato gli intensi Fuga Di Mezzanotte, Birdy - Le Ali Della Libertà, Angel Heart, il delizioso A Donne Con Gli Amici e nientemeno che Fame aka Saranno Famosi.. Poi la carriera si è un po' spenta, arrivando nel 2004 a dirigere addirittura uno di quei film teen danzerecci tutti uguali (Step Up) ed un Harry Potter (Il Prigioniero Di Azkaban).
Homeboy vede in Mickey Rourke un protagonista indiscusso, ma in qualche modo il film ha una sua coralità, puntellata dalle facce di Debra Feuer, dolce e ruvida allo stesso tempo, e Christopher Walken, sopra le righe come spesso gli accade (qui sostanzialmente interpreta il solito personaggio pazzoide "alla Christopher Walken"); questo trio manda avanti la sceneggiatura, è attorno a loro che tutto si compie - o meglio - è su di loro che il destino tesse le proprie trame, volenti o nolenti. Homeboy è una storia di sconfitte, categoriche, ineluttabili, inesorabili, tragiche e predestinate. Le biografie dei personaggi sono segnate di nero, di eventi luttuosi, di dolore e privazione, fisica quanto emotiva e sentimentale. Il guerriero stanco Johnny Walker (il nome di un alcolico, quasi un nomen omen data la condizione neurologica del personaggio che gli fa vedere la realtà come accade a chi è sotto effetto di qualche bicchierino di troppo) è una figura dolente, ripiegata dagli acciacchi e dal tempo, accartocciata su se stessa tanto nella forma quanto nell'essenza. Si muove nel mondo caracollando, silente, osservando tutto, con un'espressione apparentemente spenta ed ottusa stampata sui muscoli facciali eppure, come gli accade negli incontri di boxe da bettola ai quali partecipa, non ne vuole sapere di andare giù, di abbandonare, di gettare la spugna, rimane sempre in piedi, nonostante tutto, per inerzia o forza di volontà che sia ed in fondo... cosa cambia?
E' fatta di dolore puro la ragnatela che pervade il film, tutti lo provano, tutti ce l'hanno addosso, tutti si stanno andando a schiantare contro un muro, con le relative conseguenze. Una vaga, eterea speranza di speranza è la ruvida Ruby (Debra Feuer), giostraia diffidente, schietta e pragmatica. In qualche modo Johnny trova in lei un'ancora di salvezza, l'ossigeno che la palude di vapori mefitici gli ha impedito di respirare sin lì. Il sentimento poco a poco viene ricambiato. In agguato però c'è il diavolo tentatore, la vanagloria sciocca e al contempo contagiosa di Wesley Pendergrass (Christopher Walken), damerino criminale di mezza tacca. Anche lui inizialmente rappresenta una via d'uscita agli occhi (pesti) di Johnny. Il pugile però ha un solo vantaggio rispetto agli altri, l'istinto, quello che lo guida e che gli permette di accorgersi della scintilla di vita che Ruby possiede, ma non Wesley. E sarà l'istinto che lo guiderà verso la luce. Tuttavia Homeboy non finisce "bene", perlomeno non completamente bene; rimane pur sempre un film di sopravvivenza, mera sopravvivenza, e l'happy ending da quello è costituito, essere almeno vivi, anche se nelle peggiori condizioni possibili. Vivi fuori ma anche vivi dentro.
Senza la portentosa colonna sonora di Eric Clapton la pellicola varrebbe la metà di quel che vale; parrà un'affermazione esagerata ma in effetti è proprio così, senza nulla togliere all'interpretazione soffertissima di Rourke, alla fotografia simpatetica dello stato d'animo dei personaggi e al cinismo della sceneggiatura (scritta da Rourke stesso), cinica si, ma a suo modo non scevra di delicatezze inaspettate; penso alla scena in cui la Feuer prende nella sua mano quella di Rourke, o meglio un pugno che lentamente si lascia domare e si apre, arrendevole, libero. Quella è la scena di "sesso" del film, quella che lascia capire che tra i due accade qualcosa, senza alcun bisogno di far vedere altro, una sensibilità che forse da Mickey Rourke non ti saresti aspettato, e invece.