
Dolceroma è un film del quale avevo visto un trailer che mi aveva molto colpito. Non sapevo nulla del film, del regista, né di tutto quanto potesse ruotargli intorno. Ovviamente avevo riconosciuto nel cast alcuni volti noti (Gerini, Barbareschi, Montanari, Forte) ma sostanzialmente tutto si limitava alla genuina attrattiva che i pochi fotogrammi del trailer esercitavano su di me. Ho quindi colmato questa lacuna, vedendolo da perfetto spettatore naive. Non posso dire si sia rivelato una sorpresa poiché, date le premesse, è evidente che io fossi ben disposto, ma ciò non ha inficiato (almeno credo) la mia capacità critica. Tuttavia posso confermare che Dolceroma mi abbia perlomeno stupito in quanto cinema italiano. Sono solito lamentarmi della pochezza, della inconsistenza e della omologazione del nostro cinema di questi tempi (i cinepanettoni, le commedie sentimentali per quarantenni in psicanalisi, le musiche dei Biagi Antonacci di turno insufflate nei momenti di pathos romantico, l'uso dei dialetti come minimo comico sindacale, sempre gli stessi attori a fare sempre le stesse parti, etc.); ecco, Dolceroma è completamente diverso. Potrebbe essere un parente alla lontana del cinema dei Manetti Bros, ma gli si farebbe un torto ad equipararlo sic et simpliciter con i "cinematografari" romani, vive di vita propria e con i Manetti condivide sostanzialmente il gusto di non adagiarsi pigramente sui cliché del 99% dei film che vediamo in sala.
La genesi è letteraria, si tratta del romanzo "Dormiremo Da Vecchi" di Pino Corrias (giornalista, scrittore, sceneggiatore e produttore televisivo). Luca Barbareschi si è fatto carico della Produzione, riservandosi un bel ruolo nel cast. Non si tratta di un diritto nobiliare che il produttore in quanto tale si arroga, ma di una vera e propria intuizione artistica, poiché Barbareschi è parte integrante dei meriti da ascrivere al film. La storia è quella di un produttore guascone, avventuroso e un po' fetente (Barbareschi appunto) che tra i suoi vari maneggi stipendia uno scrittore perché dal suo libro venga tratto un film che porti incassi trionfali. Lo scrittore (Lorenzo Richelmy) che è uno sfigato, un perdente, dapprima intimidito da questo treno che furiosamente sfreccia nel bel mezzo della sua piatta e grigia esistenza, decide di correre il rischio e si getta nel progetto, accettando di addentrarsi in un mondo completamente diverso dal proprio, popolato da faccendieri, malviventi, figure ambigue e problematiche, senza conoscere le regole d'ingaggio. - SPOILER: passo passo lo scrittore si rivelerà meno sprovveduto di quanto apparisse inizialmente ed infatti scopriremo che i ruoli di marionette e burattino sono completamente invertiti rispetto all'incipit della storia.
Dolceroma va dritto al centro del bersaglio innanzitutto per il linguaggio. La scelta della forma con cui narrare la storia è vincente, coraggiosa, del tutto inaspettata per essere un film italiano. Lo spettatore è sbatacchiato a destra e a manca, stordito da effetti speciali che più che "speciali" in senso stretto sono psichedelici, onirici. Si gioca con i generi, costeggiandone più di uno e senza arroccarsi su etichette esclusive, tant'è che riesce difficile ridurre ad un solo "tipo" il film. Si promette una cosa e se ne sviluppa tutt'altra. Un po' come giocare al gatto col topo. Dolceroma investe notevolmente sulla computer grafica ed i risultati non sono sempre all'altezza, cionondimeno osa, azzarda, provoca lo spettatore. Si sarebbe potuto fare meno e magari meglio (penso al finale tra le fiamme) e certamente non stiamo parlando di un film esente da difetti, ma rimane il fatto che complessivamente Dolceroma rappresenti una boccata d'aria fresca in uno stantio panorama nazionale fatto di film tutti uguali, che vanno a parare sempre sulla stessa mattonella, senza mai lanciare una minima sfida a chi si pone davanti allo schermo. Il cast è un argomento molto convincente, attori noti e meno noti sono tutti al posto giusto. Fenomenale Barbareschi, che ha ragione a dire di essere stato sottovalutato in patria; al netto dell'antipatia e della mancanza di umiltà congenite, Barbareschi è un grande attore, punto e stop. Divertente la caratterizzazione del commissario di Francesco Montanari. Peccato per la piccola parte di Iaia Forte, sarebbe stato stimolante vederla più coinvolta. Claudia Gerini è perfetta per il suo ruolo, dà il massimo in queste caratterizzazioni nelle quali non è costretta ad essere la protagonista al centro dell'attenzione, e dunque piazza della zampate aggressive che danno tantissimo pepe ai suoi personaggi e all'economia del film. La scena in cui fa il bagno nel miele, e successivamente fuoriesce dalla vasca principesca come una Venere della seduzione, è onestamente qualcosa di maestoso, pochi minuti che da soli valgono l'intero film (che, come detto, merita comunque, sia chiaro). Nel finale quella scena si ripeterà beffardamente, ma in tutt'altro contesto.
Richelmy forse calca un po' troppo la mano in certe sue espressioni stralunate, o perlomeno dall'inizio alla fine del film non pare diversificare granché la tavolozza pittorica, ma tutto sommato si lascia apprezzare. Più anonima la Bellè; ho certamente apprezzato che non ci fosse la solita (bella) faccina nota di turno, sebbene per come è scritto in sceneggiatura, il personaggio della Bellè avrebbe avuto bisogno di maggior spinta. Niente male i dialoghi. Interessante il gioco di allusioni, metafore e simbolismi che viene dispiegato nei 105 minuti di durata (a proposito, una durata "normale"... senza strafare); su tutti il miele, la dolcezza incarnata, che come la stessa Gerini ammonisce, una volta che ti invischia non ti libera più. Il miele è il piatto forte delle feste a casa di Barbareschi, preparato con grande cura dalla sua ricca consorte, Claudia Gerini, sempre un passo indietro ma mai "defilata". Il miele riveste un'importanza capitale per Rachelmy, e sempre il miele è una chiave di volta importante in relazione al dipanarsi degli eventi. Bella la regia, la fotografia, mai banali, magari a volte un po' troppo pretenziose o roboanti, ma certamente non ordinarie e prevedibili. A volte si sente odore di Tarantino, ma non c'è quasi mai (le katane... ) un vero e proprio ripiegamento pedante sulla cifra filmica del regista americano. Dolceroma è un'altra via al cinema italiano, che sarebbe bello veder sempre più percorsa e frequentata in futuro. Non mi illudo che accadrà ma intanto godiamoci questo primo passo, sebbene abbia letto critiche non proprio entusiastiche (si vede che io sono di bocca buona e mi basta non dover ingerire il solito Brizzi e/o Muccino della situazione, tanto per citare due "big" nostrani). Rimane da dire che l'ambientazione "romana" non si sente per niente, tolto il titolo, se il film fosse stato incentrato su Milano, Torino o Parigi, non sarebbe cambiato granché.