"Crudeltà, esagerazione, fango, schifezze, morti a raffica", così Sergio Corbucci definiva il suo Django (1966). Dino De Laurentiis voleva che Corbucci dirigesse un western con gli indiani (e per protagonista si vociferava il nome di Marlon Brando). Quel film arrivò, era Navajo Noe (ed il protagonista fu Burt Reynolds), al contempo però Corbucci se ne andò in Spagna per dirigere Django, una storia nata da una scena che Corbucci aveva ossessivamente in testa, quelleainiziale: l'uomo che si trascina dietro la bara, solitario, in un paesaggio spettrale e umidiccio. Nei film di Corbucci andava a finire spesso male, gente che rimaneva sorda o cieca, e per Django si pensò alla martoriazione delle mani. A questo punto c'era l'inizio ed il finale, mancava tutto il resto. Il nome del personaggio arrivò dai dischi di Django Reinhardt, chitarrista jazz belga monco di due dita. La genesi di uno dei capolavoro del filone spaghetti western è più o meno questa.
Se si pensa che Django è uscito nel '66, la trasgressione di un film del genere fa abbastanza impressione; orecchi mozzati e dati in pasto alle vittime, sangue ovunque, cadaveri a iosa, mani trucidate a colpi di calcio di fucile e zoccoli di cavallo, Corbucci non le mandava certo a dire. Quando sul set venne a curiosare Burt Reynolds, opzionato per Navajo Joe, rimase abbastanza impressionato dalla scena dell'orecchio, e Corbucci gli spiegò che gli Spaghetti Western erano proprio lì dentro: esagerazione, paradosso, estremizzazione, in qualche misura exploitation. Sergio Leone rappresentava il versante solare, eroico, pulito del genere, Corbucci si fece carico di quello più fangoso, oscuro, negativo, pulp. Non caso uno che di "pulp" se ne intende, si innamorò dei suoi film. Tarantino equipara Corbucci a Leone, ritenendoli i maestri assoluti del western all'italiana. Django Unchained a livello di trama non ha nulla a che vedere con l'originale, ma lo spirito rimane, Jamie Foxx è un (anti)eroe "alla Franco Nero", le musiche di Bacalov tengono saldo il legame empatico, e certo, quanto a surrealismo grottesco, la filiazione è evidente.
La scena d'inizio, come detto, è potente, fortissima, necrofila (come necrofilo è l'incipit di Oro Hondo aka Se Sei Vivo Spara di Giulio Questi, altra mazzata uscita un anno dopo), foriera di sangue, violenza e morbosità. Django si pone da subito come un personaggio provocatorio e ribelle, con la sua uniforme yankee in mezzo ai reduci confederati. Usa la pistola, ma il suo pezzo forte (d'artiglieria) è una mitraglietta che abbatterebbe i carri armati. Non teme niente e nessuno, quando parla sono rasoiate, e naturalmente condisce il tutto con quintali di ironia bruciante. Il suo passato è talmente vago e impalpabile che è come se non esistesse. Ha combattuto per il Nord ("per"...come a dire che non sia stata necessariamente una causa in cui ha creduto) e sua moglie è stata assassinata. Stop. Tutto vestito di scuro, compare dal nulla, ha sete di giustizia e di oro, e attacca briga con chiunque. La trama non è neppure così lineare come si potrebbe pensare; Django si ritrova in mezzo a tre fuochi, il sadico maggiore Jackson (c'è il suo zampino nella morte della donna di Django) e la sua ganga di farabutti incappucciati fanatici e razzisti, i messicani paramilitari guasconi del generale Hugo Rodriguez, e l'esercito regolare messicano. Django odia i sudisti, sta coi messicani di Rodriguez ma appena può li frega, e giocoforza deve scontrarsi con l'esercito regolare. Con lui Loredana Nusciak (Maria), ex battona da saloon contesa tra le fazioni, e che Django protegge (a modo suo).
Tutti si ricordano l'immensa colonna sonora, compresa la bellissima omonima canzone cantata da Rocky Roberts, tuttavia Bacalov e Corbucci non lavoreranno mai più insieme, perché, a quanto racconta Bacalov, Corbucci andava dicendo in giro che il compositore argentino aveva un pessimo carattere. Django comunque fu il primo western a cui Bacalov lavorò in vita sua. Il film ebbe un successo enorme, consacrò Corbucci e Franco Nero, e generò 2000 altri film col nome Django nel titolo, tutti apocrifi, tranne il vero e unico sequel, Django 2 - Il Grande Ritorno, girato nell'87 da Nello Rossati ed ambientato in Colombia. Addirittura per un po' in Spagna qualsiasi film con Franco Nero, a prescindere, si chiamava Django qualcosa. La saga continua ancora oggi, si veda la ripresa tarantiniana, o quella giapponese di Takaschi Miike (Sukiyaki Western Django, 2007). Wikipedia riporta un lungo elenco di citazioni riferibili a Django comparse in altri film (persino Franco e Ciccio), anime nipponici, videogiochi e fumetti. Aiuto regista di Corbucci, Ruggero Deodato, uno che nella violenza gratuità poi ci sguazzò un bel po'. Una copia di Django è conservata al museo d'arte moderna di New York.