De Sade

De Sade
De Sade

Tra i tanti De Sade portati al cinema c'è quello con Keir Dullea, fresco fresco di 2001:Odissea Nello Spazio. Appena un anno e nel 1969 (numerazione perfetta per una figura come quella del Divin Marchese) Dullea sveste la tuta spaziale e indossa i damascati abiti settecenteschi dell'aristocrazia francese. La sceneggiatura deriva da un testo attribuito a Louis M. Heyward, produttore e sceneggiatore attivo in quegli anni, collaboratore e poi dirigente della American International Pictures che produsse De Sade (fu vice presidente anche della Hanna e Barbera, quella dei cartoni animati, con cui produsse tra gli altri il film dei Kiss, Kiss Meets The Phantom Of The Park nel '78). La storia del Marchese è narrata a ritroso, con il vecchio e canuto libertino che rivive stagioni della vita passata ed ognuna di queste è a sua volta inframezzata da flashback, salti temporali e un continuo andirivieni tra realtà e finzione, poiché De Sade assiste da prima ad una recita teatrale organizzata dallo zio abate (John Huston) che lo riguarda direttamente, per poi divenirne protagonista in prima persona, e ad ogni snodo narrativo De Sade entra ed esce dalla rappresentazione, confondendo non poco i piani narrativi e con essi pure lo spettatore.

Dietro la macchina da presa si sono alternati in tre, anche Roger Corman e Gordon Hessler oltre a Cy Endfield. Corman in particolare era stato il primo regista designato ma si rassegnò ben presto all'idea che non avrebbe potuto fare il film che avrebbe voluto spingendo sulle scene trasgressive. Ironia della sorte, una volta finito il girato da Endfield, fu insertato proprio con scene suppletive girate da Corman, sono riconoscibilissime perché sono tutte quelle orgiastiche ed hanno una predominanza cromatica rossastra, e talvolta anche lenti deformanti. Tutte accompagnate da musica anni '60 molto stridente col clima compassato e retrò della pellicola. Vere e proprie esplosioni di politicamente scorretto che non ci vanno giù neanche tanto piano perché di natiche e seni se ne vedono in quantità, ed anche se non viene mimato nessun atto sessuale esplicito Keir Dullea non smette di frustare a più non posso tutte le sue malcapitate, oltre ad innaffiarle di vino ovunque. Il punto però è che De Sade viene descritto come una specie di vitellone, un debosciato al quale piacciono le donne e la loro deflorazione alla maniera un po' rozza, ma nulla che sia in grado di trasmettere il vero universo (tutto cerebrale) di perversione e perdizione che le pagine del Marchese hanno saputo evocare nella mente dei lettori. Era il 1969, al cinema si poteva mostrare quello che si poteva mostrare, e questa pellicola fa già tanto, ma è la semantica che non osa, non tanto le immagini. Se Keir Dullea anziché De Sade avesse interpretato un Messier Pontignac o uno Chateaubriand qualsiasi non avrebbe fatto alcuna differenza.

Il montaggio e l'intreccio dei piani temporali poi, con tanto di metafore ed allegorie tra la vita come palcoscenico ed il palcoscenico come vita, in un ininterrotto gioco di rimandi e ping pong, crea un bel pasticcio. De Sade come film non ha ritmo, non ha verve, è troppo compunto, manierato e contegnoso. Non graffia sul versante erotico, né su quello della psicopatologia o della volontà portata ai limiti, è una specie di romanzo compostino che non rende giustizia al Marchese. Non ho mai compreso la statura attoriale di Dullea, che come marchese appare abbastanza poco centrato. Sarà che veniva dal set del film che lo avrebbe eternato nella storia, probabilmente il film più importante della storia del cinema tutto, e con un tale fardello sulle spalle risultare credibile in qualsiasi altra pellicola era impresa ardua (un po' come capitato al Malcolm Mcdowell di Arancia Meccanica). Del resto è cosa nota che Kubrick abbia tirato fuori il meglio anche da attori non proprio dotatissimi come Ryan O'Neal o Tom Cruise, tuttavia qui Dullea è decisamente poco convincente, poco incisivo. Al dunque questa biografia di De Sade si rivela troppo statica e scolastica, tutte le colpe delle sue dissolutezze sono attribuite allo zio, il che ridimensiona molto il portato della filosofia anarcoide, individualista e libertaria del Marchese, introducendo un rapporto sin troppo meccanico di causa e effetto. Huston si dispiacque di non essere stato chiamato a dirigerlo ma solo ad interpretarlo. Corman invece si lamentò di non essere stato pagato abbastanza e questo film contribuì al suo abbandono della A.I.P. Carini i titoli di testa, piuttosto allusivi, tra seni strizzati, corpi che amoreggiano e cavalli stilizzati che si trasformano in uomini domati e soggiogati.

Trailer ufficiale

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