Benedetta Follia

Benedetta Follia
Benedetta Follia

Chi segue il blog (qualcuno dovrà pur esserci....) sa che non sono solito esser tenero con l'ultimo Verdone. Ci sarebbe anche da intendersi preventivamente sull'accezione di "ultimo Verdone", perché un po' alla buona io avrei inteso gli ultimi 20 anni almeno (che già non sono pochi) ma, a dirla tutta, il Verdone che preferisco ha chiuso i battenti già negli anni '80. Sono considerazioni personali, ovviamente; nessuno pensi di trovare qui la catechesi definitiva sul cinema di Verdone, è solo ciò che ne penso io. Non sono ad esempio un estimatore di Compagni Di Scuola, ritenuto da molti il suo vertice, se non comunque uno dei suoi migliori film nonché il punto di svolta, di raccordo tra il Verdone ridanciano e quello più "maturo", riflessivo, malinconico e autoriale. E a me piace poco proprio per quegli stessi motivi, perché dal 1988 in poi Verdone ha smesso di pungere e si è convinto che diventare grandi comportasse sfumare, ammorbidire, annegare nel "buon sensismo", nei buoni sentimenti, nel paternalismo. Un po' come accade con Dario Argento - per tutt'altri motivi - si fa davvero fatica a riconoscere alcuni suoi film come appartenenti allo stesso regista; la cattiveria, l'acume, lo spirito di osservazione, il ritmo, il cinismo di Un Sacco Bello o di Bianco, Rosso E Verdone non hanno alcuna cittadinanza nelle pellicole degli anni 2000, infarcite di malinconia e rassegnazione ad un mondo che cambia ed al quale Verdone sembra sentire di non appartenere più.

L'aspetto più grave è che si è smesso di ridere. Sono parecchi anni che non faccio grasse risate con i film di Verdone, ma solo "risate a denti stretti", quando va bene. Ho difficoltà a digerire la gran melassa, il grondare di buoni sentimenti, di volemose bbene e del "tutto è bene quel che finisce bene" che oramai affligge il cinema "maturo" di Verdone. A un certo punto il buon Carlo ha deciso che l'essere sguaiati era roba da esordienti infoiati (che poi "sguaiato" non lo è mai stato); quindi ha infilato la giacca ed ha cominciato a produrre film dove un ometto stempiato pieno di difetti, fragilità e debolezze lotta per sopravvivere nel mondo odierno, sempre più indiavolato, cafone ed aggressivo. Una poetica abbastanza netta e delineata, ma soprattutto ripetuta fino allo sfinimento. Date le premesse, mi sono approcciato con scarso entusiasmo a Benedetta Follia, presumendo l'ennesima variazione sul tema. Per caso stavolta è uscito fuori un capolavoro inaspettato? No, siamo anni ed anni luce lontani dal Verdone da guerra degli esordi, e tuttavia sarei disonesto se non ammettessi che Benedetta Follia è - a mio gusto - almeno il miglior Verdone da qualche film a questa parte.

Non siamo distanti dalla rodatissima e consolidata formula del Verdone "non più giovane", l'omino manchevole c'è, gestisce addirittura un negozio di paramenti sacri (sempre più recintato nel perbenismo), si crogiola in una morale falsa e autorassicurante, nella rinuncia sterile ad una vita minimamente intrisa di ignoto, rischio, avventura e coraggio. Tale quadro idilliaco viene sconvolto dapprima dall'impazzimento della moglie, una Lucrezia Lante Della Rovere che decide di darsi ad esperienze saffiche, quindi dall'incontro/scontro con una coattona romana (Ilenia Pastorelli) che finisce per farsi assumere come commessa nel suo negozio e che, passo dopo passo, scardina ogni rigidità e grigiore dalla sua vita, aprendolo ad un'accettazione dell'esistenza più felice, positiva, speranzosa e costruttiva. Se gli addendi sono suppergiù sempre gli stessi del cinema verdoniano, stavolta la composizione giunge ad un esito diverso, discretamente più sostenibile e godibile da parte dello spettatore, altrimenti oppresso dall'inerzia della depressione inesorabile. Verdone calca un po' meno la mano sulle disgrazie del suo personaggio, meno patetiche, meno ansiogene, meno ombelicali; beneficia molto della verve della Pastorelli, sulla quale il ruolo di burina dei quartieri è cucito su misura (andrebbe vista in altri contesti) e dunque vince facile. Più miseri i personaggi della Lante Della Rovere, un po' macchietta impazzita, e di Maria Pia Calzone (l'amore sano, posato e rassicurante al quale infine approda Verdone), sempre bravissima ma qui sprecata perché ridotta a Madonnina salvatrice. Benedetta Follia non è esente da difetti e però questi, almeno stavolta, non sono così vistosi e invalidanti da rendere la storia più noiosa che piacevole.

Rimangono inevase alcune sottotrame (la moto, l'incidente, il rapporto con le due donne), il cambio di marcia del protagonista da pauroso represso a viveur affamato di vita e nuove esperienze è troppo brusco, giustificato appena da una nottata bislacca in discoteca. Curiosa però la parte "sperimentale" dell'esperienza tossica, con colori, sovrapposizioni, musiche, geometrie  e coreografie abbastanza inusuali per Verdone, che almeno scrostano un po' il suo cinema cauto e posato. Impalpabili ed evanescenti le donnine "social" con cui Verdone si intrattiene, poco più che figurine. Tuttavia l'aver accettato elementi più "moderni" e trasgressivi (intesi come tali sempre in rapporto al quieto vivere di Verdone) ha contribuito a ravvivare la minestra; mi riferisco alla sensualità della Pastorelli (si vedano le sue mise scollacciate, compresa quella da suora sexy, strombazzata pure in locandina, o l'esibizione al palo della lap dance) e al suddetto ricorso al mondo  dei social. Terribile invece la gag della telefonata al Monsignore mediante telefono "incastrato" nelle pudenda di una delle tante conquiste da una notte e via, una roba che neanche il peggior Neri Parenti. Finale un po' melenso e sdolcinato, ma sarebbe stato strano aspettarsi qualcosa di diverso.

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